Resa a discrezione. Giacosa Giuseppe
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Resa a discrezione Teatro in prosa vol. II
PERSONAGGI
• La Marchesa Elena di Roveglia
• La Contessa Elvira di Francofonte
• La Contessa Gemma Del Pallio
• La Baronessa Masina Roveri
• Il Marchese Teodoro di Roveglia
• Andrea Sarni
• Filippo Landucci
• Paolo D'Aspri
• D'Almèna
• Del Sannio
• Rulfi
• Rubaconti
• Lorenzo Del Pallio
• Enrico Pardi
• Il Cavaliere Lerici
• Anselmo |
• Ambrogio | domestici della Contessa
• Giulia, cameriera
ATTO PRIMO
SCENA I
Filippo.
Eccomi.
Chiudete quell'uscio e servite il caffè.
Subito. (fa per chiudere).
No, che fate? Almeno si sente quello che dicono. Gli uomini sono così divertenti dopo pranzo.
Perchè non vai di là addirittura?
Se ci fossi io cambierebbero discorso.
Che peccato!
O se non lo cambiassero saresti costretta ad arrossire, mentre qui fra donne…
Brava, ed io?
Come, voi?
Avete detto qui fra donne. E io cosa sono?
E oramai voi non contate più.
Che ingratitudine! E poi si lagnano se gli uomini le lasciano in disparte.
Non ci lasciano, ce ne stiamo.
Coll'uscio aperto.
E chi ascolta?
Le donne hanno sempre un orecchio teso ai discorsi lontani.
Quando i vicini non interessano.
Se è una malignità, non fa colpo; non m'avrò mai per male di cose dette da una donna.
Neanche se vi dicessi che siete un impertinente?
Di questo mi glorierei. (la serve di caffè).
Sì, badate a versarmelo adosso.
Marchesa, siete più nervosa del solito.
È vero, lo tratti male.
Gli parli così asciutto.
La… Filippo. (gli porge la mano).
Mi piacciono i vostri nervi. Sono gli incerti del mio mestiere.
Lo sentite? Mestiere! Con noi esercita il suo mestiere.
Come devo dire? Arte? L'arte vuole una vocazione e non ne ho nessuna; non sono nel numero degli eletti io. Non c'è mai stata una donna innamorata di me.
Chi lo direbbe? (ride).
Ingrato Filippo! (ride).
È tanto giovine! (ride).
È inteso, padrone, ridano, non domando di meglio. (serve Gemma) Ce n'ho messo tre pezzi grossi, e una goccia di Cognac.
Bravo.
Ma intanto eccole tutte occupate dei fatti miei, mentre se ci fosse qui uno degli uomini che sono presi sul serio, tutte loro signore si studierebbero di mostrargli una grande noncuranza… salvo forse a ripagarlo…
Oh… oh… oh!
Parlo delle donne in genere. (serve Elvira) Contessa.
Grazie.
Ebbene io mi contento del mio piccolo successo palese… Non do ombra, mi lascio deridere, ad un altro direbbero: favorite di fare… a me si dice: fate. Ricevo ordini e li eseguisco, e servo di zimbello per attirare i tordi. Quando una signora vuole stimolare colla gelosia qualche Narciso ricalcitrante, mi fa l'occhietto dolce a me, quando vuole aver l'aria di fargli un sacrifizio mi manda a spasso; e a questo mestiere, mestiere, Marchesa, se non seggo a tavola, qualche briciola da raccattare, c'è sempre. Io sono il mendicante che raccatta le briciole.
Voi siete un vanitoso che vuol far credere ai proprii successi.
Infatti mi è più caro mi si attribuisca a torto l'amore di una donna, che possederlo davvero in segreto.
Siete più sincero degli altri, dacchè lo dite. Ecco tutto.
E aggiungerò che una certa società che giudica della vostra a distanza…
Vi attribuisce su di noi tutti i trionfi immaginabili.
Io nego sempre.
S'intende, senza di ciò non lo crederebbero. Ma ce lo meritiamo. Noi ci pavoneggiamo degli uomini come di gioielli, è naturale ch'essi ci rendano la pariglia. Non c'è uno, dico, non uno degli uomini che abbiamo respinto, che creda alla nostra virtù. Diranno che non ebbero le circostanze a seconda, che siamo fatte di marmo, senza cuore e senza immaginativa.
Quello che si dice di voi.
Quello che si dice di me. Che volete che pensi dei fatti nostri, la gente che non ci conosce, se gli amici ne fanno questo giudizio! – Noi mettiamo ogni studio a dare il peggior concetto possibile dei nostri costumi. Tolleriamo in casa dei discorsi che ci farebbero arrossire a leggerli. Se in teatro si parlasse come parliamo noi, come parlo io molte volte, tutti griderebbero allo scandalo ed alla calunnia, io per la prima. La suprema eleganza è una suprema spavalderia di sicurezza. Riconduciamo a casa, la notte, nella nostra carrozza, seduto al nostro fianco, un uomo che passò la serata a dirci che siamo belle. È vero che ce lo dicono così male! L'uomo che ci era ignoto ieri, oggi lo chiamiamo amico, gli scriviamo un biglietto domani. Ostentiamo una dimestichezza universale, senza intimità, senza poesia, e quindi senza pericoli. La poesia poteva riuscire a turbarci il cuore, ora messe al sicuro, amiamo di scherzare col fuoco. In apparenza siamo cinicamente corrotte, lo siamo timidamente in realtà. In fondo siamo scoraggite. Parliamo d'amore ad ogni momento perchè non ci crediamo più. L'amore è morto e seppellito.
Boum!!!
Si vede che frequentate certi amici…
E quali?
Sapete dove va la sera uscendo di casa nostra? Va all'ufficio, alla direzione, so io