Saving Grace. Pamela Fagan Hutchins

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Saving Grace - Pamela Fagan Hutchins


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      Quando il vero Jacoby si fece avanti, rimasi scioccata. Era una specie di Shrek nero, non il dio color ebano dell’isola che mi ero immaginata al fianco della bellezza sensuale di Ava. Ava si lasciò scappare un urletto adolescenziale — un’altra grande sorpresa — e si lanciò su di lui a braccia aperte, con conseguenti mormorii e grugniti delusi, insieme ad alcuni suoni che sembravano come se qualcuno stesse succhiando la saliva attraverso i denti, da parte del pubblico maschile. Bleah. Gli altri agenti di polizia si dispersero, chi tornando in ufficio o ai piani superiori, la cui scala d’accesso si intravedeva oltre la reception.

      “Katie, questo è Jacoby. Siamo inseparabili sin dai tempi dell’asilo. Jacoby, Katie.”

      Mi porse la mano. “Darren Jacoby.”

      Gliela strinsi. “Un piacere conoscerla, Agente Jacoby. Sono Katie Connell.”

      Jacoby indicò una delle porte della stanza e ci spostammo. Aprendo la porta in legno massiccio, ci ritrovammo in una sala conferenze vuota, con spesse pareti in cemento. Costruita per resistere a Madre Natura. C’era un tavolo in metallo ripiegabile, e lo stesso tipo di sedie dell’ingresso. Di nuovo, immaginai come potesse essere stata questa stanza una volta. Una camera da letto, decisi. Ci sedemmo intorno al tavolo.

      “Quindi, Ava, immagino di non aver sognato la tua chiamata sexy di ieri notte,” disse.

      Se cercate un esempio perfetto di come la speranza sia l’ultima a morire, eccolo.

      “Hai sognato che fosse sexy, ma sì, ti ho chiamato,” rispose. “Katie ha bisogno di aiuto. I suoi genitori sono morti a St. Marcos l’anno scorso, erano qui in vacanza.”

      Distolse lo sguardo da Ava. “Mi dispiace, Signora Connell,” disse.

      “Mi chiami Katie, per favore. Grazie.”

      Mi fece segno di continuare a parlare.

      Ava non mi aveva chiesto di lasciarla parlare? Decisi che non l’aveva detto seriamente e presi il controllo. “La Polizia ha detto a me e a mio fratello che i nostri genitori sono morti in un incidente stradale. Senza offesa per la Polizia di St. Marcos, ma, date le circostanze per come ce le hanno spiegate, sentivo che c’era qualcosa che non tornava. Non era da loro. Speravo di poter parlare con l’agente che si è occupato del caso e se possibile leggere il loro fascicolo. Appianare i miei dubbi, fare i conti con la situazione,” spiegai.

      Strinse gli occhi. “Conosce il nome dell’agente di polizia?” chiese.

      “No,” dissi. “Mi dispiace.” Collin l’avrebbe saputo. Avrei dovuto chiederglielo.

      “Ha detto che il cognome è Connell?” chiese.

      “Sì. Frank e Heather Connell.”

      Senza dire altro, spinse indietro la sedia. Una delle gambe aveva perso il cuscinetto ed emise un rumore stridulo che mi ricordò di Shreveport, e di Nick. Jacoby lasciò la stanza.

      “Che brusco,” dissi ad Ava.

      “Tendono a serrare i ranghi, specialmente se non sei baan ya,” disse Ava. “Ecco perché ti ho detto ieri sera che sarei dovuta venire con te, e che avremmo dovuto lavorare con Jacoby, almeno il più possibile.”

      Mi sorse un dubbio. “Spero non fosse lui l’agente che se ne occupò. In quel caso, l’ho appena accusato di aver fatto un casino.”

      Ava rimase seduta con un sorriso da Gioconda sulle labbra. I secondi ticchettavano sull’orologio da muro dietro di lei. Passò un minuto, poi un altro, e poi un altro. Ava tirò fuori il telefono e iniziò a smaneggiare. Tolsi la mano dalla bocca, rendendomi conto troppo tardi che avevo strappato la cuticola dall’indice. Stava sanguinando.

      Poi Jacoby fece ritorno, riempiendo la stanza con la sua barba ispida. Teneva un fascicolo sotto il braccio e un piccolo pezzo di carta in mano.

