Le tigri di Monpracem. Emilio Salgari

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Le tigri di Monpracem - Emilio Salgari


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però appena cominciato a suonare un’arietta portoghese, allorquando vide Sandokan avvicinarsi bruscamente al tavolo, puntandovi sopra le mani con tale violenza da farlo piegare.

      Non era più lo stesso uomo di prima: la sua fronte era burrascosamente aggrottata, i suoi occhi mandavano cupi lampi, le sue labbra, ritiratesi, mostravano i denti convulsamente stretti, le sue membra fremevano. In quel momento egli era il formidabile capo dei feroci pirati di Mompracem, era l’uomo che da dieci anni insanguinava le coste della Malesia, l’uomo che per ogni dove aveva dato terribili battaglie, l’uomo la cui straordinaria audacia, l’indomito coraggio gli avevano valso il nomignolo di Tigre della Malesia.

      – Yanez! – esclamò egli con un tono di voce, che più nulla aveva d’umano. – Che cosa fanno gl’inglesi a Labuan?

      – Si fortificano – rispose tranquillamente l’europeo.

      – Forse che tramano qualche cosa contro di me?

      – Lo credo.

      – Ah! Tu lo credi? Che osino alzare un dito contro la mia Mompracem! Di’ a loro che si provino a sfidare i pirati nei loro covi! La Tigre li distruggerà fino all’ultimo e berrà tutto il loro sangue. Dimmi, che cosa dicono di me?

      – Che è ora di finirla con un pirata così audace.

      – E mi odiano molto?

      – Tanto che s’accontenterebbero di perdere tutte le loro navi, pur di appiccarti.

      – Ah!

      – Dubiti forse? Fratellino mio, sono molti anni che tu ne commetti una peggiore dell’altra. Tutte le coste portano le tracce delle tue scorrerie; tutti i villaggi e tutte le città sono state da te assalite e saccheggiate; tutti i forti olandesi, spagnoli e inglesi hanno ricevuto le tue palle e il fondo del mare è irto di navi da te mandate a picco.

      – È vero, ma di chi la colpa? Forse che gli uomini di razza bianca non sono stati inesorabili con me? Forse che non mi hanno detronizzato col pretesto che io diventavo troppo potente? Forse che non hanno assassinato mia madre, i miei fratelli e le mie sorelle, per distruggere la mia discendenza? Quale male avevo io fatto a costoro? La razza bianca non aveva mai avuto da dolersi di me, eppure mi volle schiacciare. Ora io li odio, siano spagnoli, od olandesi, o inglesi o portoghesi tuoi compatrioti, io li esecro e mi vendicherò terribilmente di loro, l’ho giurato sui cadaveri della mia famiglia e manterrò il giuramento!

      «Se sono però stato spietato coi miei nemici, qualche voce spero si alzerà per dire che talvolta sono stato generoso.»

      – Non una, bensì cento, mille voci possono ben dire che tu sei stato coi deboli perfin troppo generoso – disse Yanez. – Possono dirlo tutte quelle donne cadute in tuo potere che tu hai condotte, a rischio di farti colare a picco dagli incrociatori, nei porti degli uomini bianchi; possono dirlo le deboli tribù che tu hai difeso contro le razzie dei prepotenti, i poveri marinai privati dei loro legni dalle tempeste e che tu hai salvati dalle onde e coperti di regali, e cento, e mille altri che ricorderanno sempre i tuoi benefici, o Sandokan.

      «Ma dimmi ora, fratellino mio, che cosa vuoi concludere?»

      La Tigre della Malesia non rispose. Si era messo a passeggiare per la stanza colle braccia incrociate e la testa china sul petto. A che pensava quel formidabile uomo? Il portoghese Yanez, quantunque lo conoscesse da lungo tempo, non sapeva indovinarlo.

      – Sandokan, – disse dopo qualche minuto, – a che cosa pensi?

      La Tigre si fermò guardandolo fisso, ma ancora non rispose.

      – Hai qualche pensiero che ti tormenta? – riprese Yanez. – Toh! Si direbbe che ti crucci perché gl’inglesi ti odiano molto.

      Anche questa volta il pirata stette zitto.

