Una donna. Bracco Roberto
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UNA DONNA
Questo dramma, scritto il 1888, fu rappresentato per la prima volta il 2 maggio 1892 dalla compagnia Pasta-Garzes-Reinach, protagonista Tina di Lorenzo, al Fiorentini di Napoli.
Clelia.
Signora Maria Renzi.
Mario Renzi, suo figlio.
Gerardo Carsanti.
Signor Brambini.
Beatrice, sua nipote.
Bartolomeo.
Angiolina.
Fonseca.
Giannetti.
Verani.
Maturi.
Saverio, portinaio.
Un Albergatore.
Teresa, cameriera.
Giacomo, servo.
Carmela.
La scena, a Napoli: verso il 1880.
Clelia: ventidue anni, graziosa, fragile, variabilissima di aspetto e di accento. – Mario: trent'anni, pittore: ha qualche cosa d'inconsciamente affascinante. – Signora Renzi: sessant'anni, aspetto sereno, dolce, modestamente signorile. – Gerardo Carsanti: quarantacinque anni: faccia poco simpatica, occhi lievemente affetti da strabismo, modi o troppo melliflui o troppo ruvidi: veste con esagerata e falsa eleganza. – Signor Brambini: sessantacinque anni, ex capitano borbonico: aspetto bonario. – Beatrice: diciotto anni: è una fanciulla bellina, semplice e mite. – Bartolomeo: circa cinquant'anni, ex maestro di ballo: tipo comico: porta delle scarpine senza tacco e in testa un berretto ben ricamato. – Angiolina: quarantasette anni, rivenditrice di abiti: aria di persona zelante, affaccendata, inframmettente, pettegola. – Fonseca: trentott'anni: medico di poca importanza: vivacità furbesca e cordiale. – Giannetti: quarant'anni: contegno d'uomo di mondo. – Verani: trentadue anni: giovanotto vacuo e stupidamente sentimentale. – Maturi: età indefinibile: galoppino di Carsanti: magro, sparuto, sembra un usciere di tribunale. – Saverio: portinaio d'un palazzetto abitato dal mezzo ceto: un omuncolo bilenco. – Albergatore: è rozzo, burbero. – Teresa: cameriera giovane e astuta. – Giacomo: figura di servo sciatto, inelegante. – Carmela: giovane popolana.
ATTO PRIMO
Camera modesta, quasi povera, in disordine. Poche suppellettili tra cui un attaccapanni, una tavola, uno stipetto basso, seggiole stranamente diverse. Sull'attaccapanni, soltanto una sottana bianca. Sulla tavola, un tovagliolo mezzo aggrovigliato e alcune bucce di frutta. Sopra una seggiola, un paio di stivalettini attillati. Sullo stipetto, piatti, bicchieri, forchette, cucchiai, coltelli, qualche bottiglia, qualche vaso di creta. In fondo, una porta senza battenti che lascia vedere una saletta e l'uscio di scala. Accanto a questa porta, una seggiola. A destra, un'altra porta. A sinistra, una finestra.
(Quando s'alza la tela, il campanello penzolante ad un muro della saletta si agita e strepita. Nella stanza non c'è nessuno. – Silenzio. – Poi, un'altra volta, il campanello strepita. – E di nuovo silenzio. – Quindi si sente la voce pettegola di Angiolina di là dall'uscio chiuso.)
Ohè! Portinaio!.. Portinaio, qui non mi si apre… Non c'è nessuno in casa? (Pausa.) E mi avete fatto salire!.. (Pausa.) Allora venite ad aprirmi… Sono io, Angiolina la rivenditrice… Venite ad aprirmi… Aspetterò che venga la signorina… (Pausa. – Tra sè:) Ah! benedetto Dio!..
(Si apre l'uscio. Entrano il portinaio con un chiavino in mano e Angiolina che porta sul braccio una veste avvolta in un panno bianco.)
(entrando) Eh! bella mia, io ho l'ordine di non dare la chiave che al signor Mario. Ho aperto perchè siete voi. Se volete aspettare qui, accomodatevi pure; ma, senza offesa, io vi tengo compagnia.
Angiolina può entrare sempre, per regola vostra: e poi, statevi attento che c'è tanta roba preziosa da portar via!.. (Ironicamente) In questa casa si guazza nell'oro!.. È una pietà, è una pietà!..
(confidenzialmente) Ma che ci volete fare! Questa poveretta è pazza. Se sapeste che offerte ha rifiutate! Il male è che ci vado io di mezzo… E se qualche galantuomo viene a mettermi nelle mani una carta di cinque lire, solamente, già, per informarsi – perchè, tanto, ambasciate a lei non glie ne porto più – , io non ci sto bene di coscienza, e sono perfino capace di non accettare la mancia. È un peccato mortale!
Lo dite a me? Lo so io se è un peccato mortale: io, che ero abituata ad avere da lei tutto quello che volevo… mentre adesso poco ci manca che non debba io soccorrere lei! Ah! quando penso ai tempi in cui la sua casa era in festa di giorno e di notte e si gettava la roba dalla finestra tant'era l'abbondanza; quando penso alle risate che mi faceva fare – perchè mi voleva un gran bene e mi raccontava tutti i fatti suoi – , credetemi, don Saverio, mi viene da piangere. Aveva sempre trattato gli uomini come fantocci, e ne aveva avuto tesori, e se n'era sempre infischiata… – senza mai commettere mal'azioni, veh!, perchè cattiva non era… – ; ed ecco che da un giorno all'altro s'incapriccia di questo spiantato, e addio allegria, addio abbondanza! Manda al diavolo tutti gli amici, e si riduce in questo stato…
Apritele gli occhi voi.
Non c'è come persuaderla. Se le parlo, non mi dà neanche retta… Ed io, che potrei!.. Basta!..
«Potreste»?.. Lasciatemi sentire: che cosa potreste? A me dovete dire tutto. Confidatevi… Tengo segreti qua dentro (la mano sul petto), che neppure un confessore!
(non volendo compromettersi) No… niente di positivo…
Volete farmi dei misteri; ma questo non va bene. Perchè, se poi avete bisogno di me…
Ma che vi pare? Avessi da confidarvi qualche cosa, non ve la confiderei? Lo so che siete un buon uomo, e che, all'occorrenza, per un amico, vi gettereste nel fuoco; ma, vi ripeto, per ora non c'è niente, non c'è niente…
(dalle scale) Che è questa porta aperta? (Entra. Vedendo Angiolina, mostra di seccarsene.) Ah! qui si fa conversazione…
Serva vostra!
(togliendosi il berretto) Tenevo compagnia a donn'Angiolina per non farla aspettare fuori la porta. Questa è la chiave. (Gliela dà.)
(prende la chiave. Infastidito e stanco, siede dopo di aver lasciato in un angolo il cappello e un quadretto che aveva portato sotto il braccio.) E la signora?
È uscita che saranno più di due ore. Poco potrà tardare. Comandate niente?
No.
(ad Angiolina, che gli è rimasta indietro, si rivolge tranquillamente) Che siete venuta a fare? Ve l'ho già detto: desidero che qui non ci veniate.
(paziente) La signorina Clelia mi aveva dato a vendere una veste, (mostra la veste) ed io vengo a dirle che non è stato possibile: non glie la vogliono comprare neppure per dieci lire.
(mal celando il turbamento) Quale veste?
(cavandola dal panno) Eccola…
Come! Anche questa?!
Sissignore,