Luna Nascente. Ines Johnson

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Luna Nascente - Ines Johnson


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rotazione; facendo girare la ragazza fino a farla vomitare. Subito dopo, ogni inclinazione a calmare la situazione mettendo un dito in bocca sarebbe stata accolta dalla nausea.

      "No, grazie," disse Lucia e si voltò.

      Sperò che gli uomini capissero l'antifona e non inasprissero la questione. I Fae che si aggiravano nella stazione ferroviaria tenevano i loro grandi occhi lontani dai suoi. Ma questi due uomini la fissavano audacemente negli occhi, e poi giù verso i suoi seni come se potessero vedere attraverso la sua guaina.

      "Potremmo occuparci dei tuoi bisogni," disse mister foruncolo. "Non dovresti nemmeno farci un incantesimo."

      "Ho detto di no," il tono di Lucia era fermo.

      Alzò lo sguardo per vedere che un uomo con l'uniforme blu di un ufficiale della sicurezza li guardava. Gli occhi dell'ufficiale di sicurezza non mostravano alcuna preoccupazione per lei. La sua preoccupazione era per i due giovani ragazzi. Il suo atteggiamento le disse che non era sicuro di cosa fare in quelle circostanze. Non c'era molto che gli umani, i Fae o i licantropi potessero contro le streghe e gli stregoni.

      "Oh, andiamo, piccola," disse il succhiapollice. "Ti tratteremmo molto bene. E per ogni bastardo che ne risulterà non cercheremo nemmeno di avanzare pretese. Il bambino sarebbe tuo".

      Le streghe della congrega erano autosufficienti. Coltivavano i loro raccolti, si facevano i vestiti da sole, costruivano le loro case. Ma c'era una cosa che le donne di qualsiasi razza non potevano fare da sole.

      "Ho sentito dire che le streghe sono selvagge a letto."

      I due maschi la guardarono dritto negli occhi mentre dicevano queste parole ignobili, e la Luna Piena non era da meno. Erano davvero così stupidi. Lo sguardo di Lucia lampeggiò d'argento. Vide l'ufficiale afferrare il grosso bastone che aveva in vita.

      "Non mi piace il modo in cui voi due state parlando, " li rimproverò. "La prima cosa che farete è chiedere scusa".

      I ragazzi sbatterono le palpebre, con la bocca aperta.

      "Mi dispiace," dissero entrambi, ubbidientemente.

      "E ora," disse lei, "vi siederete in un angolo e vi comporterete bene fino all'arrivo del treno."

      "Sì, signora."

      I loro occhi si spalancarono mentre eseguivano il suo comando. Inciamparono sui loro piedi fino a una panchina. Una volta seduti, mister foruncolo si grattò i bozzi sulla faccia. Succhiapollice mordicchiò un'unghia.

      Lucia sbatté le palpebre, liberando l'energia della Luna. Il colore tornò alla sua vista e i suoi occhi tornarono al marrone nocciola. Guardò l'ufficiale per dimostrargli che non intendeva fare del male. Avrebbe potuto fare molto peggio. Un'altra strega l'avrebbe fatto, e nessuno dei presenti avrebbe potuto farci nulla.

      L'ufficiale si rilassò, ma non incontrò gli occhi di Lucia. Era il meglio che lei potesse sperare. Da queste parti si credeva ancora ai miti degli uomini e ai racconti delle fate. Lei era la cattiva della loro storia.

      Si avvicinò alla biglietteria. "Biglietto di sola andata per Sequoia City."

      L'impiegata la guardò. "Sei qui per una Rumwicca? Dovrebbe sapere che Sequoia City ha delle leggi contro le streghe in libertà. Faresti meglio ad andare a Vegas City."

      "Non sono qui per una Rumwicca. Sto cercando mio padre." Lucia non aveva idea del perché avesse raccontato il suo segreto ad uno sconosciuto. Non l'aveva detto a nessuno della sua congrega. Anche se a loro fosse importato, cosa di cui dubitava, le sue Sorelle l'avrebbero probabilmente ridicolizzata. Cioè, se avessero potuto prima capire il suo bisogno di connessione con un uomo.

      Dall'altra parte della vetrata, le sopracciglia dell'impiegata si alzarono. "Lei sa chi è?"

      Le parole erano già uscite dalla bocca dell'impiegata prima che lei ci ripensasse. Distolse lo sguardo, infilò il biglietto di Lucia nella fessura in fondo alla finestra e si voltò.