      Il portoghese si alzò, accese una sigaretta e si diresse verso una porta nascosta dalla tappezzeria, dicendo:

      – Buona notte, fratellino mio.

      Sandokan a quelle parole si scosse e, fermando con un gesto il portoghese, disse:

      – Una parola, Yanez.

      – Parla adunque.

      – Sai che voglio andare a Labuan?

      – Tu!… A Labuan!…

      – Perché tanta sorpresa?

      – Perché tu sei troppo audace e commetteresti qualche pazzia nel covo del tuoi più accaniti nemici.

      Sandokan lo guardò con due occhi che mandavano fiamme ed emise una specie di sordo ruggito.

      – Fratello mio, – riprese il portoghese, – non tentare troppo la fortuna. Sta’ in guardia! L’affamata Inghilterra ha messo gli occhi sulla nostra Mompracem e forse non aspetta che la tua morte per gettarsi sui tuoi tigrotti e distruggerli. Sta’ in guardia, poiché ho veduto un incrociatore irto di cannoni e zeppo d’armati ronzare nelle nostre acque, e quello là è un leone che altro non attende che una preda.

      – Ma incontrerà la Tigre! – esclamò Sandokan, stringendo i pugni e fremendo dai piedi al capo.

      – Sì, la incontrerà e forse nella pugna soccomberà, ma il suo grido di morte giungerà fino sulle coste di Labuan ed altri muoveranno contro di te. Morranno molti leoni, poiché tu sei forte e tremendo, ma morrà anche la Tigre!

      – Io!…

      Sandokan aveva fatto un salto innanzi, colle braccia contratte pel furore, gli occhi fiammeggianti, le mani raggrinzate come se stringessero delle armi. Fu però un lampo: si sedette dinanzi al tavolo, tracannò d’un sol fiato una tazza rimasta piena e disse con voce perfettamente calma:

      – Hai ragione, Yanez; tuttavia io andrò domani a Labuan. Una forza irresistibile mi spinge verso quelle spiagge, e una voce mi sussurra che io devo vedere la fanciulla dai capelli d’oro, che io devo…

      – Sandokan!…

      – Silenzio fratellino mio: andiamo a dormire.

      FEROCIA E GENEROSITÀ

      All’indomani qualche ora dopo che il sole era sorto, Sandokan usciva dalla capanna, pronto a compiere l’ardita impresa.

      Era abbigliato da guerra: aveva calzato lunghi stivali di pelle rossa, il suo colore favorito, aveva indossata una splendida casacca di velluto pure rosso, adorna di ricami e di frange e larghi calzoni di seta azzurra. Ad armacollo portava una ricca carabina indiana rabescata e dal lungo tiro: alla cintura una pesante scimitarra dall’impugnatura di oro massiccio e di dietro un kriss, quel pugnale dalla lama serpeggiante e avvelenata, tanto caro alle popolazioni della Malesia.

      Si arrestò un momento sull’orlo della gran rupe, scorrendo col suo sguardo d’aquila la superficie del mare, diventata liscia e tersa come uno specchio, e lo fermò verso l’oriente.

      – È là – mormorò egli, dopo alcuni istanti di contemplazione. – Strano destino, che mi spingi laggiù, dimmi se mi sarai fatale! Dimmi se quella donna dagli occhi azzurri e dai capelli d’oro che ogni notte conturba i miei sogni, sarà la mia perdita!…

      Scosse il capo come se volesse scacciare un cattivo pensiero, poi a lenti passi discese una stretta scaletta aperta nella roccia e che conduceva alla spiaggia. Un uomo lo attendeva al basso: era Yanez.

      – Tutto è pronto – disse questi. – Ho fatto preparare i due migliori legni della nostra flotta, rinforzandoli con due grosse spingarde.

      – E gli uomini?

      – Tutte le bande sono schierate sulla spiaggia, coi loro capi. Non avrai che da scegliere le migliori.

      – Grazie, Yanez.

      – Non ringraziarmi, Sandokan; forse ho preparato la tua rovina.

      – Non temere, fratello mio; le palle hanno paura di me.

      – Sii prudente, molto prudente.

      – Lo sarò e ti prometto che, appena avrò veduta quella fanciulla ritornerò qui.

      – Dannata


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