L’ira Dei Vilipesi. Guido Pagliarino

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L’ira Dei Vilipesi - Guido Pagliarino


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frequentatore abituale della prostituta e ch'era entrato da lei, essendo atteso, per avere uno svelto rapporto sessuale, così da andarsene presto e raggiungere casa propria prima del coprifuoco. A domanda, aveva precisato che aveva fissato telefonicamente l’appuntamento da un bar, come tante altre volte. Richiesto di recitare il numero telefonico della Demaggi, aveva detto che non se lo ricordava più e, allo scetticismo manifestato dal D’Aiazzo, aveva giustificato l’amnesia con lo stato di subbuglio mentale dovuto alla situazione. Per il resto non aveva cambiato versione ribadendo che, una volta entrato attraverso l’uscio lasciato socchiuso apposta per lui in seguito alla telefonata, aveva visto la donna a terra e s’era sùbito risolto a chiamare soccorso con l’apparecchio telefonico dell’appartamento, quand’ecco che la pattuglia era sopraggiunta e l’aveva fermato.

      Come già gli agenti della ronda, nemmeno il vice commissario aveva potuto credere che l’uomo fosse un cliente dell’esosa mondana, avendo valutato il suo abbigliamento modesto e mal ridotto e l’assenza di denaro nelle sue tasche. Considerando che l’uscio era stato lasciato aperto verosimilmente proprio per lui, l’aveva supposto un complice nel mercato nero. L’aveva dunque accusato d’averla ammazzata per sopraggiunti contrasti: “Confessalo e ti mando a dormire!”

      â€œNon è vero niente, s’è trattato sicuramente d’un incidente avvenuto prima ch’io entrassi”, aveva negato l’altro.

      â€œSe non eri un complice in disaccordo, allora eri stato mandato a ucciderla da un concorrente”, aveva premuto il funzionario.

      â€œSignor dottore, vi12 dico ancora che non è vero!” s’era acceso l’uomo abbandonando l’atteggiamento docile che aveva tenuto fin a quel momento.

      Non richiesto, il brigadiere Bordin era scattato: “Busòn!13 Porta rispetto al dottore o ti riempio di calci dove te lo fai ficcare!”

      Il vice commissario non ammetteva villanie e l’aveva redarguito: “Marino, i calci e l’insulto te li tieni per te.” Aveva ripreso: “Gennaro, sempre che tu ti chiami davvero Gennaro Esposito, e sta’ sicuro che controlleremo all’Anagrafe domani… no, stamattina, vista l’ora, sentimi bene: anch’io, come te, avrei voglia di concludere, dunque ti faccio una proposta” – l’uomo aveva alzato la soglia d’attenzione visibilmente, semi schiudendo la bocca mentre le pupille gli si dilatavano un poco –: “Se ti confessi colpevole di omicidio preterintenzionale, il che significa che hai ucciso andando oltre l’intenzione che avevi…”

      â€œâ€¦lo so.”

      â€œAllora senti: potresti ad esempio dirmi che non avevi soldi e che la vittima non voleva concedersi a credito, per cui in un irrefrenabile impulso d’ira le avevi dato una spinta, senza volerla ammazzare ma, disgraziatamente, lei cadendo era rimasta lesa a morte; insomma, mi hai capito: in questo modo davanti al plotone d’esecuzione, non ci finisci14 , ti fai solo un po’ di galera. Se invece io scrivo nel mio rapporto per il giudice istruttore che sospetto tu sia il sicario d’un qualche borsanerista della camorra che ha voluto eliminarla, oppure un diretto concorrente della donna al mercato nero che ha voluto farla fuori per sempre, tu sei già bell’e fucilato.”

      L’uomo, pur se più stanco del vice commissario, non aveva confessato: “Non solo vi ripeto un’altra volta che non sono un assassino e, a quanto ne so io, che la donna è morta per un incidente avvenuto prima ch’io entrassi da lei, ma adesso vi dico pure che sono un sergente maggiore artigliere e che ho passato le linee raggiungendo Napoli ieri sera.”

      â€œHm… dimmi di più.”

      â€œSono anche cuoco, ero in servizio come direttore di cucina nel circolo ufficiali del 3° battaglione, 1° reggimento Artiglieria Costiera, di stanza a un cinque chilometri a nord di Paestum, in provincia di Salerno.”

