La Trasformazione: Sull'Eterno Corpo Glorioso Spirituale E Sul Nulla Eterno Infernale. Guido Pagliarino

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La Trasformazione: Sull'Eterno Corpo Glorioso Spirituale E Sul Nulla Eterno Infernale - Guido Pagliarino


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quale è in un certo senso quel seme ma non è più, in senso stretto, il seme che è marcito: nessuno di quelli della spiga è il chicco seminato ma, in nuova forma gloriosa, quella spiga intera è il seme marcito. La chimica e la fisica non c’entrano, non ha nessuna importanza che la materia del corpo d’un sepolto finisca in quella d’una pianta e che esseri umani mangino i suoi frutti e assumano quella materia, per il Cristianesimo ciò che risuscita è la persona in forma sublime, gloriosa spirituale, appunto: Gesú, per chi crede ai Vangeli, nel presentarsi risorto agli apostoli entra in un luogo chiuso senza passare per la porta, ciò che sarebbe inconciliabile col principio dell’impenetrabilità dei corpi se il trascendente Risorto fosse fatto di immanente materia.

      Torneremo sull’argomento della trasformazione secondo san Paolo. Intanto, avendo stabilito tale concetto e sgombrato l’equivoco che con risurrezione s’intenda nel Cristianesimo un corpo di carne e sangue che rivive tal quale, vediamo come il Nuovo testamento, che per i credenti è Parola di Dio, presenta il corpo umano vivente su questa terra.

      Che su questa terra una persona, oltre al proprio corpo dotato di io o anima – psyché –, abbia un individuale animo, o spirito o pneuma – pneyma – creato sostanzialmente immortale non è stato provato né da metafisiche e religioni orientali né, in occidente, dai pitagorici, da Platone e dai platonici e neppure è stato dimostrato dal Padre della Chiesa sant’Agostino (354-430) il quale, influenzato dalla lettura delle Enneadi del neoplatonico Plotino, su di una tradizione spiritualista ormai stabile nella teologia dei suoi tempi, semplicemente, assunse che l’anima umana è pneumatica e immortale, divenendo coi suoi scritti il tramite più importante nella Chiesa fra le idee platoniche e il Cristianesimo. Che ogni essere umano abbia un pensiero personale, una personalità, non può essere sufficiente perché si possa parlare senz’altro di suo pneuma particolare. È sperimentale il fatto che siamo corpi umani con una psiche la quale muta e s’accresce con l’esperienza – la cultura – grazie alle sinapsi del cervello che consentono alle cellule nervose del cerebro stesso, i neuroni, d’interagire con l’ambiente. È in altri termini sperimentale che abbiamo un corpo materiale-animale psichico, proprio come afferma, nella neotestamentaria prima lettera ai Corinzi, l’ebreo convertito a Cristo Saulo-Paolo: siamo in uno dei primissimi anni 50 del I secolo e la Chiesa è solo alle origini e dalla predicazione orale apostolica stanno cominciando a nascere i libri del Nuovo testamento; siamo a molti secoli prima della nascita dello spiritualista Agostino d’Ippona. Non si può intendere San Paolo se lo si consideri uno spiritualista, egli non è platonico, non parla affatto di pneuma personale dell’essere umano su questa terra; e anche per gli altri ebrei ogni uomo è solo il proprio corpo, che ha sì anima, ma nel senso di psiche, di io, cioè è un corpo umano pensante, mentre spirito o pneuma – ruach, a volte traslitterato come ruàh – è solo Jahvè il Creatore. Peraltro l’uomo è diversificato dagli altri viventi dal fatto d’essere creato a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26): importano meno di tale espressione gli altri vocaboli e concetti dell’antropologia religiosa ebraica, vale a dire che ogni uomo è unione inseparabile di nefesh, vita o vitalità, (psyché nelle traduzioni in greco, psiche o anima in italiano) e di bashar (sarx nelle traduzioni in greco, da non confondere, come vedremo, con soma che nelle lettere di san Paolo è il corpo della persona in grazia di Dio): bashar è la carne viva dell’uomo, cioè il suo corpo materiale-animale.

      Nell’Antico testamento troviamo questi concetti e le parole che li descrivono nei testi della Torah (Pentateuco per i cristiani), scritti fra il VII e il IV secolo a.C. e, più precisamente, fra il V e il IV i libri Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, mentre il Deuteronomio, parola che dignifica Seconda Legge, è forse situabile nel VII secolo in una prima stesura perduta detta “libro dell’Alleanza”, ne parla il successivo libro 2 Re (22, 3-20), e sicuramente è scritto nel V secolo il testo giunto a noi. Troppo lungo sarebbe parlare qui della formazione e della datazione dei libri veterotestamentari, ma volendo approfondire si può vedere il saggio divulgativo di Guido Pagliarino “Il Vento dell'Amore”, Tektime Editore, 2018.

