I misteri del castello d'Udolfo, vol. 1. Анна Радклиф

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I misteri del castello d'Udolfo, vol. 1 - Анна Радклиф


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i latticini ed i frutti che componevano la sua cena. Allorchè la notte faceasi più cupa, l'usignuolo cantava, ed i di lui armoniosi accenti risvegliavangli nel fondo dell'anima una dolce malinconia.

      La prima interruzione della felicità che aveva conosciuta nel suo ritiro, fu cagionata dalla perdita di due maschi: essi morirono in quell'età in cui le grazie infantili hanno tanta vaghezza; e sebbene, per non affliggere soverchiamente la sposa, egli avesse moderata l'espressione del suo dolore, e si fosse sforzato di sopportarlo con fermezza, non aveva filosofia bastante da reggere alla prova di simile sciagura. Una figlia era ormai la sua unica prole. Invigilò attentamente sullo sviluppo del di lei carattere, e si occupò del continuo a mantenerla nelle disposizioni più adatte a formarne la felicità. Ella aveva annunziato fin dall'infanzia una rara delicatezza di spirito, affezioni vive ed una docile benevolenza; ma lasciava travedere nondimeno troppa suscettività per godere di una pace durevole: avanzandosi alla pubertà, questa sensibilità diede un tuono riflessivo ai suoi pensieri, e una dolcezza alle maniere, che, aggiungendo grazia alla beltà, la rendevano molto più interessante alle persone che l'avvicinavano. Ma Sant'Aubert aveva troppo buon senso per preferire le attrattive alla virtù; egli era troppo avveduto per non sapere quanto queste siano pericolose a chi le possiede, e non poteva esserne molto contento. Procurò dunque di fortificare il di lei carattere, di suefarla a signoreggiare le inclinazioni ed a sapersi dominare: le insegnò a non cedere tanto facilmente alle prime impressioni, e a sopportare con calma le infinite contrarietà della vita. Ma per insegnarle a vincere sè medesima, ed a prendere quel grado di dignità tranquilla, che sol può domare le passioni, e innalzarci al disopra dei casi e delle disgrazie, aveva bisogno egli stesso di qualche coraggio, e non senza grande sforzo parea vedere tranquillamente le lacrime ed i piccoli disgusti, che la sua previdente sagacità cagionava talvolta ad Emilia.

      Questa interessante fanciulla somigliava alla madre; ne aveva la statura elegante, i delicati lineamenti; aveva al par di lei, gli occhi azzurri, languidi ed espressivi; ma per quanto belle ne fossero le fattezze, l'espressione però della sua fisonomia, mobile come gli oggetti che la colpivano, dava soprattutto al di lei volto un'attrattiva irresistibile.

      Sant'Aubert coltivò il suo spirito con estrema cura. Le comunicò una tintura delle scienze, ed una esatta cognizione della più squisita letteratura. Le insegnò il latino e l'italiano, desiderando che potesse leggere i sublimi poemi scritti in queste due lingue. Annunziò essa, fino dai primi anni, un gusto deciso per le opere di genio, a questi principii aumentavano il diletto e la soddisfazione di Sant'Aubert. – Uno spirito coltivato, – diceva egli, – è il miglior preservativo al contagio del vizio e delle follie: uno spirito vuoto ha sempre bisogno di divertimenti, e s'immerge nell'errore per evitare la noia. Il movimento delle idee, forma, della riflessione, una sorgente di piaceri, e le osservazioni fornite dal mondo medesimo, compensano i pericoli delle tentazioni ch'esso offre. La meditazione e lo studio sono necessarie alla felicità, tanto in campagna quanto in città; in campagna esse prevengono i languori di un'apatia indolente, e somministrano nuovi godimenti pel gusto e l'osservazione delle grandi cose; in città, esse rendono la distrazione meno necessaria, e per conseguenza meno pericolosa. —

      La di lei passeggiata favorita era una peschiera situata in un boschetto vicino, sulla riva di un ruscello, che, scendendo dai Pirenei, spumava a traverso gli scogli, e fuggiva in silenzio sotto l'ombra degli alberi; da questo sito si scuoprivano fra le fronzute selve, i più bei siti dei paesi circonvicini; l'occhio si smarriva in mezzo alle eccelse rupi, alle umili capanne dei pastori, ed alle vedute ridenti lungo il fiume: in questo luogo delizioso si recava bene spesso anche Sant'Aubert e sua madre a godere il rezzo ne' calori estivi, e verso sera, all'ora del riposo, ci veniva a salutare il silenzio e l'oscurità, ed a prestar ascolto ai queruli canti della tenera Filomela; talvolta ancora portava la musica; l'eco svegliavasi al suono dell'oboe, e la voce melodiosa di Emilia addolciva i lievi zeffiri che ricevevan e portavano lunge da lei la sua espressione ed i suoi accenti.

