In Ginocchio Da Te. Shanae Johnson

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In Ginocchio Da Te - Shanae Johnson


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Francisco DeMonti si muoveva tra le pecore. Occuparsi di piccoli animali aiutava gli uomini ad imparare di nuovo a stabilire rapporti con gli altri. Gli animali erano degli esemplari perfetti: molti offrivano un amore incondizionato, specialmente se c'era del cibo nella mano tesa.

      Fran non aveva cicatrici visibili. Le sue ferite erano tutte interne e c'erano ancora buone probabilità che lo potessero uccidere.

      “Hai fatto una buona cavalcata, stamattina?” chiese Fran uscendo dal recinto e raggiungendo Dylan sul sentiero che portava agli edifici principali.

      Dylan annuì.

      “Ho ricevuto una chiamata da un vecchio amico al centro veterani,” disse Fran. “Si chiedono se potremmo ospitare ancora un paio di soldati.”

      “Abbiamo spazio.”

      C'erano degli alloggi nel ranch, anche se la maggior parte dei soldati non rimaneva, una volta completata la terapia o la riabilitazione. Molti avevano delle famiglie alle quali ritornare, oppure scoprivano che la vita a lungo termine in un ranch non faceva per loro. I cinque veterani che avevano fatto del ranch la loro casa non godevano di quel lusso o non volevano tornare. Per loro, quella adesso era casa propria.

      “Prenderemo chiunque abbia bisogno di aiuto,” disse Dylan.

      E potevano farlo, con costi minimi o nessun costo. Tra le loro pensioni, che Dylan non lasciava spendere a nessuno, gli aiuti del governo, che lui usava per far avere a tutti i lavoratori un aumento di salario, e il suo fondo fiduciario, che copriva il grosso delle spese, non avrebbero mai avuto bisogno di mandare via qualcuno. A differenza del modo in cui la sua famiglia lo aveva trattato.

      “Passate una buona serata, ragazzi,” gridò il dottor Patel. L'uomo si diresse verso la macchina con una valigetta in una mano e la Bibbia nell'altra. Oltre ad essere uno psicologo autorizzato, era anche un uomo di Chiesa.

      “Stai andando in chiesa?” chiese Fran.

      “Esattamente.” Il dottor Patel sorrise. “C'è posto sul sedile del passeggero, se mi vuoi accompagnare.”

      “Un'altra volta,” disse Fran.

      Dylan restò zitto. Non aveva ancora risolto il suo rapporto con l'uomo dei piani alti e non si sentiva ancora pronto a iniziare, al momento. Tuttavia il dottor Patel si limitò a rivolgere ad entrambi il suo sorriso comprensivo. Se Dylan non avesse rispettato così tanto quell'uomo, si sarebbe sentito infastidito dal suo atteggiamento eternamente ottimista, dalla sua pazienza perpetua di fronte alle avversità e dalla costante sicurezza in ogni occasione.

      Mentre lo psicologo apriva la portiera della macchina, sopraggiunse un'altra automobile. Si trattava di un costoso modello di lusso. Per un attimo, Dylan si chiese se fosse suo padre, ma sapeva che lui non avrebbe mai lasciato Manhattan per venire in quell'America nel bel mezzo del nulla.

      L'uomo che scese dalla macchina indossava un completo costoso, ma confezionato e non sartoriale. Suo padre non avrebbe mai portato qualcosa che non fosse stato fatto a mano appositamente per lui. Dylan identificò l'uomo come Michael Haskell, l'amministratore del ranch.

      Haskell era un uomo pragmatico che andava dritto al punto. Non avrebbe perso tempo in convenevoli e dettagli insignificanti. Dylan affittava la terra da un anno circa, aspettando di concluderne l'acquisto. Restava ancora qualche piccolo dettaglio, prima che il contratto fosse nelle sue mani.

      “Abbiamo un problema,” disse Haskell. “In origine la terra è stata riservata ad un utilizzo familiare. L'acquisto non potrà essere concluso, se non ci saranno delle famiglie qui.”

      “Questa unità di soldati è una famiglia,” disse Dylan.

      “Questa unità è un gruppo di uomini,” disse Haskell. “Nessuno dei quali è sposato.”

      Dylan non riusciva a capire quale fosse il problema. Stava comprando della terra, non un parco divertimenti. Che importanza aveva chi ci viveva?

