La crociera della Tuonante. Emilio Salgari

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La crociera della Tuonante - Emilio Salgari


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spazzava senza posa le rive. Si erano anche ingannati sulla profondità delle acque dei canali, i quali non erano stati bene scandagliati prima di cominciare il combattimento.

      Alle sette della sera tutte le navi, più o meno malconce e cogli equipaggi più che decimati, dopo aver provato per quattordici ore il valore e la collera americana, abbandonavano definitivamente l’impresa, anche perché degli audaci corsari, montati su piccole scialuppe, erano riusciti a rinnovare le munizioni del forte.

      A mezzanotte tutto era finito; e mastro Testa di Pietra, dopo tanto lavoro, uscito ancora una volta illeso, si permetteva il lusso di vuotare, in compagnia di Piccolo Flocco, una buona bottiglia, seduto a cavalcioni del suo pezzo favorito.

      4. Il carnefice di Boston impicca

      Una settimana dopo della grande vittoria americana, poiché quell’ostinata difesa aveva costretto anche le ultime navi lasciate da lord Howe ad andarsene, la Tuonante, con nuovo albero e ben provvista di viveri e di munizioni, lasciava le acque del forte di Moultrie. Ma non era sola: guidava la prima flottiglia americana composta, come abbiamo detto, del Colombo, dell’Alfredo, dell’Andrea Doria, del Sebastiano Caboto e Provvidenza, con un totale di cento e sei cannoni e montata da più che cinquecento abilissimi marinai, abituati ormai a corseggiare attraverso l’Atlantico.

      Una gravissima notizia era giunta, portata da una piccola gagliotta, gravissima per gli Americani e niente affatto spiacevole a sir William, il quale non dimenticava un solo istante Mary di Wentwort, e il marchese d’Halifax. Aveva dunque raccontato il comandante del piccolo e sveltissimo legno corsaro che una grossa squadra, comandata da lord Dunmore, proveniente dai porti d’Irlanda con parecchie migliaia di Scozzesi, soldati in special modo temuti dagli Americani per il loro valore e la loro incredibile resistenza al fuoco, dopo aver cercato di approdare sulle rive della Virginia, respinta da spaventevoli uragani, si avvicinava. Ma aveva anche aggiunto che un certo numero di navi, che lord Howe cercava di condurre verso New York, pure sorprese da venti contrari e da tempeste, si erano imbrancate nella flotta di lord Dunmore.

      Una speranza era subito balenata nel cuore del Baronetto: che anche la fregata del Marchese fosse stata sorpresa dai cicloni e che si trovasse insieme con quelle giunte dall’Europa.

      E perché no? Testa di Pietra, che da buon Bretone vedeva molto lontano, era più che mai convinto di ritrovare in qualche luogo dell’Atlantico la fregata che aveva rapito al suo capitano la bionda Mary di Wentwort.

      «Corpo di tutti i campanili della Bretagna!» aveva detto a Piccolo Flocco. «Noi faremo una magnifica crociera quantunque la squadriglia americana, a mio giudizio, valga ben poco… Bà! la vedremo alla prova.»

      La Tuonante aveva appena assaggiate le onde dell’Atlantico, quando delle grida furiose si alzarono dalla stiva, il cui boccaporto era rimasto aperto. Si bestemmiava e anche si picchiava sonoramente, e delle persone urlavano di quando in quando in pessimo inglese:

      «Voi accopparci? Canaglia!»

      «Noi essere soldati!»

      «Ma che soldati?…», rispondeva la voce tonante del mastro della sala. «Siete dei traditori. Vi abbiamo sorpresi nella Santa Barbara. Che ci facevate, canaglie? Volevate farci saltare tutti! Giù, un paio di pedate ancora. In coperta, in coperta miserabili!»

      Testa di Pietra e Piccolo Flocco, udendo quelle grida, si lanciarono verso il boccaporto di mastra, seguiti dal Baronetto e dal carnefice di Boston.

      Quattro uomini, che indossavano la divisa degli Assiani, venivano spinti su per la scala a pugni e pedate, fra una sequela interminabile di minacce e di bestemmie.

      «A morte questi traditori!»

      «Hanno le tasche piene di sterline inglesi.»

      «Furfanti!»

