La Casa Perfetta. Блейк Пирс

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La Casa Perfetta - Блейк Пирс


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       CAPITOLO QUARANTUNO

      CAPITOLO UNO

      Eliza Longworth sorseggiava il suo caffè mentre guardava verso l’Oceano Pacifico, meravigliata da quel panorama a soli due passi dalla sua camera da letto. A volte doveva ricordare a se stessa quanto fosse fortunata.

      Penelope Wooten, sua amica da venticinque anni, stava seduta nella chaise lounge accanto a lei sul patio che si affacciava sul Los Liones Canyon. Era una giornata di marzo relativamente serena e in lontananza si poteva vedere l’Isola di Santa Catalina. Se guardava alla sua sinistra, Eliza poteva scorgere le torri luccicanti del centro di Santa Monica.

      Era metà mattina ed era lunedì. I bambini erano stati spediti all’asilo e a scuola e l’ora di punta del traffico era finita. L’unica cosa che le due amiche di lunga data avevano in programma fino all’ora di pranzo era passarsela nella villa a tre piani di Eliza che si trovava sul versante di una collina nel Pacific Palisades. Se non si fosse sentita così in estasi in quel momento, avrebbe addirittura potuto iniziare a provare un certo senso di colpa. Ma quando la sola idea le si intrufolò in testa, fu ben attenta a cacciarla via.

      Avrai un sacco di tempo per stressarti più tardi. Concediti questo momento.

      “Vuoi ancora un po’ di caffè?” chiese Penny. “Ho comunque bisogno di una pausa pipì.”

      “No, grazie. Per adesso sono a posto,” disse Eliza, prima di aggiungere con sorriso malizioso: “Comunque sai che puoi chiamarla ‘pausa bagno’, dato che ci sono solo adulti nei paraggi, vero?”

      Penny le rispose con una linguaccia mentre si alzava dalla sedia, allungando le sue gambe chilometriche, un po’ come una giraffa che si rimette in piedi dopo un pisolino. I suoi lunghi e floridi capelli biondi, molto più alla moda rispetto a quelli castano chiaro di Eliza, che li teneva tagliati sulle spalle, erano raccolti in una pratica ma elegante coda di cavallo. Aveva ancora l’aspetto da modella di passarelle, occupazione che aveva ricoperto per buona parte degli anni post-adolescenziali, prima di lasciare tutto a vantaggio di una vita che per sua stessa ammissione era sicuramente non tanto eccitante, ma di certo meno frenetica.

      Entrò in casa, lasciando Eliza da sola con i suoi pensieri. Quasi subito, nonostante i suoi migliori sforzi, la sua mente tornò alla conversazione che avevano condotto solo pochi minuti prima. La lasciò scorrere in loop nella sua testa, senza riuscire a fermarla.

      “Gray sembra così distante ultimamente,” aveva detto Eliza. “La nostra priorità numero uno era sempre stata quella di cenare insieme i bambini, ma da quando è diventato socio senior, ha cominciato ad avere tutte queste cene aziendali.”

      “Sono sicura che sarà frustrato almeno quanto te,” l’aveva rassicurata Penny. “Non appena le cose si saranno sistemate, vedrai che tornerete alla vostra vecchia routine.”

      “Posso gestire il fatto che sia meno presente. Questo lo capisco. Gli hanno dato più responsabilità nel successo dell’azienda adesso. La cosa che mi lascia interdetta è che sembra non soffrire il minimo senso di perdita. Non si è mai mostrato dispiaciuto di dover mancare. Non sono neanche certa che se ne renda conto.”

      “Sono sicura che se ne rende conto benissimo,” aveva detto Penny. “Probabilmente si sente in colpa. E riconoscere quello che si sta perdendo non farebbe che peggiorare le cose. Scommetto che sta cercando di non farlo vedere. A volte anche io faccio così.”

      “Cosa, esattamente?” chiese Eliza.

      “Fingere che qualcosa di non particolarmente ammirevole che sto facendo nella mia vita non sia un grosso problema, perché ammetterne l’importanza mi farebbe stare molto peggio.”

      “Cosa fai di così brutto?” chiese Eliza con tono di scherno.

      “Proprio la scorsa settimana ho mangiato mezzo tubo di Pringles in un colpo solo, tanto per dirne una. E poi ho sgridato i bambini perché volevano il gelato come merenda del pomeriggio. Ecco.”

      “Hai ragione. Sei proprio una persona orribile.”

      Penny tirò fuori la lingua prima di rispondere. Penny era campionessa di linguacce.

      “Quello che intendo dire è che magari non è così inconsapevole come sembra essere. Hai pensato al counseling?”

      “Sai che non credo a quelle scemenze. E poi perché dovrei vedere un terapeuta quando ho te? Tra la terapia Penny e lo yoga, direi che sono emotivamente sistemata. A proposito, sempre d’accordo per domani mattina al nostro posto?”

      “Assolutamente sì.”

      A ripensarci adesso, messi da parte tutti gli scherzi e le battute, magari il counseling matrimoniale non era poi una così brutta idea. Eliza sapeva che Penny e Colton ci andavano a settimane alterne, e sembravano esserne rinforzati. Se ci fosse andata, almeno avrebbe saputo che la sua migliore amica non avrebbe girato il dito nella piaga.

      Era dagli anni della scuola elementare che si supportavano a vicenda. Ricordava ancora quella volta in cui Kelton Prew le aveva tirato i codini e Penny gli aveva dato un calcio negli stinchi. Era successo il primo giorno di terza elementare.


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