Capitan Tempesta. Emilio Salgari

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Capitan Tempesta - Emilio Salgari


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la sua perdita. Il turco, che forse non la ignorava, fu lesto alla parata e rispose con un colpo di scimitarra così fulmineo che il disgraziato avventuriero non fu in tempo di parare. La lama lo colpì al di sopra della corazza, toccandolo alla parte destra del collo e producendogli una larga ferita.

      – Il Leone ha vinto l’Orso! urlò il turco mentre centomila voci salutavano quella inaspettata vittoria con un clamore assordante.

      Il polacco si era lasciata sfuggire la spada. Stette un momento ritto sulla sella, portandosi una mano alla ferita, come per arrestare il sangue che gli sfuggiva in gran copia, arrossandogli la corazza, poi rovinò pesantemente al suolo con un cupo fragor di ferraccio, rimanendo steso ed immobile accanto al cavallo che si era subito fermato.

      Capitan Tempesta non aveva battuto ciglio. Levò la spada e mosse incontro al vincitore dicendogli freddamente:

      – A noi due ora, signore.

      Il turco guardò la giovane duchessa, con un misto di stupore e di simpatia, poi disse:

      – Voi! Un fanciullo!

      – Che vi darà da fare, signore. Volete riposarvi qualche istante?

      – Non vi è bisogno. Mi sbrigherò presto con voi. Siete troppo debole per misurarvi col Leone di Damasco.

      – Sarà pesante la spada rispose la duchessa. – Guardatevi: vi uccido!

      – Sareste voi un lioncello più pericoloso dell’Orso della Polonia?

      – Può darsi.

      – Ditemi almeno prima il vostro nome.

      – Mi chiamano Capitan Tempesta.

      – Non giunge nuovo ai miei orecchi, – disse Muley-el-Kadel.

      – Ed ai miei nemmeno il vostro.

      – Siete un prode.

      – Non lo so. Guardatevi: vi attacco.

      – Vi aspetto, quantunque mi rincresca uccidere un così bel fanciullo, che ha tanta lealtà e tanta audacia.

      – Vi dico di guardarvi dalla punta della mia spada. Per San Marco.

      – Pel Profeta!

      La duchessa, che oltre ad essere una spadaccina formidabile, era pure una amazzone impareggiabile, allentò le briglie del suo cavallo e caricò risolutamente, colla spada in linea, passando come un uragano accanto al turco.

      Nel momento in cui questi si preparava a coprirsi colla scimitarra gli vibrò una stoccata in direzione della gola, onde non smussare la spada contro la corazza.

      Muley-el-Kadel, che già stava in guardia, parò rapidamente, ma non interamente. La spada della intrepida fanciulla, rialzata bruscamente, lo colpì nel cimiero, il quale gli fu levato di colpo e gettato a dieci passi di distanza.

      – Ecco una stoccata magnifica disse il Leone di Damasco, stupito da quella botta fulminea. – Questo fanciullo vale meglio dell’Orso della Polonia.

      Capitan Tempesta continuò la sua corsa per una ventina di metri, poi, facendo fare al suo cavallo un rapido volteggio, tornò contro il turco colla spada sempre in linea, pronta a colpire.

      Gli passò a sinistra, parando un colpo di scimitarra e si mise a volteggiargli intorno, spronando sempre il cavallo per imprimergli maggior velocità.

      Muley-el-Kadel, sorpreso da quella manovra, aveva un gran da fare a tener fronte a quell’agile nemico. Il suo cavallo arabo, semistordito, girava sulle zampe deretane, inalberandosi, onde poter far fronte a quello del giovane capitano che pareva avesse il fuoco nel ventre.

      I turchi ed i cristiani prorompevano in altissime grida, incoraggiando i loro campioni.

      – Addosso, Capitan Tempesta!

      – Viva il difensore della Croce.

      – Uccidi il giaurro!

      – Allah! Allah!