      Un giorno, Emilia lesse in un canto del tavolato i versi seguenti scritti col lapis:

      Ingenui figli del sentir più puro

      Che sì poco spiegate il mio dolore,

      Versi miei, se avverrà che in questo oscuro

      Sacro alla pace taciturno orrore

      Un oggetto gentil mai si presenti,

      L'amor mio gli narrate e i miei tormenti.

      Quel dì che nel mio core il suo sembiante

      Le amorose destò prime scintille,

      Ah! fatal giorno! ahi sventurato amante!

      Contro il vivo fulgor di sue pupille

      Indifeso mi stava e senza tema

      Della vaga di lor possanza estrema.

      E ripiena d'angelico diletto

      Già sentia palpitar l'alma nel seno:

      Ma l'inganno svanì; l'amato oggetto

      Da me volse le piante in un baleno,

      E lasciommi in partir tutti i più forti

      D'invincibile amor crudi trasporti.

      Questi versi non erano indirizzati ad alcuno: Emilia non poteva applicarli a sè medesima, sebbene fosse, senza alcun dubbio, la ninfa di quelle boscaglie: ella scorse rapidamente il circolo ristretto delle sue conoscenze, senza poterne fare l'applicazione, e restò nell'incertezza: incertezza molto meno penosa per lei, di quello sarebbe stata per uno spirito più ozioso, non avendo occasione di occuparsi a lungo d'una bagattella, e d'esagerarne l'importanza pensandovi del continuo. L'incertezza, che non le permetteva di supporre che quei versi le fossero indirizzati, non l'obbligava neppure di adottare l'idea contraria; ma il piccolo moto di vanità da lei sentito non durò molto, e ben presto lo dimenticò per i suoi libri, i suoi studi e le sue buone opere.

      Poco tempo dopo, la sua inquietudine fu eccitata da un'indisposizione del padre; esso fu colto dalla febbre, che, senza essere molto pericolosa, non mancò di dare una scossa sensibile al di lui temperamento. La signora Sant'Aubert e sua figlia lo assistettero con molta premura, ma la sua convalescenza fu lenta, e mentre egli ricuperava la salute, la di lui sposa perdeva la sua. Appena fu ristabilito, la prima visita fu alla peschiera: un paniere di provvisioni, i libri, ed il liuto di Emilia vi furono mandati dapprima; della pesca non se ne parlava, perchè Sant'Aubert non prendeva verun piacere alla distruzione degli esseri viventi.

      Dopo un'ora di passeggio e di ricerche botaniche, fu servito il pranzo: la soddisfazione provata pel piacere di rivedere ancora quel luogo favorito, riempì i commensali del più dolce sentimento: la cara famiglia parea ritrovare la felicità sotto quelle ombre beate. Sant'Aubert discorrea con singolar allegria: ogni oggetto ne rianimava i sensi; l'amabile frescura, il diletto che si prova alla vista della natura dopo i patimenti d'una malattia ed il soggiorno di una camera da letto, non ponno del certo nè comprendersi, nè descriversi nello stato di perfetta salute; la verzura delle selve e de' pascoli, la varietà de' fiori, l'azzurra vôlta de' cieli, l'olezzo dell'aere, il lene murmure delle acque, il ronzio de' notturni insetti, tutto sembra allora vivificar l'anima e dar pregio all'esistenza. La Sant'Aubert, rianimata dalla gaiezza e dalla convalescenza dello sposo, obliò la sua indisposizione personale: passeggiò pe' boschi, e visitò le situazioni deliziose di quel ritiro: conversava essa col marito e colla figlia, e riguardavali spesso con un grado di tenerezza che le faceva versar lagrime. Sant'Aubert, accortosene, le rimproverò teneramente la sua emozione: ella non potè che sorridere, stringere la di lui mano, quella di Emilia, e piangere davvantaggio. Sentì egli che l'entusiasmo del sentimento le diveniva quasi penoso; una trista impressione s'impadronì dei suoi sensi, e gli sfuggirono sospiri. – Forse, diceva tra sè, forse questo momento è il termine della mia felicità, come ne è il colmo; ma non abbreviamolo con dispiaceri anticipati; speriamo che non avrò sfuggita la morte per avere da piangere io stesso i soli esseri interessanti che me la fanno temere. —

      Per uscire da questi cupi pensieri, o forse piuttosto per intrattenervisi, pregò Emilia di andar a cercare il liuto, e suonargli qualche bel pezzo di tenera musica. Nell'avvicinarsi alla peschiera, essa fu sorpresa di sentire le corde del suo strumento toccate da una mano maestra, ed accompagnata da un canto lamentevole, che cattivò la di lei attenzione. Ascoltò


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