      Lucia non si offese. La maggior parte delle streghe della congrega non sapeva chi fosse il proprio padre. I padri, essendo uomini, erano sconosciuti sulle montagne delle streghe. Non c'erano per le nascite o per i compleanni successivi.

      Ma questo non era il caso di Lucia. Non era nata su una montagna. Ricordava di essere stata tra le braccia di suo padre. Ricordava lui che le sorrideva. Ricordava che le diceva che le voleva bene. Ricordava persino il giorno in cui se ne era andato da lei quindici anni prima, lasciando lei e sua madre con la Sorellanza.

      Lucia aveva molte domande senza risposta. Biglietto alla mano, si fermò sulla banchina e aspettò il treno che l'avrebbe portata a trovare l'uomo che aveva tutte le risposte.

      Capitolo Due

      Jackson Alcede si spostò dall’avampiede ai talloni per il potente gancio ad un centimetro dal naso.

      Il pugno lo colpì.

      Non sul naso. Non era quello il bersaglio designato.

      Il ricevente del pugno cadde all’indietro e Jackson afferrò i possenti bicipiti dell’uomo, bloccandoglieli dietro la schiena per evitare ritorsioni. Il sangue sgorgò dal naso rotto dell’uomo e sul polso di Jackson.

      Jackson fece un sospiro simile ad un ruggito. Era la sua camicia preferita, e lo aspettavano a cena i suoi genitori quella stessa sera. Non avrebbe avuto tempo di tornare a casa a cambiarsi. Sua madre avrebbe dato uno sguardo al sangue e si sarebbe agitata.

      Non per i pericoli del suo mestiere.

      No, Karyn Alcede sapeva che tutti i suoi cuccioli potevano cavarsela in una rissa. Si sarebbe agitata per il fatto che Jackson vivesse da solo e non avesse nessuna donna che potesse prendersi cura dell’inevitabile macchia di sangue che sarebbe rimasta sui suoi vestiti.

      Il sangue non era l’unica sostanza ad imbrattare i suoi abiti in quel momento. Sudore e saliva macchiavano la parte frontale della camicia di Jackson, così come i suoi calzoni stretti, mentre l’uomo cercava di respirare liberandosi dalla presa.

      “L’ho vista per primo.” Grugnò pieno di saliva l’uomo in custodia di Jackson. Le sue labbra si arricciarono, permettendo a bolle di saliva di uscirgli dai lati della bocca. I suoi occhi scuri e vispi erano fissi su un altro uomo che poteva essere il suo gemello, eccezion fatta per gli occhi più chiari ed una grossa cicatrice sulla fronte. “Non posso credere che mio fratello voglia competere per la mia donna.”

      “Non è la tua donna,” rispose stizzito il fratello con la cicatrice.

      Di fianco a loro la donna in questione osservava la scena con un calore quasi febbrile sulle guance. Jackson vide il bagliore argenteo nei suoi occhi verdi segno di eccitazione per lo spettacolo. Distolse lo sguardo dalla lupa disgustato.

      “D’accordo,” intervenne Jackson. “Voi due dovete calmarvi prima che la situazione vi sfugga di mano.”

      Il labbro sanguinante dell’uomo cicatrice e il naso dolorante del salivatore avrebbero potuto indurre un poliziotto umano a credere di aver terminato il suo lavoro. Ma quelli erano lupi. Erano molto più grossi degli umani in altezza e larghezza. Erano anche più forti, con temperamenti volatili come animali selvaggi quando percepiscono che il loro territorio è stato violato.

      Al momento Jackson aveva la situazione sotto controllo. Era simile in altezza e talmente possente che i due lupi a confronto sembravano umani. Aveva anche il vantaggio di essere molto in controllo del suo lupo.

      “Puoi averla vista per primo, fratello,” ghignò l’uomo cicatrice. “Ma l’ho avuta per primo.”

      Tutti gli occhi viaggiarono verso la lupa in piedi ai margini della scena. La ragazza arrossiva di calore, ma non sembrava affatto imbarazzata.

      Jackson aveva le mani piene di bava del salivatore mentre il fratello sfregiato lo incitava con i racconti di una notte passionale e animalesca con la donna che entrambi sostenevano essere il loro unico, vero amore. Il fratello che Jackson teneva fermo gli scivolò tra le dita mentre la pelle spessa e muscolosa


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