Il Vento Dell'Amore. Guido Pagliarino

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Il Vento Dell'Amore - Guido Pagliarino


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le coste da un pericolo incombente d'invasione e in quanto, in quello stesso periodo, era stata posta in grave difficoltà la civiltà egiziana e abbattuta quella ittita dai cosiddetti popoli del mare, onde è parso lecito ipotizzare che gli stessi popoli fossero stati gli invasori. Una più tradizionale spiegazione è invece l'invasione della popolazione indoeuropea dei Dori. D'altro canto, altri studiosi ritengono che il declino della civiltà micenea sia stato causato da meri fattori economici e demografici, e forse climatici, e gl'incendi non siano stati necessariamente dovuti a invasori.

      L’altra serie d’invasioni viene da sud-est e riguarda tribù seminomadi di lingua aramaica che giungono dai confini del deserto arabico, le quali dapprima s’infiltrano e quindi s’impadroniscono con la forza della Siria, della Mesopotamia settentrionale, dell’Assiria, di Babilonia e della Palestina, chiamata Canaan dalla Bibbia. Quanto al popolo che sarà detto israelita, esso è in questa zona all’incirca dal 1200 a.C., un cinquantennio dopo l’epoca dell’esodo ebraico dall’Egitto, e convive, non senza contrasti, con la popolazione indigena. Non tutto il popolo ebraico proviene da un’altra terra, che sia o no quella dei faraoni: molti agricoltori, parlo dell’epoca storica trascurando le precedenti migrazioni, hanno origini locali (sono, per così dire, Cananei) e col tempo si fondono coi pastori nomadi invasori (diciamo con gli Ebrei) formando il popolo d’Israele. È questa l’epoca, fin verso il 1000, che nella Bibbia è detta dei Giudici e di cui si può conoscere solo la storia di fondo, essendo le relative informazioni veterotestamentarie trasfigurate miticamente. Utile è il confronto con altre società del tempo. In Palestina e in altre zone del vicino Oriente, nonché in Grecia e sulle coste e isole mediterranee dell’Asia minore, sono apprezzati in primo luogo gl’ideali eroici e un semplice insulto basta a scatenare una tremenda reazione come, per la Grecia, nel primo canto dell’Iliade dove l’eroe Achille, oltraggiato dal re Agamennone che gli ha sottratto la schiava Briseide, si ritira dalla guerra contro Troia dopo aver avuto l’impulso d’ucciderlo; o come, per la Palestina, nella Bibbia (1 Sam 25, 9-42) dove il re Davide, offeso dagli atteggiamenti superbi del suddito Nabal, vuole ammazzargli tutti i maschi della famiglia, peraltro impietosendosi di fronte alle suppliche di Abigail, moglie dell’offensore; ma penserà poco dopo un tremendo Jahvè a fare giustizia capitale uccidendo il tronfio Nabal, e allora Davide prenderà la vedova tra le sue mogli. È una società dove la posizione dell’individuo dipende dalla sua statura morale, dal coraggio personale e dal contributo che dà alla società, come ad esempio per la figura biblica del giudice Sansone. È un ideale che si riflette tra il 1100 e il 750 a.C. in racconti leggendari in prosa e in versi recitati oralmente e solo successivamente riuniti per iscritto, come per l’argomento dei poemi greci Iliade e Odissea e, dalla terra ebraica, per le primitive narrazioni confluite, principalmente, nella Genesi e in 1 Samuele e in 2 Re verso il V secolo a.C., con molte addizioni e varianti tratte da saghe e leggende, conosciute dagli Ebrei durante la schiavitù babilonese, che attingono all’antica mitologia della Mesopotamia.

      Due esempi: l’episodio del diluvio universale nella Genesi s’ispira a un mito nel ciclo sumerico di Gilgamesh (le cui tavolette erano conservate nella biblioteca del re Assurbanipal) in cui uno degli eroi, Uta Napishtim, sopravvive a un analogo diluvio e, a differenza poi di Noè, riceve l’immortalità dagli dèi; la torre di Babele è immaginata in analogia agli zziggurrat, alti edifici torreggianti con cui gli antichi abitanti della Mesopotamia, supposti antenati del caldeo Abramo di Ur, bramavano di toccare, almeno simbolicamente, il cielo degli dèi.

      Sono insomma racconti che entrano nell’immaginario ebraico a integrare quelli autoctoni giudaico-cananei che trattano della preistoria, fin dalla creazione dell’uomo, e della più antica storia; e quanto a questi, si tratta di epopee come quella sull’empio re Saul nel primo libro di Samuele, che verrà a simboleggiare diversi cattivi sovrani di molto successivi eredi dei giusti, o meglio dei giustificati da Dio, Davide e Salomone; e si tratta di romanzi come quello su Giuseppe venduto dai fratelli che finirà nel libro della Genesi, mentre altri racconti hanno un certo qual fondo storico e contengono frammenti di codici giuridici comuni a tutto l’antico medio Oriente.