      â€œLo so dov’è Paestum… va beh, supponendo che tu m’abbia detto adesso la verità, è nel tuo stesso interesse che noi si controlli la tua identità militare e perciò dimmi della scuola allievi sottufficiali da cui vieni e da quale corso”: in realtà, nel caos seguito all’armistizio quella verifica sarebbe stata probabilmente impossibile e il D’Aiazzo lo sapeva, ma aveva contato sul fatto che l’altro, qualora gli avesse mentito, si sarebbe scoperto.

      L’uomo non s’era scomposto: “La mia carriera è partita dalla gavetta: a ventotto anni, dopo aver perso il posto di aiuto cuoco in una trattoria…”

      â€œâ€¦cos’avevi combinato?”

      â€œ...ma niente di male! Il locale aveva chiuso perché, come dicevano i padroni, erano arrivate le ultime conseguenze della crisi del ’29.”

      â€œVa beh, va’ avanti.”

      â€œAvevo cercato lavoro altrove ma trovato niente: nessuno assumeva, semmai licenziavano. Allora, per non pesare su mia madre ch’era rimasta vedova e faticava facendo le pulizie in negozi e cucendo e ricamando in casa per estranei, alla fine m’ero arruolato volontario, sperando di fare carriera e diventare sottufficiale: sei anni prima ero stato congedato dal servizio, con onore, col grado di caporale, che mi era stato riconosciuto alla riafferma; e siccome ero stato già nelle cucine durante la leva, dopo il corso d’aggiornamento su certi cannoni m’avevano di nuovo spedito davanti alle pignatte, a parte le periodiche esercitazioni di tiro con l’artiglieria, il fucile e la pistola; e così è stato per tutta la mia carriera militare, prima da caporalmaggiore, quindi da sergente e, finalmente, da sottufficiale15 : sergente maggiore direttore della cucina del circolo ufficiali. Dopo l’armistizio e lo sbarco degli ex nemici16 sulle nostre coste, mi sono trovato allo sbando coi commilitoni, preoccupato di non incontrare né angloamericani né tedeschi. Mi sono imboscato, mangiando frutta e verdura portate via agli orti e, le poche volte che mi ospitavano in cascine, anche pane, latte e uova; ma i contadini, o almeno quelli che ho incontrato io, son gente interessata, mi hanno chiesto senza eccezioni un compenso, prima in soldi, e ho dato loro, a mano a mano, quanto mi restava dell’ultimo stipendio, poi, finito il denaro, ho dovuto lasciare il mio orologio: era d’acciaio, ma di marca; e all’ultimo purucchio17 ho mollato la mia medaglietta di san Genna’ con catenella, tutt’e due in oro 18 carati, dono dei miei per la Prima Comunione, in cambio del camisaccio e della tuta da lavoro che ancora indosso. Mi sono messo in borghese e ho gettato la piastrina militare di riconoscimento e anche i documenti militari, perché noi di carriera l’abbiamo non solo d’altro colore ma con scritto sopra che siamo appunto militari e anche il nostro grado…”

      â€œâ€¦lo so”

      â€œGià, pure per voi è così. Ho buttato la carta d’identità e la patente militari tenendo solo la patente civile e, non più in divisa, mi sono diretto alla mia Napoli, sono riuscito a passare la linea del fronte e, ieri sera, sono entrato in città. Muovendomi prudentemente anche se ero in borghese e avevo con me un documento, sono giunto in piazzetta del Nilo, che non è lontana dall’alloggetto di mammà e mio nel vicolo Santa Luciella; e, per colpa del mio buon cuore, dopo quant’avevo già passato, ho ancora avuto l’impulso d’aiutare quella donna che gemeva e… eccomi qui, proprio quand’ero ormai vicinissimo a casa.”

      â€œCome mai sul tuo permesso di guida non è segnato il tuo domicilio nella zona di Paestum?”

      â€œOccupavo una stanza in caserma, assieme a un altro sergente maggiore anch’egli scapolo, non avevo un’abitazione esterna: mai ho considerato le caserme come casa mia e mai m’è venuto di far togliere l’indirizzo di Napoli: solo sulla carta d’identità e sul permesso di guida militari facevo variare, perché era obbligatorio, a parte il fatto che sulla patente civile avrei dovuto far cambiare sovente l’indirizzo dalla Motorizzazione18 , dato


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