      “Come possiamo risolvere questa faccenda?” chiese Fran, che era sempre pratico. “Possiamo far cambiare il piano regolatore.”

      “Ci vorrebbero mesi per farlo cambiare e dovreste lasciare libero questo posto, mentre lo fate,” disse Haskell. “Suppongo che nessuno di voi abbia intenzione di sposarsi presto, vero?”

      Capitolo Quattro

      “Le ho concesso di restare con due cani, quando le regole ne permettono chiaramente uno solo e piccolo. Negli ultimi due anni, lei ha totalizzato quattro cani e solo due di loro sono piccoli.”

      Maggie cullava uno dei cagnolini tra le braccia, mentre il suo padrone di casa parlava. Soldier aveva perso la zampa anteriore dopo essere stata colpita da un'automobile. Lei l'aveva portata alla clinica veterinaria durante il suo primo mese lì. Era riuscita a curarla, amputandole la zampa martoriata e insegnandole a camminare sulle altre tre. La cagnolina si era ripresa, ma nessuno era venuto a reclamarla né l'aveva accolta in una nuova casa. La sua soppressione era stata programmata, ma in qualche modo la bestiola era scomparsa magicamente prima dell'appuntamento con la morte.

      Maggie mise giù Soldier sul pavimento di parquet nell'ingresso. Le unghie della cagnolina ticchettarono, mentre lei attraversava lentamente il pavimento: era evidente che non amasse la compagnia del signor Hurley più di quanto lui amasse la sua.

      Gli altri tre cani ai quali si riferiva il suo padrone di casa mantenevano le distanze. In genere erano un bel gruppo, che amava dare il benvenuto agli estranei e farsi nuovi amici umani, ogni volta che qualcuno si presentava alla porta o che uscivano in pubblico. Tuttavia sapevano per istinto che il signor Hurley non era un tipo amichevole.

      “E adesso ne sta aggiungendo un quinto?” chiese.

      Il quinto cane era accucciato sotto il tavolino da caffè di Maggie. Si era ripreso bene dall'intervento e il giorno successivo era sveglio e curioso. Maggie lo aveva equipaggiato di una sedia a rotelle per cani che aveva ideato lei stessa. Il cane ci aveva messo solo un giorno a padroneggiare l'apparecchiatura e ora stava volando attraverso il piccolo appartamento. Maggie lo aveva chiamato Spin.

      Maggie si avvicinò e sollevò il cagnolino, poi si voltò ad affrontare il padrone di casa con il suo sorriso più convincente. Era tutto quello che si poteva permettere, visto che non aveva più un impiego per pagare l'affitto. Sperava che il muso dolce del piccolo Irish terrier avrebbe convinto il signor Hurley.

      “Non le hanno mai dato problemi,” disse strofinando il naso su un lato del muso di Spin. Il cane le diede una leccata di apprezzamento, poi nascose la testa sotto il mento della ragazza. “Si accorge a malapena che sono qui.”

      I suoi cani non abbaiavano molto. Maggie immaginava che avessero imparato che alzare la voce poteva portare a uno sciopero da parte di un umano. Quindi, erano quasi sempre tranquilli.

      Non parlò del fatto che Stevie, il suo Rottweiler parzialmente cieco, aveva graffiato i mobiletti del bagno. O che Sugar, il suo Golden Retriever diabetico, aveva vomitato talmente tante volte che Maggie aveva perso la capacità di essere insensibile a quell'odore.

      Ma non fu necessario. Il signor Hurley non si lasciò commuovere da nessuno di quegli occhi da cucciolo. “Questo è irrilevante. Sta infrangendo le regole. Avrei lasciato perdere con due cani, ma non con cinque. Se non seguirà le regole e non terrà solo un cane piccolo, dovrà trovare un altro posto in cui vivere.”

      “Non può dire sul serio! Non posso scegliere tra i miei cani.”

      “Trovi loro una bella casa presso altre famiglie.”

      Non aveva funzionato, la prima volta. Era per quello che si trovavano tutti lì. La maggior parte dei professionisti single e delle famiglie con bambini non era interessata ad accogliere un animale anziano o ferito. Volevano solo dei cuccioli appena usciti dal ventre della madre, che corressero in giro su tutte e quattro le zampe e avessero energia sufficiente per prendere una palla.

      Inoltre, sapeva per esperienza di non poter lasciare i cani in un ricovero, mentre lei cercava una nuova casa. Sarebbero stati


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