Un Cielo Di Incantesimi . Морган Райс

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Un Cielo Di Incantesimi  - Морган Райс


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Le avrebbe dato l’anello di sua madre, quello che lei le aveva dato perché lo donasse all’amore della sua vita quando l’avesse trovata.

      “Non posso ancora credere che tu abbia attraversato tutto l’Anello solo per me,” le disse.

      Lei sorrise.

      “Non era così tanta strada,” gli rispose.

      “Non così tanta strada?” le chiese. “Hai messo in pericolo la tua vita per attraversare un territorio devastato dalla guerra. Sono in debito con te. Oltre quanto possa dire.”

      “Non mi devi nulla. Sono felice che tu sia vivo.”

      “Siamo tutti in debito con te,” si intromise Elden. “Ci hai salvati tutti. Saremmo rimasti bloccati là sotto, nelle viscere della terra, per sempre.”

      “Parlando di debiti, ce n’è uno di cui devo discutere con te,” disse Krog a Reece avvicinandoglisi zoppicando. Da quando Illepra gli aveva steccato la gamba in cima al Canyon, almeno Krog era stato capace di camminare da solo, sebbene rigidamente.

      “Laggiù mi hai salvato, e ben più di una volta,” continuò. “È stato piuttosto sciocco da parte tua, se me lo chiedi. Ma l’hai fatto lo stesso. Comunque non penso di essere in debito con te.”

      Reece scosse la testa, preso alla sprovvista dalla rudezza di Krog e dal suo impacciato tentativo di ringraziarlo.

      “Non so se stai cercando di insultarmi o se tenti di ringraziarmi,” disse Reece.

      “Ho i miei modi,” disse Krog. “Da ora in poi ho intenzione di guardarti le spalle. Non perché tu mi piaccia ma perché mi sento chiamato a farlo.”

      Reece scosse la testa, come sempre sbalordito dal comportamento di Krog.

      “Non ti preoccupare,” gli disse. “Neanche tu piaci a me.”

      Continuarono tutti a camminare, tutti rilassati, felici di essere vivi, di trovarsi in superficie, di essere tornati da quella parte dell’Anello. Tutti eccetto Conven, che camminava in silenzio, separato dagli altri, chiuso in se stesso fin dalla morte di suo fratello nell’Impero. Niente, neppure la fuga dalla morte, sembrava poterlo scuotere.

      Reece ripensò e ricordò come, là sotto, Conven si fosse gettato senza paura incontro al pericolo, una volta dopo l’altra, quasi rischiando di morire per salvare gli altri. Reece non poteva fare a meno di chiedersi se fosse stato spinto più da un desidero di rimanere ucciso che da quello di dare reale aiuto ai compagni. Era preoccupato per lui. Non gli piaceva vederlo così alienato, così perduto e depresso.

      Reece gli si avvicinò.

      “Hai combattuto brillantemente laggiù,” gli disse.

      Conven si limitò a scrollare le spalle e a guardare a terra.

      Reece si scervellava alla ricerca di qualcosa da dire, mentre camminavano in silenzio.

      “Sei contento di essere tornato a casa?” gli chiese. “Di essere libero?”

      Conven si voltò e lo guardò con occhi vuoti.

      “Non sono a casa. Non sono libero. Mio fratello è morto. E io non ho il diritto di vivere senza di lui.”

      Reece sentì un brivido scorrergli lungo la schiena a quelle parole. Chiaramente Conven era ancora sopraffatto dal dolore e lo portava come un riconoscimento d’onore. Conven era più come un morto che camminava, gli occhi vuoti. Lo ricordava com’era un tempo, sempre pieno di gioia. Capiva che il suo lutto era molto profondo e aveva il brutto presentimento che non si sarebbe mai ripreso. Si chiedeva cosa ne sarebbe stato di Conven. Per la prima volta non gli venne alla mente alcun pensiero positivo.

      Continuarono a marciare e le ore passarono. Raggiunsero un altro campo di battaglia, ritrovandosi ancora spalla a spalla con i cadaveri. Illepra e Selese si divisero come anche gli altri, andando di corpo in corpo, rigirandoli e cercando tracce di Godfrey.

      “Vedo molti più MacGil su questo campo,” disse Illepra speranzosa, “e nessuna fiammata di drago. Magari Godfrey si trova qui.”

