Olanda. Edmondo De Amicis
Читать онлайн книгу.Schouwen fu inondata dal mare, che annegò abitanti e bestiami da un capo all’altro e la ridusse un deserto. L’isola di Noord-Beveland fu sommersa tutta intera poco tempo dopo, e per parecchi anni non si videro più che le punte dei campanili fuor dell’acqua. L’isola di Zuid-Beveland ebbe la stessa sorte verso la metà del quattordicesimo secolo. L’isola di Tholen, la stessa sorte in questo medesimo secolo, nel 1825. L’isola di Walcheren la stessa sorte nel 1808, e nella città di Middelburg, sua città capitale, lontana parecchie miglia dalla costa, ci fu l’acqua sino ai tetti.”
A sentir sempre parlar d’acqua, d’inondazioni, di paesi sommersi, ero ridotto che mi pareva strano di non essere ancora annegato. Domandai al capitano che gente fosse quella che stava in quei paesi invisibili, coll’acqua sotto i piedi e sopra la testa.
“Agricoltori e pastori,” mi rispose. “Noi diciamo che la Zelanda è un gruppo di fortezze difese da un presidio di agricoltori e di pastori. In fatto d’agricoltura la Zelanda è la provincia più ricca dei Paesi Bassi. La terra d’alluvione di queste isole è d’una fertilità meravigliosa. Il frumento, la colza, la robbia, il lino vi fanno come in pochissimi altri paesi. Vi sono dei bestiami stupendi e dei cavalli colossali, più grandi ancora che i cavalli fiamminghi. Il popolo è bello e forte, conserva i suoi costumi antichi e vive contento nella sua prosperità e nella sua pace. La Zelanda è un paradiso nascosto.”
Mentre il capitano mi faceva questo discorso, il bastimento entrava nel canale di Keete che divide l’isola di Tholen dall’isola di Schouwen, famoso per il guado che vi fecero gli Spagnuoli nel 1575 com’è famoso il braccio orientale della Schelda per il guado del 1572. Tutta la Zelanda è piena di memorie di quella guerra. Questo piccolo arcipelago di sabbia, mezzo sepolto nel mare, per le particolari corrispondenze che vi riteneva Guglielmo d’Orange, antico signore di molte terre nelle isole, e per gl’impedimenti d’ogni natura che opponeva agl’invasori, era il focolare della guerra e dell’eresia, e il Duca d’Alba smaniava d’impadronirsene. Quindi seguirono su quelle rive delle lotte accanite, che riunivano tutti gli orrori delle battaglie di terra e delle battaglie di mare. I soldati guadavano i canali di notte, stretti gli uni agli altri, coll’acqua alla gola, minacciati dalla marea, flagellati dalla pioggia, fulminati dalle rive; i cavalli e le artiglierie affondavano nel fango; i feriti eran travolti dalla corrente o sepolti vivi nelle fitte; l’aria suonava di voci tedesche, spagnuole, italiane, fiamminghe, vallone, le fiaccole illuminavano qua e là i grandi archibugi, i pennacchi pomposi, i volti strani, e le battaglie parevano funerali fantastici; ed erano davvero i funerali della grande monarchia spagnuola che s’annegava lentamente nell’acque dell’Olanda, coperta di maledizioni e di fango. Chi ha peccato di soverchia tenerezza per la Spagna, se vuol fare ammenda, non ha che da andare in Olanda. Non ci son forse mai stati due popoli che avessero un maggior numero di buone ragioni per detestarsi con tutta la forza dell’anima, e che abbian fatto valere più rabbiosamente tutte queste buone ragioni. Mi ricordo, per notare uno solo dei mille contrasti, dell’impressione che mi faceva l’udir parlare di Filippo II in termini così diversi da quelli in cui ne avevo inteso parlare pochi mesi prima di là dai Pirenei. In Spagna il meno che se ne dicesse era gran re; in Olanda, tiranno vigliacco.
Il bastimento entrò fra l’isola di Schouwen e la piccola isola di San Philipsland, e in pochi minuti sboccò nel largo braccio della Mosa, chiamato Krammer, che divide l’isola di Overflakkee dal continente. Pareva di navigare per una catena di grandi laghi. Le rive eran lontane e presentavano ancora l’aspetto delle rive della Schelda: dighe a perdita d’occhio, dietro le dighe cime d’alberi, punte di campanili e tetti di case nascoste, che davano al paesaggio un’aria di mistero e di solitudine. Solamente su qualche sporgenza delle rive, che formava quasi una breccia negli immensi bastioni delle isole, si vedeva come un bozzetto di paesaggio olandese, una casetta colorita, un mulino a vento, una barca, che parevano la rivelazione d’un segreto, fatta per destare la curiosità dei viaggiatori, e deluderla, appena desta.
