La favorita del Mahdi. Emilio Salgari

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La favorita del Mahdi - Emilio Salgari


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egli fissava l’almea con due occhi fiammeggianti. La sua faccia era visibilmente alterata, le sue labbra di quando in quando fremevano e grosse gocce di sudore scorrevangli sull’ampia fronte. Non respirava quasi più; lo si avrebbe detto pietrificato.

      L’almea s’era messa allora ad agitare le braccia come cercasse di respingere l’ape che voleva punzecchiarla, atteggiando il suo superbo volto ad una grande angoscia, ed agitava il leggero velo azzurro con una varietà di movenze voluttuose. Talvolta si soffermava come spossata e i suoi occhi, che scintillavano d’un fuoco strano, selvaggio, si portavano su Abd-el-Kerim, il quale trasaliva come gli penetrassero in fondo all’anima.

      La lotta contro la supposta ape durò per un buon quarto d’ora animata dall’incessante suono del cembalo, poi l’almea s’arrestò angosciata e smarrita, gettando un grido acuto di dolore. L’ape apparentemente le era penetrata fra le vesti e le faceva sentire l’acuto suo pungiglione.

      Essa cercò di liberarsene, poi con movenze agili, vertiginose si mise a rigirare su sè stessa, abbandonandosi spossata fra le braccia dello schiavo.

      Gli astanti scoppiarono in un grande applauso.

       Ira di Dio! esclamò il greco, battendo fortemente il pugno sul tavolo. Non ho mai visto una donna simile! È superba come un urì!

      Abd-el-Kerim rialzò il capo, le sue mani si raggrinzarono rigando colle unghie la pelle dell’angareb e lanciò una torva occhiata sul greco.

       Lui! mormorò.

      L’almea si era avvicinata a loro tendendo le mani. Abd-el-Kerim trasse una manata di piastre e gliele porse. Il sorriso che ne ebbe lo sconvolse.

      Notis li guardò entrambi con sorpresa e sentì una ondata di sangue montargli alla testa nel sorprendere lo sguardo che si scambiarono e al sospetto che gli balenò in mente.

       Come ti chiami bell’almea? chiese egli sardonicamente.

       Fathma, rispose con nobile alterigia, la danzatrice.

       Tu sei bella! esclamò Oòseir, alzandosi. Tanto bella che io voglio posare le mie labbra sulle tue.

      L’almea si trasse indietro. I suoi occhi s’infiammarono per l’ira e lo sdegno.

       Non toccarmi, diss’ella con tono di minaccia. Vi sono pugnali capaci di forare il petto anche a un basci-bozuk.

      Volse bruscamente le spalle ed uscì dal caffè seguita dallo schiavo. Oòseir fe’ atto di slanciarsi dietro a lei, ma due mani di ferro lo curvarono sull’angareb.

       Non muoverti, gli disse Abd-el-Kerim gravemente.

       Che ti salta in capo? chiese il basci-bozuk irritato.

       Non muoverti, ti ripeto.

       È forse la tua amante?

      Il greco si levò coi capelli irti, guardando fissamente l’arabo.

       Tua amante! esclamò con voce strozzata. Ed Elenka? E mia sorella?

       Non aver paura, Notis, disse Abd-el-Kerim, pacatamente. È la prima volta che io vedo quella donna e sono incapace di tradire la mia fidanzata.

       Posso crederti?

       Lo devi credere.

       E allora, che importa a te se io voglio baciarla? chiese Oòseir.

      L’arabo si tacque, non sapendo certamente che cosa rispondere.

       Hai forse paura che quell’almea mi pugnali.

       Ne sarebbe capace, disse un sennarese, che fumava lì vicino.

       La conosci tu? chiese Notis, con vivacità. Dove abita?

       Non so chi sia. È giunta a Machmudiech due giorni fa e si è subito fatta temere. Un barcaiuolo che voleva abbracciarla fu da essa pugnalato e precipitato nel Bahr-el-Abiad.