      Verso il 1000 a.C. non solo in Canaan-Palestina ma pure in altre zone del medio Oriente, in Grecia e lungo le coste dell’Asia minore, ogni gruppo d’invasori e quindi ogni città da essi fondata, tante volte non più grande d’un paio di campi da calcio moderni e con poche centinaia d’abitanti, ha leggi proprie. In varie zone conquistatori e autoctoni convivono anche se in certe aree, come nel Peloponneso in Grecia, l’intera popolazione dei vinti (iloti) è schiava dei vincitori (spartani), mentre Canaan conosce invece la schiavitù personale. Accade che una città o un gruppo ancora seminomade conquisti le zone dei vicini ma le perda dopo breve tempo. Una terra, dopo essere stata unificata, è di norma, più presto che tardi, di nuovo smembrata da capi militari ostili al sovrano, come succede al regno di Salomone che, alla morte di questo monarca, viene diviso nei due reami d’Israele e di Giuda. Un regno è identificato soprattutto dalla capitale, nel caso da Samaria per Israele e da Gerusalemme per Giuda, mentre le zone non urbane restano più o meno tribali e non si considerano soggette al re locale. In Palestina questo vale per le terre lasciate a pascolo e per i primitivi terreni agricoli tenuti a maggese un anno sì e uno no per la metà della loro estensione, zone che vengono occupate periodicamente da tribù di pastori seminomadi che si considerano indipendenti dal re e superiori a chiunque, a parte il loro capo-clan, e le cui greggi danneggiano le confinanti coltivazioni; questi beduini vengono in contrasto con gli stanziali agricoltori, i quali non desiderano danni alle terre da loro coltivate e a quelle a pascolo che si accingono a mettere a coltura: la leggenda, nella Genesi, di Caino agricoltore che uccide il fratello Abele pastore (Gn 4, 1-16) deriva da tale situazione storica, idealizzata molti secoli dopo in senso religioso presentando la vittima come devota a Jahvè e il suo assassino come uomo che non ha vero rispetto per Dio, al quale offre in sacrificio primizie scadenti: gli Ebrei, pur provenendo da entrambe le categorie, si considerano anzitutto discendenti delle antiche tribù di pastori, simboleggiate da quelle patriarcali di Abramo, Isacco e Giacobbe, e la figura di Abele è dunque quella positiva..

      Non sarà più così, socialmente, ai tempi di Cristo: i pastori saranno considerati fra i più impuri degli esseri umani, impossibilitati a redimersi a causa della loro stessa professione. Il vangelo di Luca, nella sua difesa dei poveri, e per abbattere tale preconcetto, li presenterà come i primi accorsi, per volontà divina, a rendere omaggio al Bambino Gesù (Lc 2, 8-20); l'episodio potrebbe peraltro essere storico, pur avendo religiosamente e socialmente in quel vangelo anche una valenza simbolica.

      I Patriarchi sono figure simbolo d’Israele che si rifanno agli antichi, anonimi ma concreti, capi tribù seminomadi di Canaan che si spostavano stagionalmente con le greggi in terre esterne, fondatori, secondo la tradizione, dei luoghi sacri della Palestina e che gli Ebrei, dopo aver sconfitto i precedenti abitanti, avevano accolto come i propri illustri antenati. Il fenomeno della mitizzazione degli antichi è generale in quei secoli, non riguarda il solo popolo giudeo: ad esempio, Roma identificherà nel mitico fondatore re Romolo i capi di clan di pastori, poi agricoltori, stabilitisi nella zona costruendovi primitive capanne. I patriarchi e le loro famiglie sono pastorali come, molti secoli dopo, i membri delle tribù protagoniste della liberazione dall’Egitto che divengono idealmente, nel libro dell’Esodo, i diretti discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe, quest’ultimo chiamato a un certo punto da Dio, secondo la Genesi, col nuovo nome Israele, vale a dire fatto simbolo dell’intero popolo giudeo: chiaro è il patriottico fine politico-religioso del redattore che scriverà di queste cose solo nel V secolo a.C., dopo il ritorno dall’esilio babilonese. Il forse leggendario Giacobbe-Israele, stando al capitolo 46 della Genesi che è più o meno contemporaneo dell’Esodo, e stando alla cronologia biblica, era immigrato 470 anni prima della liberazione dall’Egitto nelle terre del faraone con tutta la famiglia, le greggi e le tende per sfuggire a una carestia. È però interessante notare, in funzione della possibile storicità dell'evento, che testi egizi dei primi secoli del II millennio e altri del XIII secolo a.C. affermano che a beduini asiatici provenienti dalla terra di Palestina,


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