Tutt’a un tratto avvicinandomi alla prora del bastimento, dove sono le terze classi, feci una gratissima scoperta. V’era un gruppo di contadini, uomini e donne, vestiti alla zelandese, non ricordo di quale isola, poichè il costume cangia da isola a isola, come cangia il dialetto, che è un misto d’olandese e di fiammingo, se pure si può dir così di due linguaggi che non hanno che piccolissime differenze. Gli uomini erano tutti vestiti ad un modo. Avevano un cappello di feltro, rotondo, con un gran nastro ricamato; una giacchetta di panno scuro, stretta, corta da coprire appena il fianco, aperta in modo da lasciar vedere una specie di panciotto listato di rosso, giallo e verde, chiuso sul petto da una fila di bottoni d’argento l’uno che toccava l’altro, come gli anelli d’una catena; un paio di mezzi calzoni di panno, del colore della giacchetta, stretti intorno alla vita da una cintura munita d’una gran borchia d’argento cesellata; e infine la cravatta rossa e le calze di lana fino al ginocchio. In somma, un po’ preti dalla cintura in giù, e dalla cintura in su un po’ arlecchini. Uno di essi aveva per bottoni delle monete: uso assai comune. Le donne avevano un cappello di paglia della forma d’un cono tronco, altissimo, che pareva un secchiolino rovesciato, intorno al quale svolazzavano dei larghi nastri azzurri; una veste di color scuro aperta sul petto che lasciava vedere una camicia bianca ricamata; le braccia nude dal gomito in giù; e due enormi orecchini d’oro o dorati di varie forme stravaganti, che sporgevano innanzi fin sulle guancie. Per quanto mi sforzassi di fare come fa Vittor Ugo in viaggio, di ammirar tutto come un bruto, non riuscii a persuadermi che quelle foggie di vestire fossero belle. Ma a questa sorta di contrarietà ero preparato. Sapevo che in Olanda ci si va per vedere del nuovo più che del bello, e del buono altrettanto che del nuovo; e perciò m’ero predisposto più all’osservazione che all’entusiasmo. E di quella prima impressione poco grata al mio gusto pittoresco, mi confortai pensando che quei contadini sapevano certamente tutti leggere e scrivere, che forse la sera prima avevano studiato a memoria una canzone del loro grande poeta Jacob Catz, e che probabilmente si recavano col loro bravo programma in tasca a qualche convegno rurale, dove avrebbero preso la parola per confutare cogli argomenti della loro modesta esperienza le proposte d’un dotto agronomo di Goes o di Middelburg. Ludovico Guicciardini, gentiluomo fiorentino, autore d’una bell’opera sui Paesi Bassi, stampata in Anversa nel secolo XVI, dice che in Zelanda non v’è quasi uomo nè donna che parli francese e spagnuolo, e che moltissimi parlano italiano. Questa che forse era una esagerazione anche ai suoi tempi, sarebbe, detta ora, una favola; ma è certo però che fra gli abitanti della campagna zelandese si trova una cultura intellettuale straordinaria, superiore a quella dei contadini francesi, belgi e tedeschi, e a quella di molte altre provincie dell’Olanda.
Il bastimento girò intorno all’isola di San Philipsland e ci trovammo fuori della Zelanda.
Così questa provincia misteriosa prima che ci entrassimo, ci parve anche più misteriosa quando ne fummo usciti. L’avevamo attraversata e non l’avevamo vista; ci eravamo entrati e ne uscivamo colla medesima curiosità. La sola cosa che avevamo veduta era che la Zelanda è una provincia che non si vede. Ma s’ingannerebbe però chi credesse che sia un paese misterioso per la sola ragione che è un paese nascosto. Tutto, in Zelanda, è mistero. Prima d’ogni altra cosa, come s’è formata? Era un gruppo di piccolissime isole d’alluvione, non separate che da canali, e disabitate, le quali, come credono alcuni, si son riunite e han formato isole maggiori? o era, come credono altri, terraferma, quando la Schelda s’andava a versare nella Mosa? Ma lasciando anche stare l’origine, in che altro paese del mondo seguono le cose che seguono in Zelanda? In che paese i pescatori pigliano colle reti una sirena, e il marito dopo averla domandata invano piangendo, getta, per vendicarsi, un pugno di sabbia, profetando che quella sabbia colmerà i porti delle città, e la profezia s’avvera? In che paese, come sulle rive dell’isola di Walcheren, le anime dei morti smarrite nel mare, vanno a svegliare i pescatori per farsi condurre in barca alle coste d’Inghilterra? In che paese le tempeste del mare portano, come sulle rive dell’isola di Schouwen, dei cadaveri rapiti al polo, mostri metà uomo e metà barca, mummie vestite d’un tronco d’albero che nuota; e se ne può ancora veder uno nella casa municipale di Zierikzee? In che paese, come presso Wemeldinge, avviene che un uomo cada a capofitto in un canale, vi resti immerso un’ora, ci vegga la moglie e il figliuolo morti che lo chiamano dal paradiso, e ne sia estratto vivo e racconti il prodigio a Vittor Ugo, che lo tiene per vero e lo commenta, concludendo che l’anima