Il figlio del Corsaro Rosso. Emilio Salgari

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Il figlio del Corsaro Rosso - Emilio Salgari


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      Emilio Salgari

      IL FIGLIO DEL CORSARO ROSSO

      PARTE PRIMA

      CAPITOLO I. LA MARCHESA DI MONTELIMAR

      – Il signor conte de Miranda!

      Quel nome, gridato forte da un servo gallonato con la pelle nera come il carbone, vestito di seta azzurra a larghi fiori gialli, aveva prodotto una profonda impressione fra i moltissimi invitati che ingombravano le sfarzose sale della marchesa di Montelimar, la bellissima signora, celebrata da tutti gli avventurieri e da tutti gli ufficiali di terra e di mare di San Domingo.

      Le danze, animatissime fino a quel momento, erano state subito interrotte, perché cavalieri e dame si erano precipitati verso la porta del grande salone, come attratti da un’irresistibile curiosità di vedere da vicino quel conte che si diceva avesse fatto girare molte teste nelle poche ore che si era mostrato per le vie di San Domingo.

      Il portiere negro aveva appena sollevata la ricca tenda di damasco con lunghe frange d’oro, quando il personaggio annunziato comparve.

      Era un bellissimo giovane di ventotto o trent’anni, di statura alta, di forme elegantissime che palesavano il gran signore, con gli occhi nerissimi e ardenti, i baffi neri e la pelle bianchissima, cosa affatto insolita per un comandante di fregata, abituato a navigare sotto il sole bruciante del Golfo del Messico.

      Quello strano ed interessante personaggio, chi sa per quale bizzarria, vestiva tutto di seta rossa.

      Rossa era la casacca, rossi gli alamari, rossi i calzoni, rosso l’ampio feltro adorno d’una lunga piuma e cosí pure i merletti, i guanti e perfino gli alti stivali; anche la guaina della spada era di cuoio rosso.

      Il conte, vedendosi dinanzi tutte quelle persone che lo osservavano attentamente, corrugò un po’ la fronte, guardando arditamente gli uomini, come seccato di quella curiosità, poi si levò garbatamente il cappello, strisciando con un moto grazioso sul tappeto la lunghissima piuma e fece un leggero inchino, tenendo sempre la sinistra sulla guardia della spada.

      La marchesa di Montelimar si era affrettata a farsi largo fra gli invitati e ad accostarsi premurosamente al conte.

      Non a torto la chiamavano la bella vedova di S. Domingo! Era una splendida castigliana, giovane ancora, perché non doveva toccare le venticinque primavere, alta, slanciata, col corpo flessuoso, gli occhi sfolgoranti, tagliati a mandorla, la capigliatura nerissima e la pelle alabastrina; la vera tinta delle creole del Golfo messicano.

      Quantunque vedova da pochi anni d’un vecchio marchese, morto combattendo contro i filibustieri della Tortue, indossava un magnifico vestito di damasco di seta bianca, adorno sul dinanzi di piccoli smeraldi raccolti qua e là in gruppetti artistici, e intorno al niveo collo portava una doppia fila di perle di California, di un valore inestimabile. Si fermò dinanzi al conte, facendo un grazioso inchino, accompagnato da un delizioso sorriso, poi, stendendogli la destra, gli disse:

      – Sono lieta che voi, signor conte, abbiate accettato il mio invito.

      – Gli uomini di mare son ruvidi, marchesa; ma non rifiutano mai un invito, specialmente quando vien fatto da una signora bella come voi.

      Quelle parole fecero corrugare piú di una fronte e sollevarono fra gli adoratori della marchesa qualche mormorio.

      Il Conte de Miranda si voltò vivamente, con la sinistra appoggiata fieramente sull’elsa della spada e la destra sul fianco, e disse con voce chiara:

      – Pare che a qualcuno non sia piaciuto quel che ho detto: si sappia che noi, figli dell’oceano, sappiamo guidare le navi, ma regalare anche una buona stoccata.

      – Vi siete ingannato, signor conte – disse la marchesa. – Qui tutti hanno molta stima per gli uomini che, sfidando tempeste e pericoli, ci difendono dai filibustieri della Tortue.