      La duchessa, che conservava sempre una calma meravigliosa, a poco a poco si stringeva addosso al turco, I suoi grandi occhi neri mandavano lampi ed il suo viso si coloriva di roseo. Le sue labbra vermiglie fremevano e le sue narici si dilatavano, come aspirassero l’odore acre della polvere.

      I giri diventavano sempre più stretti, mentre il cavallo arabo del turco, girando sempre su se stesso, si esauriva rapidamente.

      – Badate, Muley-el-Kadel! gridò ad un tratto.

      Aveva appena terminato l’avvertimento, quando la sua spada colpì il turco sotto l’ascella destra, là dove la corazza non riparava più il petto.

      Muley-el-Kadel aveva mandato un grido di rabbia ed insieme di dolore, mentre fra le orde barbare s’alzava un muggito formidabile, simile al fragore che produce la marea della Manica in una notte d’uragano.

      Sugli spalti di Famagosta invece, i guerrieri veneti sventolavano le bandiere ed i fazzoletti ed alzavano sulle picche e sulle alabarde i loro elmi, urlando a squarciagola:

      – Viva il nostro giovane capitano! Laczinki è vendicato!

      La duchessa, invece di piombare sul ferito e di finirlo come ne avrebbe avuto il diritto, aveva arrestato il cavallo, guardando con un misto di orgoglio e di compassione il giovane Leone di Damasco che faceva sforzi supremi per mantenersi in sella.

      – Vi dichiarate vinto? – chiese, facendo avanzare il cavallo. Muley-el-Kadel fece atto di alzare la scimitarra per riprendere la lotta, quando le forze improvvisamente gli vennero meno.

      Vacillò, s’aggrappò alla criniera del cavallo, poi cadde come era caduto il polacco, con un cupo fragore di ferraglia.

      – Uccidetelo! urlarono i guerrieri di Famagosta – Nessuna compassione per quel cane, Capitan Tempesta!

      La duchessa scese da cavallo, tenendo in mano la spada, la cui punta era insanguinata e s’avvicinò al turco che si era alzato sulle ginocchia.

      – Vi ho vinto, – disse.

      – Uccidetemi rispose Muley-el-Kadel. – È vostro diritto.

      – Capitan Tempesta non uccide chi non può difendersi rispose la duchessa. – Siete un valoroso e vi dono la vita.

      – Non credevo che i cristiani fossero così buoni rispose il Leone di Damasco, con voce fioca. – Grazie: non mi dimenticherò mai della generosità di Capitan Tempesta.

      – Addio, signore e vi auguro di guarire presto.

      La duchessa stava per dirigersi verso il proprio cavallo, quando delle urla selvagge la fermarono.

      – Morte al giaurro! – urlavano parecchie voci.

      Otto o dieci cavalieri turchi giungevano a corsa sfrenata, colle scimitarre alzate, per piombare addosso a Capitan Tempesta e vendicare la sconfitta del Leone di Damasco.

      Un grand’urlo di furore si era alzato fra i cristiani di Famagosta:

      – Vili! Traditori!

      Muley-el-Kadel, con uno sforzo supremo, si era alzato, pallido, ma cogli occhi fiammeggianti d’ira.

      – Miserabili! tuonò, rivolgendosi verso i suoi compatrioti. – Che cosa fate? Fermatevi o domani vi farò impalare tutti, come indegni di appartenere a guerrieri leali e valorosi.

      I cavalieri si erano arrestati, confusi e spaventati. In quel momento due colpi di colubrina rimbombarono sul bastione di San Marco e un nembo di mitraglia li colpì, gettandone a terra sette insieme ai loro cavalli.

      I superstiti si erano affrettati a volgere le spalle, fuggendo a gran corsa verso il campo turco, fra i fischi e le risate dei loro compagni, che non approvavano quell’intervento improvviso.

      – Ecco la lezione che vi meritavate disse il Leone di Damasco, mentre il suo scudiero lo sorreggeva.

      Le artiglierie turche non avevano risposto ai due colpi di colubrina dei cristiani.

      Capitan Tempesta, che aveva ancora la spada in mano, risoluto a vendere cara la vita, fece a Muley-el-Kadel


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