Le figlie dei faraoni. Emilio Salgari

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Le figlie dei faraoni - Emilio Salgari


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dei Faraoni.

      «La vedi ancora?» chiese ad un tratto, con accento quasi brutale.

      «Sì, sta dinanzi a me,» rispose il giovane, che teneva sempre le mani sugli occhi. «Mi guarda… mi sorride… e provo ancora quel fremito intenso che mi scosse quando, strappatala dalle fauci del coccodrillo, la strinsi fra le mie braccia e la portai, col suo capo posato sul mio petto, sulla sponda e la deposi sull’erba ancora stillante la rugiada notturna.»

      «Così intensamente l’ami, dunque?»

      «Più della mia vita.»

      «Disgraziato!»

      Mirinri levò le mani e guardò il sacerdote che gli stava ritto dinanzi, collo sguardo fiammeggiante e le braccia tese, come in atto di scagliare una maledizione.

      «Se è vero che io sono un Faraone, come tu mi hai detto, perché non potrei amare una fanciulla di stirpe reale?»

      «Perché quella giovane deve appartenere a quella razza maledetta che devi, anche se non lo volessi, odiare non solo, bensì anche sterminare. Tu non conosci ancora l’istoria di tuo padre ed ignori i dolori sopportati da quel re sventurato.»

      Mirinri era diventato pallido e si era coperti nuovamente gli occhi.

      «Narramela dunque,» disse poi, con voce triste. «Nelle tue parole sta il mio destino, un terribile destino che spezzerà forse la malìa gettatami nel cuore da quella fanciulla.»

      «Tu dovrai, al pari di tutti quelli della sua stirpe odiare e uccidere,» aggiunse il sacerdote, con voce cupa. «Odimi dunque.»

      CAPITOLO SECONDO. Le tombe di Qobhou

      «Tuo padre, il grande Teti, era il capo stipite della VI dinastia. A lui Menfi deve il suo splendore ed a lui l’Egitto deve la sua potenza e la sua grandezza e le più grandi piramidi, che sfideranno il tempo e che sussisteranno anche quando forse la nostra razza si sarà spenta.

      «Egli ebbe due figli: tu ed una bambina a cui i sacerdoti imposero il nome di Sahuri.»

      «Mia sorella!» esclamò Mirinri.

      «Sì.»

      «Vive ancora?»

      «Lo saprai più tardi. Accadde che un giorno si sparse la voce che un esercito caldeo aveva attraversato l’istmo, che separa il Mediterraneo dal mar Rosso, l’Africa dall’Asia e che si avanzava minaccioso per distruggere la potenza della nostra razza.

      «Degli eserciti egizî furono mandati contro gl’invasori e vennero ad uno ad uno sterminati.

      «Tutte le città della costa sono prese e date alle fiamme e gli abitanti passati a fil di spada, senza riguardo né di sesso, né di età. Pareva che l’ultima ora stesse per suonare pei Faraoni e che perfino la grande Menfi dovesse crollare sotto i colpi dei Caldei.

      «Fortunatamente vi era tuo padre.

      «Discendente da caste guerriere, forte e valoroso, raccolse un poderoso esercito e disprezzando i consigli dei vili cortigiani e ministri, che non volevano che un re si esponesse a sì grave rischio, ne assunse il comando e mosse risolutamente contro il nemico che già s’avanzava vittorioso verso Menfi.

      «Ad On, là dove comincia il Nilo a diramarsi, le sterminate falangi degli Egizi e dei Caldei s’urtarono con terribile accanimento.

      «Tuo padre combattè come l’ultimo dei suoi soldati, nelle prime file, onde dare l’esempio. Sfidò impavido le freccie incendiarie e le pesanti spade di bronzo degli asiatici e sfondò le linee avversarie.

      «La battaglia nondimeno non era ancora vinta. Dall’alba al tramonto la strage continuò con perdite enormi d’ambo le parti. Il Nilo diventò rosso pel gran sangue che vi scorse dentro; tutta la terra fu inzuppata di sangue e monti e monti di cadaveri s’alzarono dovunque.

      «Fu solo allo sparir del sole che i Caldei, sgominati, decimati, scoraggiati, si diedero alla fuga ritornando al di là dell’istmo.

      «L’Egitto era salvo pel valore di tuo padre; Menfi non correva ormai più alcun pericolo, eppure quella vittoria doveva rendere infelice e per sempre il vincitore».

