Le tigri di Monpracem. Emilio Salgari

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Le tigri di Monpracem - Emilio Salgari


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che lo chiamavano alla pugna e il rombare delle artiglierie.

      Tuttavia egli rimase là, come inchiodato dinanzi alla finestra, trattenuto da una forza superiore al suo furore, cogli occhi sempre ardentemente fissi sulla giovane lady.

      – Marianna! – esclamò ad un tratto. – Marianna!

      A quel nome adorato, quel trabocco d’ira e d’odio sfumò come nebbia al sole. La Tigre tornava uomo e per di più amante!…

      Le sue mani corsero involontariamente al gancio e con un rapido gesto aprì la finestra.

      Un buffo d’aria tiepida, carico del profumo di mille fiori, entrò nella stanza. Nel respirare quei profumi balsamici, il pirata si sentì inebriare e ridestarsi nel cuore, più forte che mai, quella passione che un momento prima aveva cercato di soffocare.

      Si curvò sul davanzale ed ammirò in silenzio, fremente, delirante, la vaga lady. Una febbre intensa lo divorava, il fuoco gli guizzava per le vene riversandosi nel cuore, nubi rosse gli correvano dinanzi agli occhi, ma anche in mezzo a queste vedeva sempre colei che l’aveva stregato.

      Quanto rimase là? Molto tempo senza dubbio, poiché quando si scosse, la giovane lady non era più nel parco, il sole era tramontato, le tenebre erano calate e in cielo scintillavano miriadi di stelle.

      Si mise a passeggiare per la stanza, colle mani incrociate sul petto e la testa china, assorto in cupi pensieri.

      – Guarda! – esclamò, ritornando verso la finestra ed esponendo la fronte ardente alla fresca aria della notte. – Qui la felicità, qui una nuova vita, qui una nuova ebbrezza, dolce, tranquilla; laggiù Mompracem, una vita tempestosa, uragani di ferro, tuonar di artiglierie, carneficine sanguinose, i miei rapidi prahos, i miei tigrotti, il mio buon Yanez!.. Quale di queste due vite?

      «Eppure tutto il mio sangue arde, quando io penso a questi fanciulla che mi ha fatto battere il cuore ancora prima che la vedessi, e nelle vene mi sento correre del bronzo fuso, quando io penso a lei! Si direbbe che io l’antepongo ai miei tigrotti e alle mie vendette! Eppur sento vergogne di me, pensando che ella è figlia di quella razza che io odio così profondamente! Se la dimenticassi?

      «Ah! tu sanguini mio povero cuore, tu non lo vuoi adunque?

      «Prima ero il terrore di questi mari, prima non avevo mai saputo cosa fosse affetto, prima non avevo gustato che l’ebbrezza delle battaglie e del sangue… ed or sento che non potrei gustare più nulla lontano da lei!…»

      Si tacque porgendo ascolto allo stormire delle fronde e al sibilo del suo sangue.

      – E se frapponessi fra me e quella donna divina la foresta, poi il mare, poi dell’odio?… – riprese egli. – Dell’odio! E potrei io odiare costei? Eppure bisogna che io fugga, che ritorni alla mia Mompracem, fra i miei tigrotti!… Se io rimanessi qui la febbre finirebbe per divorare tutta la mia energia, sento che spegnerei per sempre la mia potenza, che non sarei più la Tigre della Malesia… Orsù, partiamo!

      Guardò giù: tre soli metri lo dividevano dal suolo. Tese gli orecchie non udì rumore alcuno.

      Scavalcò il davanzale, e saltò leggermente fra le aiuole e si diresse verso l’albero, sul quale poche ore prima erasi assisa Marianna.

      – Era qui che ella riposava – mormorò egli con voce triste. – Oh! quanto eri bella o Marianna!… Ed io non ti rivedrò più mai!… E non udrò più mai la tua voce, più… più!…

      Si curvò sull’albero e raccolse un fiore, una rosa dei boschi, che la giovane lady aveva lasciata cadere. L’ammirò a lungo, la fiutò più volte, e appassionatamente se la nascose in petto, quindi mosse rapidamente verso la cinta del parco mormorando:

      – Andiamo Sandokan; tutto è finito!…

      Era giunto sotto a palizzata e stava per prendere lo slancio, quando retrocesse vivamente, colle mani nei capelli, lo sguardo torvo, emettendo una specie di singhiozzo.