      La nefesh o anima non è dunque per la Bibbia qualcosa di separabile dal corpo e capace di sopravvivere senza di esso.

      Un po’ come nella Grecia del IV secolo avanti Cristo è per Aristotele (384-322 a.C.) anche se c’è chi, richiamandosi alla Metafisica aristotelica, libro XII, 3, 1070, ritiene che questo filosofo non escluda la sopravvivenza dello spirito intellettivo individuale, e lo vedremo un po’ meglio qualche rigo oltre. Intanto si consideri che per lo Stagirita l’Essere non è il Dio-Amore incarnato e umanissimo dei cristiani e nemmeno è l’ebraico Jahvè, sollecito e paterno verso il suo popolo eletto anche se, come tutti i padri dell’antichità, può punire assai severamente; il Dio aristotelico pensa solo a ciò che è perfetto, cioè pensa solo sé stesso, dunque ignora il mondo anche se questo, dopotutto, muove perché c’è lui; dunque, il Dio d’Aristotele non considera gli uomini e men che mai li ama, mentre sono essi a doverlo amare proprio perché è perfetto, e difatti l’anima umana è attratta dall’Essere senza ch’egli si muova verso di essa. Però la stessa anima tende all’Essere solo durante la propria vita terrena perché, come s’è detto, non sopravvive al proprio corpo. Com’è noto, l’anima è contemplata in modo specifico da Aristotele nei tre libri del trattato intitolato appunto Dell’Anima; il filosofo si chiede se corpo e anima siano tra loro separabili e se la seconda abbia la potenzialità di passare, reincarnandosi, da corpo a corpo come pensavano Platone e prima di lui i Pitagorici, oppure se, finendo il corpo d’esistere, cessi anche la sua anima. Per Aristotele quelle che chiama affezioni o attività dell’anima non possono esserci senza il relativo corpo, ad esempio l’ira, che per la scienza del suo tempo deriva dal bollire del sangue, non può esserci senza il medesimo plasma, e il corpo dev’essere fornito di strumenti di senso per poterli esercitare sulla realtà, cioè dev’essere dotato di organi affinché possa esserci un’anima che intende la realtà: senza gli orecchi, ad esempio, l’anima non sente, e però per lo Stagirita noi sentiamo non perché abbiamo gli orecchi, ché se questi per ipotesi fossero staccati dal corpo non udiremmo, ad esempio il cadavere fresco ha ancora orecchi non decomposti ma non sente più, bensì perché attraverso gli orecchi è l’anima che ode (la moderna fisiologia sa bene che non è l’apparato uditivo in sé che sente e che esso è solo strumento, però la stessa fisiologia afferma che l’apparato uditivo è strumento del cervello e non dell’anima). Insomma, per Aristotele l’uomo vive in quanto ha corpo e anima, perché egli è il loro insieme, sinolo, e dunque, in opposizione a Platone, in Dell’Anima Aristotele giunge a negare la sopravvivenza della stessa anima umana. Si diceva poco sopra che questo filosofo può anche dare l’impressione d’avere una sia pur debole speranza di vita eterna. Parrebbe preferibile l’idea opposta, anche se questo non appare in Dell’Anima ma nella Metafisica: Aristotele scrive nel XII libro della stessa: ‘Se, poi, rimanga qualcosa anche dopo, è problema che resta da esaminare. Per alcuni esseri nulla lo vieta: per esempio, per l’anima: non tutta l’anima, ma solo l’anima intellettiva; tutta sarebbe impossibile’ (Metafisica, libro XII, 3, 1070, traduzione di Giovanni Reale, Milano, 1978). Ebbene (cfr. Guido Pagliarino, È Uomo, Pozzuoli (Na), 2007): “Si deve però notare ch’egli aggiunge, il che non sempre è notato e citato da coloro che sostengono che Aristotele credesse all’immortalità dell’anima: ‘Comunque, è chiaro che non occorre affatto, per questo, ammettere l’esistenza delle Idee: l’uomo genera l’uomo e l’individuo un altro individuo’ (ibid). Dunque, se l’anima intera non è separabile dal corpo, tuttavia la sua parte più alta potrebbe esserlo? Intanto, dev’essere chiaro che, comunque, per lo Stagirita l’intelletto


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