      «Cadde combattendo?»

      «Ferito da una freccia caldea, che lo aveva colpito in mezzo al petto, quando già sfondava le linee avversarie, era rimasto sul campo, in mezzo ad un cumulo di cadaveri. Nella mischia orrenda, nessuno si era accorto che il re era scomparso, o meglio uno lo aveva veduto; ma aveva quel miserabile troppo interesse per avvertire i generali ed i soldati della disgrazia toccata a tuo padre.»

      «Chi?» chiese Mirinri, scattando in piedi, cogli occhi fiammeggianti.

      «Suo fratello: l’ambizioso Mirinri Pepi, che ora regna sull’Egitto in vece tua e…»

      «Il fratello di mio padre mi ha usurpato il trono?»

      «Sì, Mirinri, ma lasciami continuare. L’istoria non è ancora finita. Tuo padre non era stato ferito mortalmente. L’atroce dolore prodottogli dalla punta della freccia uncinata e che egli si era strappata, allargando così la piaga, lo aveva fatto cadere svenuto ed era rimasto come sepolto sotto altri corpi umani, caduti dopo di lui. Che cosa accadde poi? Non me lo seppe mai dire.

      «Quando tornò in sé si trovò sotto una tenda di pastori negri, assai lontano dal campo di battaglia.

      «Probabilmente quegli uomini erano accorsi durante la notte per depredare i cadaveri, ed essendosi accorti dalle ricche vesti che indossava tuo padre e dal simbolo di vita e di morte che portava fra i capelli, che doveva essere un grande personaggio, fors’anche un Faraone, l’avevano portato con loro coll’idea di chiedere più tardi un grosso riscatto.

      «Tu sai che i pastori nostri, che vivono sui margini del deserto, sono tutti predoni, quando si presenta loro l’occasione.

      «Tuo padre non ebbe però a lagnarsi di loro. Fu trattato con molti riguardi, curato affettuosamente. La ferita, dopo venti giorni, si chiuse e la convalescenza cominciò.

      «Fu indescrivibile lo stupore dei pastori, quando appresero dalla sua bocca essere egli Teti.

      «Per ordine di tuo padre, un pastore partì subito per Menfi, onde avvertire il popolo ed i ministri che il re dell’Egitto era ancora vivo e che si recassero a prenderlo colla pompa dovuta ad un Faraone. L’uomo partì, e non ritornò più. Tuo padre, temendo che fosse stato assalito lungo la via da qualche banda di predoni, ne mandò un secondo, poi un terzo e anche quelli non si fecero più vedere. Inquieto, molto preoccupato, decise di recarsi lui a Menfi. Formò una piccola scorta di pastori e un mattino si mise in viaggio.

      «Quando entrò in Menfi, apprese con angoscia che suo fratello aveva assunto il potere e che il popolo ed i ministri, credendo che Teti realmente fosse morto, lo avevano acclamato re, senza preoccuparsi di te che avevi allora appena due anni.

      «Quasi tutti gli amici di tuo padre ed i parenti più prossimi erano stati fatti segretamente uccidere dall’usurpatore e forse tu avresti subito l’egual sorte se la tema di scatenare fra il popolo una improvvisa ribellione non lo avesse trattenuto».

      «E mio padre che cosa fece allora?» chiese Mirinri, con impeto selvaggio.

      «Che cosa volevi che facesse quasi solo, senza alcuna forza tra le mani? Tentò di persuadere i ministri, ma quei vili ebbero l’audacia di dirgli che era un pazzo, un furfante e che dello spento re non aveva che qualche vaga rassomiglianza. Per persuaderlo meglio o piuttosto per rassicurare vieppiù il popolo che egli realmente era un mentecatto fu condotto nella piramide da lui stesso fatta innalzare e gli mostrarono la bara dove riposava il corpo di Teti I.»

      «Chi vi avevano messo dentro?»

      «Qualcuno che forse gli rassomigliava o che avevan reso irriconoscibile dopo d’averlo vestito da sovrano e di avergli puntato fra i capelli il simbolo di vita e di morte.»

      «E come mi trovo qui, mentre dovrei essere nella reggia di Menfi?» chiese Mirinri.

      «Tuo padre, temendo che Mirinri Pepi ti facesse un dì o l’altro assassinare, ti fece rapire da alcuni devoti amici, che l’usurpatore aveva risparmiati, e ti affidò a me onde


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