      – No!… No!… – esclamò egli, con accento disperato. – Non posso, non posso!… Che si inabissi Mompracem, che si uccidano i miei tigrotti, che si disperda la mia potenza, io rimango!…

      Si mise a correre nel parco come se avesse paura di ritrovarsi sotto le palizzate della cinta, e non si arrestò che sotto le finestre della sua stanza. Esitò un’altra volta, poi con un salto si aggrappò al ramo di un albero e raggiunse il davanzale.

      Quando si ritrovò in quella casa che aveva lasciata colla ferma decisione di mai più ritornarvi, un secondo singhiozzo gli rumoreggiò in fondo alla gola.

      – Ah!… – esclamò egli. – La Tigre della Malesia sta per tramontare!…

      LA CACCIA ALLA TIGRE

      Quando, ai primi albori, il lord venne a bussare alla porta, Sandokan non aveva ancora chiuso occhio.

      Ricordandosi della partita di caccia, in un baleno balzò dal letto, si passò fra le pieghe della fascia il fedele kriss ed aprì la porta, dicendo:

      – Eccomi, milord.

      – Benissimo – disse l’inglese. – Non credevo di trovarvi così pronto, caro principe. Come state?

      – Mi sento tanto forte da rovesciare un albero.

      Allora affrettiamoci. Nel parco ci aspettano sei bravi cacciatori, i quali sono impazienti di scovare la tigre che i miei battitori hanno cacciata in un bosco. Sono pronto a seguirvi; e lady Marianna verrà con noi?

      – Certamente, anzi credo che ci aspetti.

      Sandokan soffocò a stento un grido di gioia.

      – Andiamo, milord – disse – ardo dal desiderio d’incontrare la tigre.

      Uscirono e passarono in un salotto, le cui pareti erano tappezzate d’ogni specie di armi. Fu colà che Sandokan trovò la giovane lady, più bella che mai, fresca come una rosa, splendida nel suo costume azzurro, che risaltava vivamente sotto i suoi capelli biondi.

      Nel vederla, Sandokan si arrestò come abbagliato, poi muovendole rapidamente incontro le disse, stringendole la mano:

      – Anche voi della partita?

      Sì, principe; mi hanno detto che i vostri compatrioti sono valentissimi in simili cacce e voglio vedervi.

      Io inchioderò la tigre con il mio kriss e vi regalerò la sua pelle.

      – No!… No!… – esclamò ella con ispavento. – Vi potrebbe toccare qualche nuova disgrazia.

      Per voi, milady, mi farei sbranare, ma non temete, la tigre di Labuan non mi atterrerà.

      In quel mentre il lord si avvicinò, porgendo a Sandokan una ricca carabina. Prendete principe – disse. – Una palla talvolta vale meglio del kriss più temperato. Ora andiamo che gli amici ci aspettano.

      Discesero nel parco dove erano aspettati da cinque cacciatori; quattro erano coloni dei dintorni, il quinto era invece un elegante ufficiale di marina, Sandokan, nel vederlo, senza sapere precisamente il perché, provò subito per quel giovanotto una violenta antipatia, però represse quel sentimento e porse a tutti la mano.

      All’incontro, l’ufficiale lo fissò lungamente ed in istrana guisa, poi, approfittando del momento in cui nessuno faceva a lui attenzione, si avvicinò al lord, che stava esaminando la bardatura di un cavallo, dicendogli a bruciapelo:

      – Capitano, credo di aver veduto ancora quel principe malese.

      – Dove? – chiese il lord.

      – Non mi rammento bene, ma ne sono certo.

      – Bah! V’ingannate, amico mio.

      – Lo vedremo in seguito, milord.

      – Sia pure. In sella, amici, che tutto è pronto!… Badate che la tigre è molto grossa e che ha potenti artigli.

      – La ucciderò con una sola palla e offrirò la pelle a lady Marianna – disse l’ufficiale.

      – Spero di ucciderla prima di voi, signore – disse Sandokan.

      – Lo


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