Ora e per sempre . Sophie Love

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Ora e per sempre  - Sophie Love


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scricchiolavano sotto le scarpe. L’immagine era così vivida che riusciva anche a vedere le muffole di lana viola che indossava mentre si teneva per mano con suo padre. Non doveva aver avuto più di cinque anni all’epoca, ma il ricordo la colpì tanto chiaramente che sembrava essere stato ieri.

      Le vennero in mente altri ricordi a mano a mano che vedeva altre cose – il ristorante che serviva pancake fantastici, il campeggio pieno di scout per tutta l’estate, la stradina a una corsia che portava a Salisbury Cove. Quando raggiunse il cartello per l’Acadia National Park sorrise, sapendo che era a sole due miglia dalla sua destinazione. Sembrava che avrebbe raggiunto la casa al momento opportuno; la neve stava cominciando a cadere adesso e il suo macinino probabilmente non sarebbe resistito a una bufera.

      Ed ecco che la macchina si mise a fare uno strano rumore stridulo da sotto al cofano. Emily si morse il labbro dall’ansia. Ben era sempre stato quello pratico dei due, il riparatore della relazione. Le capacità meccaniche di Emily erano miserevoli. Pregò che la macchina reggesse per l’ultimo miglio.

      Ma lo stridio peggiorava, e presto fu accompagnato da uno strano ronzio, poi da un click irritante, e alla fine da un rantolo. Emily chiuse forte i pugni attorno al volante e lanciò un’imprecazione sottovoce. La neve cominciò a cadere più veloce e più fitta, e la macchina si mise a lamentarsi anche di più, prima di crepitare e alla fine morire.

      Ascoltando il sibilo del motore a terra, Emily sedeva lì impotente, cercando di capire cosa fare. L’orologio le disse che era mezzanotte. Non c’erano altre auto, nessuno fuori a quell’ora di notte. C’era un silenzio di morte e, senza la luce dei fanali, un buio spettacolare; non c’erano lampioni lungo quella strada e le nuvole coprivano le stelle e la luna. Era inquietante, ed Emily pensava che fosse l’ambientazione ideale per un film horror.

      Afferrò il telefono come se potesse risolvere il problema, ma vide che non c’era campo. La vista delle cinque barre vuote la fece preoccupare ancora di più, facendola sentire ancora più sola e isolata. Per la prima volta da quando si era lasciata la sua vita alle spalle, Emily cominciò a pensare di aver preso una decisione terribilmente stupida.

      Uscì dall’auto e rabbrividì quando l’aria fredda di neve le giunse alla carne. Fece il giro del bagagliaio e diede un’occhiata al motore, non sapendo neanche che cosa cercare esattamente.

      Proprio allora sentì il rombo di un furgone. Il cuore le balzò dal sollievo mentre guardava lontano e le parve di distinguere due fanali che avanzavano lentamente lungo la strada verso di lei. Agitò le mani, facendo segno al furgone di fermarsi mentre si avvicinava.

      Fortunatamente accostò, fermandosi appena dietro di lei, esalando i gas di scarico nell’aria fredda, le luci penetranti che illuminavano i fiocchi di neve che cadevano.

      La portiera del guidatore scricchiolò mentre si apriva, e due piedi avvolti in pesanti stivali scricchiolarono sulla neve. Emily riusciva a vedere solo la silhouette della persona davanti a lei e all’improvviso provò il terrore di essersi imbattuta nell’assassino locale.

      “È finita nei guai, eh?” sentì la voce rauca di un anziano.

      Emily si massaggiava le braccia, sentendo la pelle d’oca sotto la camicia, cercando di smettere di tremare – ma fu sollevata che si trattasse di un vecchio.

      “Sì, non so cosa sia successo,” disse. “Ha cominciato a fare rumori strani e poi si è fermata.”

      L’uomo si avvicinò, e il viso fu finalmente illuminato dalle luci del furgone. Era molto vecchio, con ispidi capelli bianchi su una faccia piena di rughe. Gli occhi erano scuri ma scintillarono di curiosità guardando prima Emily e poi la macchina.

      “Non sa come sia successo?” chiese, trattenendo una risata. “Glielo dico io cos’è successo. Quella macchina non è altro che un ammasso di ciarpame. Sono stupito che sia riuscita ad arrivare qui, più che altro! Mi pare che non l’abbia mantenuta in gran forma, e che poi l’abbia portata fuori con la neve, mi sbaglio?”