       È una jena quest’almea?

       Forse peggio, rispose il sennarese.

       E dove credi che sia andata ora? domandò Oòseir.

       Ho veduto di fuori il suo cammello. Deve essere partita in direzione di Hossanieh, giacchè parlava di volersi recare al campo egiziano.

      Abd-el-Kerim che aveva prestato molta attenzione a quelle risposte, si levò in piedi come spinto da una molla.

       È notte diss’egli, con voce leggermente alterata.

       E che importa! esclamò Oòseir.

       Abbiamo da percorrere molta via prima di giungere a Hossanieh.

       Non avete dei mahari?

       I mahari non impediscono alle fiere di uscire dai loro covi. Andiamo, Notis, andiamo.

       Hai ragione, Abd-el-Kerim, rispose il greco alzandosi.

      Gettarono una manata di parà al wadgi, cinsero le scimitarre che avevano deposte in un angolo e strinsero la mano al basci-bozuk.

       Addio, Oòseir, disse l’arabo.

       Buona fortuna, amici miei, rispose il basci-bozuk. Che Allàh e il Profeta tengano lontani i leoni e le iene.

      Arabo e greco salutarono gli astanti e uscirono dal caffè.

      CAPITOLO II. L’almea

      Le tenebre allora erano calate. Al nord, sulla cima delle creste del monte Auli, appariva la luna la quale vedevasi spandere un incerto chiarore al di sopra delle oscure boscaglie del Gemanje, e in cielo salivano le stelle che riflettevansi vagamente sull’azzurra e placida corrente del Bahr-el-Abiad. Alcuni Sennaresi ed alcuni Arabi gironzavano ancora o sedevano in mezzo alle vie o a ridosso ai muricciuoli delle capanne, fumando nel scibouk o nei narghilèh.

      I due ufficiali scesero verso la riva presso la quale galeggiava una dahabiad a sei remi montata da alcuni barcaiuoli. Vi entrarono e si fecero traghettare alla sponda opposta, sbarcando ai piedi delle foreste, i cui rami giganteschi e fronzuti si curvavano graziosamente sulle acque.

       Dove sono i cammelli? chiese Notis.

       A cinquecento passi da qui, rispose Abd-el-Kerim, distrattamente.

       Hai preso con te il mio schiavo Takir?

       No, l’ho lasciato al campo onde preparasse la tua tenda.

       Allora chi li guarda? Se tu gli hai lasciati soli non so se li troveremo ancora. Gli Arabi, amico mio, non sono fiori di galantuomini.

       Non aver timori, Notis. Gli ho affidati ad un sudanese di mia conoscenza.

      S’arrampicarono sulla riva che veniva giù quasi a picco, tutta cosparsa di canneti e di enormi radici che s’intrecciavano confusamente le une colle altre e s’internarono sotto le oscure vôlte della foresta. Notis prese un sentieruzzo appena appena visibile, ed Abd-el-Kerim gli si mise dietro in silenzio e colla fronte aggrottata, come se un grave pensiero lo tormentasse.

      Quanto il greco procedeva con passo spedito, altrettanto l’arabo camminava lento e come svogliato. Anzi quest’ultimo di tratto in tratto si fermava, voltavasi indietro e mirava con occhio triste e cupo le rive del fiume e i dintorni, tendendo attentamente l’orecchio.

      Dopo una ventina di minuti, il greco scorse, semituffato fra le piante, una zeribak, specie di recinto formato da pali nei quali si radunano usualmente gli armenti per proteggerli contro gli assalti delle bestie feroci. Egli si arrestò, armando per precauzione il suo revolver.

       Olà, Abd-el-Kerim, dove siamo noi? chiese egli.

      L’arabo che era lontano, non l’udì e per conseguenza non rispose. Notis si volse indietro e lo vide fermo in mezzo al sentiero che guardava fissamente le


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