La rivicità di Yanez. Emilio Salgari

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La rivicità di Yanez - Emilio Salgari


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al vostro accampamento?

      – La fermeremo.

      – Non l’avete fermata prima quando avevate tutte le probabilità di schiacciarla.

      L’ex rajah digrignò i denti come un vecchio sciacallo, poi disse con voce piena di amarezza:

      – Sí, è vero; le mie truppe non sono resistenti malgrado l’aiuto dei rajaputi.

      Gettò via il bicchiere che teneva ancora in mano fracassandolo contro un trofeo d’armi, poi, dopo un silenzio piuttosto lungo, riprese:

      – Insomma, che cosa volete?

      – Mi pare di avervelo detto poco fa – rispose l’olandese. – Sono venuto per ottenere da voi il permesso di lasciar andare i miei amici ed i loro combattenti.

      – Voi scherzate! – disse il rajah.

      – Vi rifiutate?

      – Assolutamente.

      – Vi ripeto di guardarvi da quegli uomini che valgono per mille e piú i quali, come vi ho detto, posseggono delle mitragliatrici.

      – Io sento di essere ancora il piú forte.

      – Che cosa farete?

      – Li affamerò.

      – Hanno cinque elefanti, ed il Maharajah, prima di ritirarsi nelle cloache e di licenziare i montanari, ha fatto accumulare immense quantità di provvigioni.

      – Io non ho fretta ed aspetterò che abbiano esaurito tutto.

      – E come farete a mantenere tutta la vostra gente ora che non vi è piú una bottega in piedi, nemmeno di panettiere?

      – Vivono con niente i miei uomini, mio caro sahib gran dottore. A loro bastano il riso e le frutta delle foreste.

      – Si indeboliranno spaventosamente, ve lo dico io, appunto perché sono un medico.

      – Non ve ne preoccupate – disse il rajah.

      L’olandese si alzò e disse:

      – La mia missione è finita e quindi me ne vado.

      – E se vi trattenessi?

      – L’Olanda vi farebbe pagar cara questa perfida azione, e anche l’Inghilterra non mancherebbe d’intervenire.

      Il rajah rifletté qualche momento, poi disse:

      – Siete libero: non voglio che si sparga la voce nel vicino Bengala che io tratto i parlamentari come un re barbaro.

      – Dunque siete ben deciso a non lasciar uscire quelle persone?

      – Vi ho detto di no.

      – Altezza, i miei saluti.

      Il rajah non rispose nemmeno.

      Il dottore uscí e trovò subito il bramino accompagnato da un’altra scorta, composta tutta di rajaputi.

      – Mi guidate? – gli chiese.

      – Sí, sahib – rispose Kiltar, mettendoglisi a fianco. – Non avete concluso nulla?

      – Non vuole assolutamente lasciarli andare.

      – Lo aveva già detto anche a me.

      – Verrai con noi tu, o rimarrai qui?

      – Vi posso essere piú utile fuori che là dentro. Che cosa rappresenterei io? Una carabina di piú, ed anche pessima, non essendo mai stato un guerriero.

      – Come potremo rivederti?

      – Sono stato nelle cloache, so che vi sono delle entrate che non tutti conoscono, e spero di ricomparire ben presto.

      – Guardati dal colera.

      – Non ho mai avuto paura di quel male che…

      In quel momento l’olandese incespicò e cadde lungo disteso spaccando le due bottiglie piene di bacilli.

      – Ah, il mio liquore! – gridò. – E non ne ho piú!

      Kiltar si affrettò ad alzarlo, e dalle tasche dell’olandese uscirono dei pezzi di vetro e una certa brodaccia spessa che non tramandava nessun odore d’alcool.

      – Ho capito – disse.

      I rajaputi che formavano la scorta non si erano affatto preoccupati di quella caduta, che, d’altronde, non poteva essere stata affatto pericolosa.

      Si stupirono peraltro un po’ quando videro l’olandese levarsi in fretta la giacca ed il panciotto e gettarli al vento.

      – Il sahib gran dottore ha caldo – disse loro Kiltar. – Egli possiede altre vesti. Tuttavia vi ordino di non toccar nulla, poiché quel sahib piú tardi potrebbe reclamare tutto nella sua qualità di parlamentario.

      I rajaputi sapendo che il bramino godeva la fiducia del rajah, si guardarono bene dal raccogliere quegli indumenti, che già non potevano avere che un meschino valore, specialmente dopo tutte quelle macchie di brodaccia giallastra che si erano rapidamente allargate sulla flanella bianca.

      Il dottore, da uomo previdente, prima di fare quel capitombolo aveva cacciato in una tasca dei calzoni la sua inseparabile pipa, la piccola provvista di tabacco ed una scatola di zolfanelli, sicché ricominciò subito a fumare.

      Il drappello attraversò il vasto accampamento, destando una certa curiosità fra gli accampati e verso le nove del mattino giunse dinanzi all’imboccatura della grande cloaca.

      All’allarme dato dai malesi e dai dayaki che vegliavano intorno alle mitragliatrici, i rajaputi, per paura di ricevere una scarica da quelle terribili armi che li avevano crudelmente decimati fra le jungle e le risaie, sostarono.

      – Sono il dottore!… – gridò l’olandese a gran voce. – Non fate fuoco.

      Poi volgendosi verso Kiltar, disse facendo un rapido cenno d’intelligenza:

      – Addio bramino.

      – Che il vostro dio vegli su di voi – rispose Kiltar.

      La scorta si allontanò subito velocemente, fermandosi solamente nei dintorni, della moschea che era stata già occupata da un grosso numero di fakiri e di paria.

      – Dove sono dunque il Maharajah e la Tigre della Malesia? – chiese Wan Horn, avanzandosi fra due file di guerrieri.

      – Vengono, signore – disse il malese rugoso che tutti chiamavano Sambigliong.

      Ed infatti non era trascorso ancora mezzo minuto che i due capi si presentarono, accompagnati da Tremal-Naik, da Kammamuri e dal cacciatore di topi.

      – Dite subito – disse Yanez all’olandese. – Siate breve.

      – La mia missione è pienamente riuscita, signori miei – rispose il signor Wan Horn. – Ho perduto la giacca ed il panciotto, ma ormai i microbi del colera si moltiplicano a milioni nell’accampamento dei banditi.

      – Avete rotte le due bottiglie?

      – Sí, Altezza, e senza rompermi, fortunatamente, il naso.

      – Avete veduto Sindhia?

      – Mi ha ricevuto nella sua tenda e abbastanza gentilmente.

      – Era ubriaco?

      – Doveva avere già molto bevuto.

      – E vi ha detto?

      – Che vi terrà assediati finché avrete mangiato l’ultimo pezzo di elefante.

      – Raccontate signor Wan Horn – disse Sandokan. – È proprio vero che ha con sé molte migliaia di combattenti?

      – Molte migliaia, sí.

      – Truppe solide?

      – Ah, io non lo credo. Il loro numero peraltro è tale da poter resistere a piú d’un assalto.

      – Dei rajaputi ve ne sono molti?

      – Io non ho visitati tutti i campi, ma il rajah si doleva delle terribili perdite subite da quei forti


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