      «Vi appiccheremo tutti sui più alti pennoni.»

      I quattro disgraziati, quasi accoppati dai pugni e dai calci che grandinavano su di loro senza economia, un pò spinti, un pò trascinati, giunsero finalmente sulla tolda della corvetta.

      Un grande scoppio di risa sfuggì a Testa di Pietra e a Piccolo Flocco. Nel primo, che era sorto dalle profondità della stiva, avevano riconosciuto l’allegro Assiano che essi avevano così ben giocato durante l’assedio di Boston.

      «Ohé, mastro Hulbrik, non conoscete più il vostro compare paca paca?» gli disse.

      Il Tedesco, udendo quella voce, spiccò un salto, sfuggendo ai marinai, e alzando le braccia verso il cielo, gridò:

      «Patre, questi pricconi folermi appiccare!»

      «Patre ero a Boston, ma non qui. Non vi pagherò più salsicciotti affumicati e pirra.»

      Testa di Pietra fece ai marinai un gesto imperioso, affinché cessassero di battere quei quattro disgraziati che sembravano più morti che vivi, e in quel momento sir William accompagnato dal suo secondo comparve in coperta.

      «C’è una rivolta a bordo?», domandò mettendo le mani sulle due pistole che portava sempre alla cintura.

      Poi, accortosi della presenza dei quattro uomini tenuti stretti dai marinai, chiese, facendo un gesto di stupore:

      «Che cosa fanno questi Tedeschi a bordo della mia nave? Parla, Testa di Pietra.»

      «Per ora ne so meno di voi, comandante. Vi è peraltro fra questi paffuti e rubicondi Teutoni, imbottiti di salsicce e di birra, una nostra vecchia conoscenza.»

      «Chi è?»

      «Patre!…», gridò in quel momento l’Assiano, tentando di slanciarsi novamente verso il Bretone.

      «Ah! l’uomo che tu spogliasti dopo averlo ubriacato con dell’aguardiante scorpionata», disse il Corsaro ridendo.

      «Sì, mio comandante. Erano bei tempi quelli! Ma forse quel bravo mastro Taverna, che pretendeva offrirci delle bottiglie, chiuse cinquant’anni prima…»

      «Da suo padre morto ubriaco», disse Piccolo Flocco. «Quell’oste era una gran canaglia».

      «Non dir male di mastro Taverna. Senza di lui tu non saresti forse ancora a bordo della corvetta».

      «Dunque volete finirla?», disse il Corsaro impazientito. «Che facevano questi Tedeschi a bordo della mia nave? Non avevano certo delle buone intenzioni: è vero, mastro Hulbrik?»

      «Permettete, sir, che risponda io prima di loro», disse un carpentiere facendosi innanzi.

      «Parla, e fa’ presto.»

      «Stavo facendo una riparazione alla quinta tramezzata di prora, quando ho veduto uscire da non so dove questi galantuomini. Ma mi è parso che non fossero lontani dalla Santa Barbara.»

      «Per tutti i salsicciotti di mastro Taverna!», esclamò Testa di Pietra. «Volevano mandarci in aria se…»

      «Taci, eterno chiacchierone!», disse il Corsaro. «Orsù, mastro Hulbrik, che cosa facevate nella cala della mia corvetta coi vostri compagni?»

      «Parla, compare pirra pirra,» disse il Bretone, il quale non poteva stare zitto nemmeno cinque minuti.

      Il povero Assiano si fece smorto, agitò due o tre volte le braccia in alto, come se avesse voluto invocare a sua difesa chi sa quali testimoni, poi balbettò:

      «Io afermi imbarcato per tornare a casa. Basta guerra.»

      «E ti sei rifugiato sulla mia nave?» chiese il Corsaro.

      «Io non afere feduto altre quella notte.»

      «Quale notte?»

      «Del bombardamento del forte di Moultrie.»

      «Ma dove ti trovavi tu?»

      «Su pastimento chiamato Bristol.»

      «Quello che abbiamo mezzo distrutto a cannonate?»

      «Ja, patre.»

      «Ah, furfante!», gridò Testa di Pietra balzando avanti e mostrandogli i pugni. «Il mio comandante tuo padre?… Tu non sei, che io sappia, figlio di qualche principe prussiano


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