Scherzi Delle Fiabe. Marco Fogliani
Читать онлайн книгу.sono rimasto: un pesce che parla. Non mi era mai successa una cosa simile!"
"Neanche a me è mai successo", obbiettai io, sempre più incredulo.
"E quando gli ho detto, sorpreso:
"Ma come, tu sai parlare?", lui mi ha risposto:
"Naturalmente sì, e parlo correntemente cinque lingue di voi uomini. Ma adesso ti prego, rimettimi in acqua."
Mi stavo quasi impietosendo, alla vista di quel pesce che annaspava e si dimenava disperato; ma esitavo.
"Ma io ti avrei trasformato in una cena succulenta per almeno dieci persone. Se ti lascio andare, invece …"
"Come puoi dire che la mia carne sia buona? E comunque, se mi lasci andare, ti prometto che ti procurerò tanto di quel pesce prelibato che non dieci, ma venti persone potrai invitare alla tua tavola. Basta che sistemi delle belle ceste ai bordi della tua barca, ed io in poco tempo te le riempirò. Oggi e per un mese intero a venire."
Mi aveva quasi convinto. Feci per avvicinarmi a lui per liberarlo dall'amo; tuttavia esitai ancora.
"Ti voglio fare una bella foto per mostrarla come trofeo ai miei amici. Se ti libero nessuno crederà mai che io abbia pescato un pesce così grosso", gli dissi.
"Che problema vuoi che abbia a farmi fare una foto in tua compagnia. Basta che adesso mi butti un po' in acqua …"
Ed io lo feci, lasciandolo per un po' in acqua sempre attaccato all'amo. Poi andai a prendermi la mia macchina fotografica digitale e me la collocai in posizione per un autoscatto. Tirai di nuovo su l'enorme pesce, andai a scattare e tornai al mio posto, imbracciando il pesce e attendendo il flash della macchina.
"Bene: se adesso mi lasci andare, vado a prenderti i pesci che ti ho promesso", mi disse lui.
"Generoso lo sono sì, ma mica scemo. Chi mi garantisce che tu non scapperai appena ti libero dall'amo, senza mantenere la tua promessa? Anche perché di pesci che parlano, promettono e mantengono, in fede mia credo che non ce ne sia alcuna traccia nella storia del mondo."
E così dicendo lo liberai sì dall'amo, ma non prima di averlo legato per la coda ad un altro filo altrettanto robusto. E lo legai così stretto, per paura che si potesse divincolare aiutandosi con le sue squame scivolose, che forse ne soffrì ora più per questa stretta che non per l'amo che aveva in bocca in precedenza.
"Malfidato che non sei altro. Ma vedrai che ti pentirai amaramente di questa mancanza di fiducia: perché se tu mi avessi liberato completamente, ti avrei reso l'uomo più ricco della nazione. Non hai forse capito che sono un pesce magico? O pensi che qualunque pesce possa parlare?"
"Sì, puoi ben dire che sono malfidato; ma se nella vita avessi sempre dato credito a chi faceva promesse straordinarie come le tue, a quest'ora non sarei certo qui tranquillo a pescare, ma povero a elemosinare da qualche parte. E comunque sono stato di parola ed ho esaudito la tua richiesta, dato che tu volevi che ti liberassi dall'amo e ti lasciassi in acqua; ora tocca a te essere di parola. Tra un attimo metterò le ceste ai bordi della barca: e tu riempile."
Ma nonostante le mi precauzioni quello, una volta in mare, con un guizzo si liberò subito della stretta alla coda. Me l'ha fatta, pensai, salutando tra me e me l'idea di tornare a casa con abbondante pesce. Ma mi sbagliavo.
"Ti ho ben detto che sono un pesce magico. Ma quello che non ti ho detto è che volendo potrei tranquillamente restare fuori dall'acqua quanto voglio, e persino camminare e correre."
E per dimostrarmelo saltò di nuovo sulla mia barca, quasi ballandomi intorno come a sfidarmi di prenderlo. Ma dopo un po', visto che non raccoglievo la provocazione (ormai era chiaro che era davvero magico, e che aveva voluto solo mettermi alla prova), si ributtò in acqua.
"Però sono un pesce di parola, e manterrò quanto promesso."
