Diavolo E Demòni. Guido Pagliarino

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Diavolo E Demòni - Guido Pagliarino


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Chiesa a immaginare l’eterno inferno come qualcosa di diverso da quella “seconda morte” di cui dice il Nuovo Testamento, per la quale Dio non sostiene più in vita la persona dannata, secondo cui, cioè, non esiste più del tutto la medesima, né in corpo né in psiche-anima: in tali ambienti si ritiene che l’inferno sia uno stato di dolore vissuto dal dannato per sempre, prima solo spiritualmente e poi anche col corpo risorto: eternamente perché in eterno promanante da Dio. In tali contesti si arriva ad affermare con forza che l’anima è immortale, come se essa fosse puro spirito e avesse dunque, intrinsecamente, l’immortalità per sempre una volta creata da Dio.

      Nella Bibbia risulta diversamente: L'anima è sì creata da Dio - precisamente non la sola anima ma la persona intera, l’essere umano nel suo complesso in corpo e anima - ed è sì immateriale, ma in senso psichico e non spirituale.

      Nella Chiesa dei primi secoli si crede che lo Spirito di Dio non solo crea ma continua a mantenere in vita la persona, eternamente, nel solo beato, mentre la vita viene meno nel dannato; e per l'appunto l’inferno è definito dalla Chiesa, fin dall'inizio - questo peraltro ancor oggi - come “privazione di Dio”, col suo conseguente “male assoluto senz’alcun bene”, vale a dire, al di là di inferni vissuti, senza più nemmeno il vivere e dunque il poter pensare – pensare anche a Dio stesso – né ricordare la propria passata esistenza: un glaciale, atroce fallimento totale della vita!

      L'idea di un'anima immortale e spirituale umana che si danna e continua a vivere per sempre nel dolore alla fine prevale anche nella Chiesa e l'inferno diviene quello vissuto, di cui leggiamo ad esempio nella prima Cantica della Commedia dantesca, influenzata dalla composizione in versi di Jacomin (ovvero Giacomino) da Verona “De Babilonia civitate infernali. De Jerusalem celesti” e forse suggestionata dall’apocrifa “Visione di san Paolo”, a sua volta mediata dai testi più antichi “Purgatorio di san Patrizio” e “Navigazione di san Brandano”; nella detta "Visione di san Paolo", ai versetti dal 75 all'80 un angelo conduce l’apostolo Paolo a visitare, appunto, l’inferno.

      I succitati dati sono stati tratti dall’introduzione all’"Apocalisse di Paolo" nel libro "Gli evangeli apocrifi", opera a cura di F. Amiot tradotta dal francese all’italiano da Marco Inserillo e pubblicata dall'Editrice Massimo nel 2003.

      Tornando alla religione persiana, si diceva che i suoi due iddii, il dio del bene Mazda il Creatore e quello del male Hariman il Distruttore, figura la seconda che influenzerà non la figura ebraica di Satana ma quella del Diavolo nella religione cristiana, sono tra loro in lotta ed essi sono cause prime, rispettivamente, delle gioie e delle infelicità umane.

      Il culto detto mazdeismo è da considerare monista anche perché solo il bene viene adorato, perché tutto il buono viene agli uomini da Mazda, detto pure Spenta Mainyu, cioè "Sacro Spirito", che è l’energia creativa ed è assistito da sue creature spirituali benigne. Il male è interamente causato da suo fratello Ahriman che è detto anche Angra Mainyu (“Spirito Malvagio”), e dai collaboratori maligni del medesimo. Entrambi gl’iddii hanno scelto d’essere come sono: Angra Mainyu cattivo e alleato della Menzogna, Spenta Mainyu buono e personificazione della Verità stessa; dunque pure gli umani sono creati liberi di scegliere e dopo la morte ciascuno giunge al Ponte del Giudizio, dov’è valutato: il discepolo della Verità lo attraversa e giunge in paradiso, mentre il seguace della Menzogna precipita nell'inferno. Infine il male sarà tolto dal mondo in seguito a un grande, ultimo scontro.

      Il Mazdeismo ha un certo ascendente sul Giudaismo in conseguenza della dominazione persiana sugli ebrei, ma nella Bibbia tale influsso non è profondamente teologico ed è sì importante, ma meno di quanto spontaneamente si possa pensare. Il dualismo di Dio in alcuni versetti biblici non è mazdeo ma, già s'era accennato, è tipico di autori biblici che vedono uno24 Jahvè bifronte (e comunque non due dèi) solo per preoccupare i lettori e indurli a non peccare.

      Derivano invece dalla religione di Zoroastro aspetti di figure angeliche e demoniache; queste peraltro originano pure dalle mitologie egizia e siro-ittita e, in primo luogo, da quella assiro-babilonese, ad esempio, da questa scaturiscono i cherubini (karubim o kerubim), in origine dèi alati con testa d’uomo e corpo di toro oppure di pony25 o di asino, un po’ come il Minotauro o i centauri, ali a parte, e così pure è per i serafini (sèràphim o sàràphim cioè serpenti): il baal26 sèràph – o sàràph – era un dio serpente alato del deserto; in ambiente ebraico l’aspetto fisico di cherubini e serafini muterà insieme alla loro natura, non più considerata divina ma creata da Jahvè.

      Tornado alla teologia, la mazdea non è presente sostanzialmente nella Bibbia perché gli scribi e i sacerdoti giudei del dopo esilio sono preoccupati, nello stendere molti libri biblici27 , di salvaguardare, e [ri]fondare, la genuinità d’Israele e, nel sostenere il monoteismo, tengono a bada l’intrigante Mazdeismo dualista che potrebbe essere un robusto concorrente. Semmai, aspetti della teologia di Zoroastro si riflettono e permangono, nonostante gli sforzi del capo popolo Esdra28 e dei suoi, su certo sentire superstizioso dei semplici fedeli che esaltano nella loro mente la potenza di figure demoniache; e aspetti teologici mazdei si proiettano pure nell’apocrifa letteratura apocalittica giudaica degli ultimi due secoli prima di Cristo; poi, tramite questa produzione letteraria, influenzano apocrifi cristianeggianti stesi dal II secolo d.C. e provocano credenze nell’ambiente della Chiesa, dove il Diavolo è sentito a un certo punto talmente potente da apparire quasi come un dio del male, immortale anche se vinto, un po’ come per Arimane dopo l’ultima prova che lo sconfigge per sempre.

      Nel Primo Testamento la figura diabolica è piuttosto diversa da quella del Cristianesimo, con l'eccezione dei versetti in cui entra in scena, in forma di serpente, all’inizio del capitolo 3 della Genesi, quale raffigurazione dell’istigazione al peccato. Come punizione per aver indotto a peccare Adamo ed Eva è condannato da Dio a strisciare nella polvere: dunque prima aveva le zampe, era un dragone, e tale sarà di nuovo nella neotestamentaria Apocalisse. Si tratta in sostanza del simbolo di quel male che sarà sconfitto da Cristo una volta per tutte e non potrà più trionfare, al quale il Creatore preannuncia intanto, sempre nella Genesi, che avrà il capo schiacciato dalla stirpe della donna: per i cristiani, da Gesú29

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