Le due tigri. Emilio Salgari

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Le due tigri - Emilio Salgari


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l’indiano.

      – E che Suyodhana sia là?

      – Si dice che sia tornato fra di loro.

      – Dunque la piccola Darma sarà stata portata a Rajmangal? – disse Sandokan.

      – Non ne ho la certezza.

      Essa però deve aver rimpiazzato il posto che occupava un giorno sua madre, mia moglie.

      – Può correre qualche pericolo?

      – Nessuno: la «Vergine della pagoda» incarna sulla terra la mostruosa Kalí e la si adora e la si teme come una divinità autentica.

      – Dunque nessuno ardirebbe farle alcun male.

      – Nemmeno Suyodhana, – rispose Tremal-Naik.

      – Quanti anni ha la tua Darma?

      – Quattro anni.

      – Che strana idea di fare d’una bambina una divinità! – esclamò Yanez.

      – Era la figlia della «Vergine della pagoda» che per sette anni rappresentò Kalí nei sotterranei di Rajmangal, – disse Tremal-Naik, con un singhiozzo soffocato.

      – Fratellino mio, – disse Yanez, volgendosi verso Sandokan, – Tu mi hai parlato d’un progetto.

      – E l’ho anche maturato, – rispose la Tigre della Malesia. – Solamente vorrei, prima di metterlo in esecuzione, avere la certezza che i Thugs si trovino realmente nei sotterranei di Rajmangal. Ciò è necessario.

      – Come fare dunque?

      – Bisogna impadronirci di qualche thug e costringerlo a confessare. Suppongo che a Calcutta ve ne saranno.

      – E non pochi, – disse Tremal-Naik.

      – Cercheremo di scovarne qualcuno.

      – E poi? – chiese Yanez.

      – Se si sono nuovamente radunati a Rajmangal, andremo a fare una partita di caccia fra quelle jungle. Kammamuri mi ha detto che fra quei pantani le tigri abbondano.

      Andremo quindi a ucciderne alcune: prima quelle a quattro zampe, piú tardi quelle a due e senza coda.

      Cosí potremmo sorvegliare Rajmangal e scoprire forse certe cose che potrebbero essere molto preziose per noi.

      Tu sei sempre un buon cacciatore, è vero Tremal-Naik?

      – Sono un figlio delle Sunderbunds e delle jungle, – rispose l’indiano.

      – Ma perché cacciare le tigri prima degli uomini?

      – Per ingannare l’amico Suyodhana. I cacciatori non sono né cipayes né policeman, e se è vero che quelle jungle sono ricche di selvaggina, i Thugs non si allarmeranno della nostra presenza. Che cosa ne dici, Yanez?

      – Che la fantasia della Tigre della Malesia è ben lungi dallo spegnersi.

      – Abbiamo da lottare con un furbo, cerchiamo di essere piú furbi e piú abili di lui. Tu conosci quei pantani, Tremal-Naik?

      – Tutte le isole e tutti i canali sono noti a me e a Kammamuri.

      – Vi è un buon fondo dinanzi alle Sunderbunds?

      – Vi sono dei bracci di mare anche, dove il tuo praho può trovare degli ottimi rifugi contro le onde e i venti.

      – Dimmene uno.

      – Quello di Raimatla, per esempio.

      – Lontano dal covo dei Thugs?

      – Una ventina di miglia.

      – Benissimo, – disse Sandokan. – Oltre Kammamuri hai qualche servo fidato?

      – Sí, anche due se ne vuoi.

      Sandokan mise una mano nella tasca interna della sua giubba ed estrasse un grosso pacco di venti biglietti di banca.

      – Incaricherai quel tuo fedele servo di provvederci due elefanti coi rispettivi conduttori senza lesinare sul prezzo.

      – Ma… io… – chiese l’indiano.

      – Tu sai che la Tigre della Malesia ha diamanti da vendere a tutti i rajah e i maharajah dell’India, – rispose Sandokan, sorridendo.

      Poi aggiunse con profonda tristezza e con un sospiro:

      – Non ho figli io e nemmeno Yanez. Che cosa dovrei farne delle immense ricchezze accumulate in quindici anni di scorrerie? Il destino è stato crudele con me, togliendomi Marianna.

      Il formidabile pirata si era vivamente alzato. Un dolore intenso, indescrivibile, aveva scomposto i fieri lineamenti dell’antico scorridore dell’arcipelago malese. Fece due o tre volte il giro della stanza, con la fronte aggrottata, le labbra increspate, le mani strette sul cuore, e gli occhi fiammeggianti, fissi nel vuoto.

      – Sandokan, fratellino mio, – gli disse Yanez con voce dolce, posandogli una mano sulla spalla.

      Il pirata si era arrestato mentre un rauco singhiozzo gli moriva sulle labbra.

      – Che non la possa dimenticare mai? – gridò con voce strozzata e asciugandosi, quasi con rabbia, due lagrime che si raccoglievano sotto le folte ciglia. – Mai! Mai! L’ho troppo amata la Perla di Labuan! Maledetto destino.

      Tremal-Naik si era avvicinato alla Tigre della Malesia. Anche l’indiano piangeva senza cercare di frenare le lagrime.

      I due uomini si gettarono l’uno nelle braccia dell’altro e rimasero alcuni istanti stretti.

      – Morta la tua donna e morta anche la mia, – disse l’indiano, il cui dolore non era meno intenso di quello della Tigre della Malesia.

      Kammamuri, in un angolo, si asciugava gli occhi; anche Yanez sembrava profondamente commosso.

      Ad un tratto la Tigre della Malesia si separò bruscamente da Tremal-Naik. Il suo viso poco prima cosí alterato, aveva la sua abituale espressione calma e ad un tempo energica.

      – Quando avremo la certezza che Suyodhana si trova laggiú, – disse, – andremo nelle Sunderbunds. Puoi domani avere gli elefanti?

      – Lo spero, – disse Tremal-Naik.

      – Noi rimarremo qui fino a quando potremo avere nelle nostre mani qualche thug poi vedremo che cosa si dovrà fare. Quando verrai a bordo? Sei piú sicuro sul nostro praho che nel tuo palazzo.

      – Domani sera, a ora tarda onde non mi spiino. Il mio palazzo è sorvegliato dai Thugs, lo so.

      – T’aspettiamo. Yanez, torniamo a bordo. Sono già le due del mattino.

      – Perché non vi riposate qui? – chiese Tremal-Naik.

      – Per non destare alcun sospetto, – rispose Sandokan. – Vedendoci domani uscire, qualche spia potrebbe seguirci fino al praho e ciò non mi garberebbe.

      Con questa oscurità anche se qualcuno tentasse di tenerci d’occhio, non vi riuscirebbe perché abbiamo la baleniera sul fiume e possiamo ingannarlo sulla nostra direzione. Addio, Tremal-Naik, domani avrai nostre nuove.

      – Partiremo domani sera, dunque?

      – E molto tardi, se potrai trovare gli elefanti. Prendi però delle precauzioni per non venire seguito.

      – Saprò ingannare le spie. Vuoi che Kammamuri ti accompagni?

      – È inutile, siamo armati e la gettata è vicina.

      Si abbracciarono nuovamente, poi Sandokan e Yanez scesero lo scalone accompagnati da Kammamuri.

      – State in guardia, – disse il maharatto mentre apriva la porta.

      – Non temere, – rispose Sandokan. – Non siamo uomini da lasciarci sorprendere.

      Appena fuori, i due comandanti del praho levarono le pistole che tenevano nascoste nella larga fascia e le armarono.

      – Apriamo gli occhi, Yanez, – disse Sandokan.

      – Li


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