E infatti in pochi minuti aveva riempito le mie tre ceste, tutte quelle che avevo a bordo, l'una di soli molluschi e crostacei, l'altra di pesci grandi e l'altra di pesci piccoli; alcuni portandoceli con la bocca, e altri che ci saltavano dentro da soli, come per magia. Tanto che poi sono dovuto passare al mercato del pesce, a cercare qualcuno che mi comprasse quello che avanzava alle mie necessità."
"Addirittura!", gli feci io.
"Già", mi rispose. "Però a pensarci bene credo che una parte del merito per tutto questo pescato sia stata anche tua. Mi hai augurato buona fortuna, e me ne hai portata davvero tanta, forse come non ne ho mai avuta. Lo so che se ti invito a pescare mi dici di no: ma che ne diresti allora di venire a cena da me, stasera? Penso a tutto io: magari tu porta solo una buona bottiglia di vino, bianco, naturalmente."
"Perché no, Osvaldo. Ci sarò. Va bene per le sette e mezza?"
"Va bene. Allora adesso ti lascio, che devo fare un salto al mercato del pesce. A stasera, allora."
Osvaldo uscì. Io rimasi con calma a finirmi il mio caffè.
"E tu che cosa ne pensi di quello che ha raccontato il mio amico Osvaldo?", chiesi a Vincenzo, il barista, che in quel momento era impegnato a lavare alcune tazze. "Trovi che ci sia anche solo qualcosa di ragionevolmente credibile in tutto quello che ha detto?"
"Scusami, ma non sono stato a sentire cosa ha detto", mi rispose lui senza pensarci troppo.
"Frottole. Tutte frottole da pescatore", continuai io. "Mi chiedo perché mai i pescatori siano tutti così, almeno quelli che conosco: fantasiosi ed esagerati. Forse star fuori la notte, saltare i ritmi naturali del sonno e della luce gli fa questi scherzi. Chissà."
Gli pagai il mio caffè e feci per uscire.
"Ehi, aspetta. Stai dimenticando qualcosa qui sul banco. O forse l'ha lasciato qui il tuo amico. Come si chiama?"
"Osvaldo", gli risposi. Io non avevo niente con me. Controllai se fosse roba di Osvaldo. In effetti c'erano delle fatture del mercato ittico, e c'era su il suo nome come venditore. Poi c'era qualche altra cosa che non capivo cosa fosse, e … questa cos'era? Una foto. Fatta di sera, col flash. Aveva in braccio un pesce gigantesco, quasi più grande di lui. E, sembra strano a dirsi, questo grande pesce pareva proprio che sorridesse.
SALAFINO E LA CAFFETTIERA MAGICA
Giacomino era già pronto per la notte, sotto le coperte del suo letto, con indosso il suo pigiamino felpato.
"Papà, mi racconti una storia per favore?"
E il papà, come se fosse una cosa nuova e non la loro bella abitudine di tutte le sere, lo accontentò. Prese il suo grande libro delle favole e lo fece aprire ad una pagina a caso.
"Una storia? Va bene. E' uscita Salafino e la caffettiera magica, che mi pare non abbiamo mai letto. Che ne dici, la leggiamo?"
Giacomino fece cenno di sì col capo.
"Allora, vediamo. C'era una volta un ragazzino, mi pare che fosse napoletano, che camminando per strada inciampò in una vecchia caffettiera. Napoletana anche lei. Di quelle che fanno il caffè buono buono. Tu ancora non lo sai, perché sei piccolo ed il caffè forse non lo hai mai assaggiato, ma dicono che più è vecchia la caffettiera, più è buono il caffè. Allora questo ragazzino, che si chiamava Salafino, la raccolse, per vedere che cosa avesse che non andava. In effetti aveva il manico un po' rotto, ed era tutta un po' sbilenca, come si dice, cioè deforme, quasi che fosse stata calpestata da un camion. Ma lui era un ragazzino ingegnoso e pensò che, con un po' di pazienza, avrebbe potuto rimetterla a posto e rivenderla, oppure regalarla. E gira di qua, e tira di là, e forza il manico ed avvita meglio quell'altro pezzo, ad un tratto, come per magia ... Giacomino? Ci sei Giacomino? Ecco che ad un tratto, come per magia, Giacomino si è già addormentato. Va bene, allora sai che cosa facciamo?