      “Ho parlato con il mio capo, il vicecomandante Tutein. Ha detto di darle questo.” Si era americanizzato adesso, a scapito della parlata locale. Mi allungò il pezzo di carta, che aveva i buchi da un lato, rivelando di essere stato strappato da un quaderno.

      Lessi le parole scritte a matita: Walker, King’s Cross n°32. “È il nome dell’agente?” chiesi.

      “No, l’agente che si occupò del caso è annegato undici mesi fa,” disse Darren, con voce piatta. Non aggiunse altri dettagli, e io non feci domande.

      “Mi dispiace. Cosa sa dirmi del fascicolo? Posso vederlo?”

      Mi fissò. “È stato un semplice incidente stradale.” Si passò la mano sulla nuca. “Abbiamo un rapporto dell’accaduto. Le ho fatto una copia. Forse la scientifica sa qualcosa di più.”

      Tirò fuori la cartella e la aprì. Una pagina. La presi in mano cautamente, il mio sguardo cadde sui nomi Frank Connell e Heather Connell. Lessi il resto velocemente, fino a quando non trovai il nome dell’agente che rispose alla chiamata. Scritto con chiarezza, leggeva Michael Jacoby. Firmato in piccolo e storto, diceva George Tutein. Jacoby. Ma non questo Jacoby, perché questo Jacoby — Darren — era più che vivo.

      “Walker è un investigatore privato, l’unico di St. Marcos. Tutein dice che Walker ha dei buoni contatti sull’isola e che lavora per un paio delle aziende locali più importanti. Forse può aiutarla.” Jacoby iniziò a farsi da parte. “Ma i suoi genitori sono morti in un incidente stradale. Non sembra esserci molto altro che possa scoprire.”

      “Quindi non c’è nessun altro qui con cui possa parlare?” Un fuoco di rabbia si accese dentro di me e iniziò a diffondersi.

      “Solo Michael. Ed è morto.” Si girò verso Ava. “È stato bello rivederti.” Girò i tacchi e se ne andò.

      Le mie guance e orecchie stavano andando a fuoco. Tutto questo scatenava un campanello d’allarme per me. Feci per parlare ma Ava si portò un dito alle labbra. Chiusi la bocca strinsi i denti. Indicò l’uscita con un cenno della testa e si alzò per andarsene, gridando a tutti i presenti, “Un buon pomeriggio a tutti voi.”

      Un muro di afa mi aspettava alla porta, ma mi ci lanciai all’interno, alimentata dalla frustrazione. Due agenti di polizia ci passarono vicino ed entrarono nell’edificio, e adesso eravamo da sole. Strizzai gli occhi, scavando nella borsa in cerca degli occhiali da sole.

      Consapevole della loro amicizia, smorzai un po’ la mia collera. “Ava, so che è tuo amico, ma non ti sembra che volesse mettermi a tacere? So che non sono di qui, ma qualcosa non torna.”

      Lo sguardo di Ava sfrecciò a destra e sinistra. “Shh, Katie. Le cose qui sono diverse dagli Stati Uniti.”

      Aprii la macchina e sbloccai le portiere. Entrammo.

      “Fammi vedere quel rapporto,” disse Ava.

      Glielo passai. Non c’era molto da vedere. Incidente stradale, caduti da un dirupo sugli scogli sottostanti. Guidatore e passeggero deceduti. I miei genitori.

      Senza alzare lo sguardo dal foglio, Ava chiese, “Cos’è che ti fa essere così sicura che non sia stato un incidente?”

      “Non sono sicura. Credo molto nelle intuizioni, ed è una mia sensazione, che scaturisce da alcuni dettagli che non hanno molto senso. Come il fatto che mia madre indossasse l’anello di matrimonio di mia nonna, ma la polizia non l’ha ritrovato. Né su di lei, né tra le sue cose in hotel. Mi è sembrato strano. In più, parlai con i miei genitori quella sera. Erano stati a cena e stavano tornando al Peacock Flower Resort. Mi hanno chiamato mentre erano in macchina. Stavano benissimo. E poi sono morti.” Merda. I miei occhi iniziarono ad ingrossarsi.

      “Okay, okay. Qui dice che tuo padre era abbastanza ubriaco.” La sua parlata si fece più formale. Più americanizzata.

      “Sì, è un’altra cosa che mi disturba. Mio padre era un ex-alcolista. Non sembrava ubriaco quando gli parlai al telefono. E non riesco ad immaginare mia madre che lo osserva bere senza fare una piega.” Mamma aveva domato bambini dell’asilo per vent’anni e le piaceva affermare


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