      Emily non era dell’umore giusto per farsi prendere in giro, specialmente dato che sapeva che il vecchio aveva ragione.

      “A dire il vero, arrivo da New York. La macchina ha retto bene per otto ore,” rispose, fallendo nel tentativo di non suonare secca.

      Il vecchio fischiò sotto i baffi. “New York? Be’, non avrei mai… Cosa la porta fin qui?”

      Emily non aveva voglia di raccontare la sua storia, così rispose semplicemente, “Sono diretta a Sunset Harbor.”

      L’uomo non le fece altre domande. Emily rimase lì in piedi a guardarlo, e le dita le divennero presto insensibili mentre aspettava che le offrisse un qualche tipo di aiuto. Ma lui sembrava più interessato a girare intorno alla sua vecchia macchina arrugginita, a calciare le gomme con la punta degli stivali, a grattare via il colore della carrozzeria con l’unghia del pollice, dicendo “bleah” e scuotendo la testa. Aprì il cofano ed esaminò il motore per un lunghissimo momento, borbottando sottovoce di tanto in tanto.

      “Quindi?” disse Emily alla fine, esasperata dalla sua lentezza. “Cos’ha che non va?”

      La guardò al di sopra del cofano, quasi sorpreso, come se avesse dimenticato che lei era lì, e si grattò la testa. “È scassata.”

      “Questo lo so,” disse Emily, con impazienza. “Ma può fare qualcosa per sistemarla?”

      “Oh no,” rispose l’uomo, ridendo sommessamente. “Proprio niente.”

      Emily ebbe voglia di urlare. La mancanza di cibo e la stanchezza causata dal lungo viaggio stavano cominciando a farsi sentire, portandola sull’orlo delle lacrime. Tutto quello che voleva era arrivare alla casa per poter dormire.

      “Che cosa posso fare?” chiese, disperata.

      “Be’, ha due opzioni,” rispose il vecchio. “Raggiungere a piedi il meccanico, che è a un miglio circa da qui, da quella parte.” Indicò la strada da cui Emily era arrivata con un dito tozzo e grinzoso. “Oppure potrei portare lei e la macchina col rimorchio dove stava andando.”

      “Lo farebbe?” chiese Emily, sorpresa dalla sua gentilezza, qualcosa a cui non era abituata avendo vissuto a New York così a lungo.

      “Certo,” rispose l’uomo. “Non ho intenzione di lasciarla qui fuori a mezzanotte durante una tempesta di neve. Ho sentito che peggiorerà nella prossima ora. Dov’è esattamente che sta andando?”

      Emily era sopraffatta dalla gratitudine. “West Street. Numero quindici.”

      L’uomo reclinò la testa da un lato con curiosità. “Al quindici di West Street? Quella vecchia casa malconcia?”

      “Sì,” rispose Emily. “Appartiene alla mia famiglia. Avevo bisogno di trascorrere un po’ di tempo in tranquillità, sola con me stessa.”

      Il vecchio scosse la testa. “Non posso lasciarla là. La casa sta andando a pezzi. Dubito anche che tenga l’acqua fuori. Perché non viene da me? Abitiamo sopra al negozio di alimentari, io e mia moglie, Bertha. Saremmo felici di avere un’ospite.”

      “È molto gentile da parte sua,” disse Emily. “Ma voglio davvero stare sola al momento. Quindi se potesse portarmi in West Street lo apprezzerei davvero tanto.”

      Il vecchio la osservò per un momento, poi alla fine cedette. “D’accordo, signorina. Se insiste.”

      Emily provò sollievo vedendolo tornare nel furgone e spostarlo davanti alla sua macchina. Lo guardò prendere una spessa corda dal furgone e legare i due veicoli.

      “Vuole salire con me?” chiese. “Almeno ho il riscaldamento.”

      Emily fece un debole sorriso e scosse la testa. “Preferirei…”

      “Restare sola,” il vecchio finì la frase con lei. “Capisco. Capisco.”

      Emily tornò in auto, chiedendosi che tipo di impressione avesse fatto sul vecchio. Doveva pensare che fosse un po’ pazza, a presentarsi qui impreparata e troppo poco


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