Alla conquista di un impero. Emilio Salgari
Читать онлайн книгу.ma quello sforzo supremo fu vano.
Pareva che qualche peso enorme fosse stato collocato su quella lastra onde impedire, ai profanatori della pagoda, ogni via di scampo.
La Tigre della Malesia aveva mandato un vero ruggito. Il formidabile uomo non era abituato a trovare resistenza ai suoi muscoli d’acciaio.
– Siamo stati sorpresi e vinti, – disse a Yanez, coi denti stretti.
Il portoghese non rispose: pareva che pensasse intensamente. Ad un tratto si volse verso Bindar, chiedendogli con voce perfettamente calma:
– Conosci questi sotterranei?
– Sì, sahib, – rispose l’indiano.
– Vi è qualche passaggio?
– Uno solo.
– Dove mette?
– Nel Brahmaputra.
– Sopra o sotto la corrente?
– Sotto, sahib.
– Bah! Siamo tutti abilissimi nuotatori. Non ve ne sono altri?
– Non credo.
– Come lo sai, tu?
– Perché ho lavorato, alcuni mesi or sono, a rifare le volte che minacciavano di crollare.
– Sapresti guidarci?
– Lo spero, se le torce non si spegneranno.
– Ne abbiamo altre due di ricambio.
– Allora tutto andrà bene.
– Si tratta però di far molto presto. Se i gurum avranno il tempo di chiamare le guardie del rajah, allora tutto sarà finito per noi.
– Il palazzo del principe è lontano, sahib.
– Guidaci! —
L’indiano prese una torcia, che un malese gli porgeva e si diresse verso l’estremità della immensa sala, dove s’apriva una galleria molto ampia le cui volte parevano rifatte di recente.
– È questa che sbocca nel Brahmaputra? – chiese Yanez.
– Sì, – rispose Bindar.
– Non odi un rombo lontano, sahib?
– Sì, mi pare. —
L’indiano stava per riprendere la marcia quando Tremal-Naik lo arrestò.
– Che cosa vuoi, sahib? – chiese Bindar, sorpreso.
– Io scorgo laggiù un’altra porta che mette forse in qualche altra galleria, – disse Tremal-Naik.
– Lo so.
– Conduce anche quella al fiume? —
L’indiano ebbe una lunga esitazione e parve ad Yanez ed a Sandokan che dimostrasse dall’aspetto del suo viso un certo terrore.
– Parla, – disse Tremal-Naik.
– Non cacciarti là dentro sahib, – rispose finalmente il seguace di Siva. – Anzi teniamoci ben lontani e fuggiamo al più presto.
– Perché? – chiesero ad una voce Sandokan e Yanez colpiti vivamente dal tono strano della sua voce.
– Là vi è la morte.
– Spiegati meglio, – disse Tremal-Naik con voce imperiosa.
– Quella galleria conduce nella cella sotterranea dove si custodiscono i tesori del rajah e quella cella è guardata da quattro tigri.
– Per Giove! – esclamò Yanez, impallidendo. – E potrebbero quelle bestie venire qui?
– Sì, se i sacerdoti alzano la saracinesca che mette nella galleria.
– Noi e le signore tigri siamo vecchie conoscenze, – disse Sandokan, – tuttavia in questo momento non desidererei trovarmi dinanzi a loro.
Spicciati Bindar e allunga il passo. —
Il drappello si cacciò sotto la galleria a passo di corsa, volgendo di quando in quando la testa indietro, per paura di vedersi piombare addosso le quattro formidabili belve che vegliavano sul tesoro del principe.
Di passo in passo che si avanzavano, un rombo che pareva prodotto dal frangersi di qualche enorme massa d’acqua, si ripercuoteva sotto le volte, propagandosi sempre più distintamente.
Era il Brahmaputra, che rumoreggiava all’estremità della galleria.
Quella ritirata precipitosa durava da alcuni minuti, quando i fuggiaschi si trovarono improvvisamente in una seconda sala, molto meno ampia della prima, scavata nella viva roccia e assolutamente nuda.
Il fracasso prodotto dal fiume era diventato intensissimo. Si sarebbe detto che quelle massicce pareti tremavano sotto gli urti poderosi dell’enorme affluente del sacro Gange.
– Ci siamo? – chiese Yanez a Bindar, alzando la voce.
– Il fiume non è che a pochi passi, – rispose l’indiano.
– Sarà lungo il tratto che dovremo percorrere sott’acqua?
– Cinquanta o sessanta metri, sahib. Tuffati senza pericolo entro il pozzo e finirai nel fiume.
Io rispondo di tutto. —
Yanez sciolse rapidamente la fascia di lana rossa che portava stretta attorno ai fianchi e la passò intorno all’anello di metallo del prezioso cofano che racchiudeva la pietra di Salagraman, legandosi il prezioso talismano alle spalle.
– Al pozzo, ora, – disse poi all’indiano.
Bindar stava per cacciarsi nell’ultimo tratto della galleria, quando s’arrestò bruscamente facendo un gesto di terrore.
– Vengono!
– Chi? – domandarono Yanez e Sandokan.
– Le tigri.
– Io non ho udito nulla, – disse il portoghese.
– Guardate sotto la galleria che abbiamo attraversata. —
Tutti si erano voltati puntando le carabine.
Otto punti luminosi, che avevano dei riflessi verdastri, che ora si socchiudevano ed ora si aprivano, brillavano sinistramente fra le tenebre.
– Per Giove! – esclamò Yanez, che dinanzi al pericolo aveva ricuperato prontamente il suo meraviglioso sangue freddo. – Sono ben occhi di tigri, quelli che scintillano laggiù.
I gurum le hanno scatenate ma non hanno pensato che le nostre costole sono indigeste anche alle signore della jungla.
– In ginocchio tutti! – comandò Sandokan, snudando la scimitarra e traendo una pistola a doppia canna.
– Puoi tener fronte all’attacco? – chiese Yanez.
– Sì, fratello.
– Andiamo a vedere il pozzo, Bindar. Assicuriamoci innanzi a tutto la ritirata.
– Fa’ presto, fratello, – disse Sandokan.
– Non domando che un solo minuto. —
Si slanciò nella galleria coll’indiano che portava una torcia. Il fragore, prodotto dal fiume scorrente sopra i sotterranei della pagoda, era diventato assordante.
Bindar, che tremava come se avesse la febbre, percorsi venti passi e fors’anche meno, si era fermato dinanzi ad una vasta apertura circolare, che non era difesa da alcun parapetto, in fondo alla quale si udivano a gorgogliare cupamente le acque del Brahmaputra.
– È per di qui che dovremo scendere, – disse. – Vedi, sahib, che vi è anche una gradinata. —
Yanez non aveva potuto trattenere una smorfia di malcontento.
– Per Giove! – esclamò. – Questa discesa non sarà molto allegra; sei ben sicuro che noi non lasceremo la nostra pelle entro questa voragine?
– Alcune settimane or sono per di qui è