      Nessuno aveva osato fiatare e le fronti si erano spianate. Solamente un capitano degli alabardieri di Granata, un pezzo d’uomo alto un palmo piú del giovane conte, era ancora molto corrucciato.

      – Signor conte, – disse la marchesa di Montelimar – volete offrirmi il vostro braccio? Sarò orgogliosa di appoggiarmi ad un forte uomo di mare.

      – Che metterà la sua spada e la sua vita sempre a vostra disposizione, marchesa – rispose il bel giovane, guardando insolentemente gli invitati che manifestavano un po’ di malumore per la preferenza accordata dalla bella vedova a quel capitano sconosciuto a tutti.

      – Non chiedo tanto conte. Danzate?

      – Sí, marchesa; alla francese però, perché sono stato educato in Provenza.

      – Come mai? Non siete spagnuolo? I de Miranda, se non m’inganno, sono castigliani.

      – Puro sangue; ma mio padre aveva sposato una francese, e mi affidò ancora bambino ai parenti di mia madre.

      – Infatti mi accorgo che voi avete un accento diverso dal nostro.

      – Gli uomini di mare visitando tanti paesi, perdono l’accento della madre lingua; poi ho soggiornato molto anche in Italia.

      – Ecco perché voi parlate cosí dolcemente. Ah, l’Italia! Anch’io l’ho visitata… E venite ora…?

      – Da Vera-Cruz, marchesa.

      – Dopo aver incontrato chi sa quante avventure!

      – No, marchesa: una tempesta ed un paio d’abbordaggi con due navi filibustiere.

      – Che avrete affondato, immagino.

      – Rimorchiate, marchesa, dopo aver imprigionato i loro equipaggi.

      – Ed ora andavate?…

      – Mi fermo qui per difendere San Domingo.

      – Siamo minacciati?

      – Si dice che i bucanieri, d’accordo con i filibustieri, si preparino per un colpo di mano contro questa città, ma troveranno sul loro cammino i quaranta cannoni della mia Nuova Castiglia, e vi giuro, marchesa, che li farò…

      Il conte si interruppe bruscamente e si voltò di fianco.

      Un capitano degli alabardieri, lo stesso che poco prima aveva borbottato piú degli altri, un bell’uomo sulla quarantina, alto come un granatiere, con due immensi baffi cadenti alla chinese, gli si era fermato a pochi passi come se cercasse di sorprendere le sue parole.

      Alla fermata improvvisa del giovane capitano, aveva girato sollecitamente sui talloni, battendo impazientemente la sinistra sulla guardia della sua lunga spada e abbordando una signora che in quel momento attraversava la sala.

      – Chi è quel signore? – chiese il conte alla marchesa, aggrottando la fronte.

      – Il conte di Sant’Iago, capitano degli alabardieri del reggimento di Granata – rispose la marchesa di Montelimar, sorridendo. – Vi interessa?

      – Niente affatto, signora. Mi pareva che ci seguisse, per ascoltare ciò che noi dicevamo.

      – È un mio adoratore.

      – Ad una cosí bella signora non possono mancare.

      – Oh, conte! – esclamò la marchesa, battendogli su una mano il suo ricco ventaglio dalle stecche d’oro.

      – Vi ama?

      – Alla follia. La settimana scorsa uccise un luogotenente di marina con un terribile colpo di spada, perché credeva che io avessi per quel disgraziato qualche preferenza.

      – Ah! Il capitano è geloso?

      – E un buon spadaccino, a quel che si dice – aggiunse la marchesa.

      – Vorrei provare un po’ la sua abilità – disse il conte con voce ironica.

      – Guardatevene, signor de Miranda!

      – E che, marchesa; mi credereste voi tal uomo da aver paura di quel capitano?

      – No, conte, ma mi rincrescerebbe…

      – Che cosa?

      – Che vi toccasse qualche disgrazia – rispose la marchesa, alla quale pareva che un’improvvisa commozione avesse alterato l’accento.

      Il


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