      Reece sollevò lo sguardo e vide migliaia di cadaveri. Si chiese, ammesso che si trovasse lì, se mai sarebbero riusciti a trovarlo.

      Anche Reece andò in cadavere in cadavere, come gli altri, rigirandoli per osservarli. Vide tutti i volti della sua gente, faccia dopo faccia. Ne riconobbe alcuni, altri no; gente che aveva conosciuto e con cui aveva combattuto, persone che avevano lottato per suo padre. Si meravigliò della devastazione discesa sulla sua patria, come un flagello, e sperò sinceramente che fosse finalmente terminata. Aveva visto tante battaglie, guerre e cadaveri da potergli bastare per una vita. Era pronto a stabilirsi dando inizio a una vita di pace e salute; era pronto a ricominciare da capo.

      “QU!” gridò Indra, la voce carica di eccitazione. Si trovava in piedi accanto a un corpo e lo osservava.

      Illepra si voltò e corse verso di lei, mentre tutti gli altri si raccoglievano attorno. Si inginocchiò accanto al corpo con le lacrime che le inondavano li viso. Anche Reece si mise in ginocchio vicino a lei e sussultò vedendo suo fratello.

      Godfrey.

      La pancia prominente, la barba incolta, gli occhi chiusi, pallido, le mani blu e fredde. Sembrava morto.

      Illepra si chino su di lui e lo scosse ripetutamente, ma lui non rispose.

      “Godfrey! Per favore! Svegliati! Sono io! Illepra! GODFREY!”

      Continuò a scuoterlo, ma lui non si mosse. Alla fine si voltò angosciata verso gli altri, guardando le loro cinture.

      “La tua borraccia del vino!” chiese a O’Connor.

      O’Connor cercò alla vita e la prese velocemente porgendola ad Illepra.

      Lei la prese e la tenne sospesa sopra la faccia di Godfrey, versandone il contenuto verso le labbra. Gli sostenne la testa, gli aprì la bocca e versò del vino sulla sua lingua.

      La reazione fu improvvisa: Godfrey si leccò le labbra e deglutì.

      Tossì e poi si mise a sedere, afferrando la borraccia, con gli occhi ancora chiusi, e bevendo fino a svuotarla tutta. Lentamente aprì poi gli occhi e si asciugò la bocca con il dorso della mano. Si guardò in giro, confuso e disorientato, poi ruttò.

      Illepra gridò di gioia, chinandosi verso di lui e abbracciandolo con forza.

      “Sei sopravvissuto!” esclamò.

      Reece sospirò di sollievo mentre suo fratello si guardava in giro, confuso ma definitivamente vivo.

      Elden e Serna afferrarono Godfrey sotto le braccia e lo sollevarono in piedi. Godfrey rimase in piedi, inizialmente barcollante, e fece ancora un lungo sorso dalla borraccia, asciugandosi la bocca con il dorso della mano.

      Poi si guardò attorno con la vista annebbiata.

      “Dove mi trovo?” chiese. Si grattò la testa, dove si trovava un grosso livido, e subito strizzò gli occhi per il dolore.

      Illepra osservò la ferita con occhi esperti passandovi sopra la mano, toccando il sangue seccato sopra la sua testa.

      “Ti hanno ferito,” gli disse. “Ma puoi essere fiero: sei vivo. Sei salvo.”

      Godfrey barcollò, ma gli altri lo sostennero.

      “Non è una ferita seria,” disse esaminandolo, “ma hai bisogno di riposo.”

      Prese una benda dalla vita e iniziò ad avvolgergliela attorno alla testa, facendo diversi giri mentre Godfrey trasaliva e la guardava. Poi si guardò in giro e osservò i cadaveri, sgranando gli occhi.

      “Sono vivo,” disse. “Non posso crederci.”

      “Ce l’hai fatta,” disse Reece, stringendogli con gioia le spalle. “Sapevo che ce l’avresti fatta.”

      Illepra lo abbracciò, stringendolo, e lentamente anche lui la strinse a sé.

      “Quindi è così che ci si sente ad essere un eroe,” disse Godfrey facendo ridere tutti. “Datemi ancora da bere,” disse, “e magari lo farò più spesso.”

      Fece


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