Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 2. Giovanni Boccaccio
Читать онлайн книгу.umiditá non fosse, per la quale il calor del fuoco a lei vicino si temperasse, lʼaere non potrebbe i suoi effetti adoperare, sí sarebbe affocata: adunque lʼumiditá di queste stelle, che è molta, è cagione di questa sustentazione, e per conseguente di nutrimento.] E fu costei moglie di Corito, re della sopra detta cittá di Corito, la quale estimo da lui denominata fosse. E sono di quegli che vogliono questo Corito essere quella terra la qual noi oggi chiamiamo Corneto; e a questa intenzione forse agevolmente sʼadatterebbe il nome, percioché, aggiunta una «n» al nome di Corito, fará Cornito: e queste addizioni, diminuizioni e permutazioni di lettere essere neʼ nomi antichi fatte sovente si truovano.
Essendo adunqe costei, come detto è, moglie di Corito re, gli partorí tre figliuoli, Dardano e Iasio e Italo: né altro di lei mi ricorda aver letto giammai che memorabile sia. Credo adunque per questo saranno di quegli che si maraviglieranno perché tra gli spiriti magni non solamente dallʼautor posta sia, ma ancora perché la prima nominata: della qual cosa può essere la cagion questa. Volle, per quello che io estimo, lʼautore porre qui il fondamento primo della troiana progenie (e per conseguente deʼ discendenti dʼEnea) e della famiglia deʼ Iulii, le quali, o vogliam dir la quale, piú che alcunʼaltra è stata reputata splendida per nobiltá di sangue, e, oltre a questo, quella che in piú secoli è perseverata neʼ suoi successori: percioché, come assai manifestamente per autentichi libri si comprende, per quattro o per cinque mezzi discendendo, per diritta linea si pervenne da Dardano, figliuolo dʼElettra, ad Anchise, e da Anchise, per diciasette o forse diciotto, si pervenne in Numitore, padre dʼIlia, madre di Romolo, edificatore di Roma; e per Giulio Proculo, figliuolo dʼAgrippa Silvio, che deʼ discendenti dʼEnea fu, si fondò in Roma la famiglia Iulia, parte della quale furono i Cesari, li quali perseverarono infino in Neron Cesare. E dʼaltra parte, secondo che alcuni si fanno a credere, essendo per piú mezzi Ettor disceso di Dardano, dicono che, dopo il disfacimento dʼIlione, certi figliuoli dʼEttore essersene andati in Trazia, e quivi aver fatta una cittá chiamata Sicambria; e deʼ lor discendenti, dopo lungo tempo, esserne andati su per lo Danubio e pervenuti infino sopra il Reno, il quale Germania divide daʼ Galli; e appresso, dopo piú centinaia dʼanni, dietro a due giovani reali di quella schiatta discesi, deʼ quali lʼun dicono essere stato chiamato Francone e lʼaltro Marcomanno, essere passati in Gallia, e quivi aver data origine e principio alla progenie deʼ reali di Francia: e cosí infino aʼ nostri di voglion dire che pervenuta sia.
Ma potrebbe nondimeno dire alcuno: se lʼautore voleva il principio di cosí nobile e cosí antica schiatta porre, perché non poneva egli Corito il marito di questa Elettra? A che si può cosí rispondere: perché, conciosiacosaché di questa origine fosse Dardano, figliuolo dʼElettra, cominciamento, per gli errori degli antichi si dubitò di cui Dardano fosse stato figliuolo, o di Corito o di Giove: e però, non avendo questo certo, volle porre lʼautore inizio di questa progenie colei di cui era certo Dardano essere stato figliuolo. E il credere che Dardano fosse stato figliuol di Giove nacque da questo: che, essendo morto Corito, e per la successione del regno nata quistione tra Dardano e Iasio, avvenne che Dardano uccise Iasio; di che vedendo egli i sudditi turbati, prese navi e parte del popolo suo, e, da Corito partitosi, dopo alcune altre stanzie, pervenne in Frigia, provincia della minore Asia, dove un re chiamato Tantalo regnava: dal quale in parte del reggimento ricevuto, fece una cittá la quale nominò Dardania; aʼ suoi cittadini diede ottime e laudevoli leggi: ed essendo umano e benigno uomo e giustissimo, estimarono quegli cotali lui non essere stato figliuolo dʼuomo, ma di Giove: e questo, percioché le sue operazioni erano molto conformi agli effetti di quel pianeto, il quale noi chiamiamo Giove. [E regnò questo Dardano, secondo che scrive Eusebio in libro Temporum, aʼ tempi di Moisé, regnando in Argo Steleno: e in Frigia pervenne lʼanno del mondo tremila settecentotrentasette]. Cosí adunque quello che prima era certo, cioè lui essere stato figliuolo di Corito, si convertí in dubbio, e però non il padre, ma la madre, come detto è, puose in questo luogo primiera.
«Con molti compagni.» Questi estimo erano deʼ discesi di lei, traʼ quali ne furono alquanti, piú che gli altri famosi e laudevoli uomini. Deʼ quali compagni ne nomina lʼautore alcuno, dicendo:
«Traʼ quai conobbi», per fama, «Ettore», figliuol di Priamo, re di Troia, e dʼEcuba. Costui si crede che fosse in fatti dʼarme e forza corporale tra tutti i mortali maravigliosissimo uomo, e cosí appare nella Iliada dʼOmero per tutto. Ultimamente, avendo molte vittorie avute deʼ greci, avvenne che, avendo Achille, ad istanzia deʼ prieghi di Nestore, non volendo combattere egli, conceduto a Patrocolo, suo singulare amico, che egli per un dí si vestisse lʼarmi sue, e Patrocolo con esse in dosso essendo disceso nella battaglia, come da Ettor fu veduto, fu da lui estimato esso essere Achille: per la qual cosa dirizzatosi verso lui, senza troppo affanno vintolo, lʼuccise, e spogliògli quelle armi, e, quasi dʼAchille tronfando, se ne tornò con esse nella cittá. La qual cosa avendo Achille sentita, pianta amaramente la morte del suo amico, e altre armi trovate, discese fieramente animoso contro ad Ettore nella battaglia. Avvenutosi ad Ettore, con lui combatté e, ultimamente vintolo, lʼuccise. E tanto poté in lui lʼodio, il quale gli portava per la morte di Patrocolo, che, spogliatogli lʼarmi, e legato il morto corpo dietro al carro suo, tre volte intorno intorno alla cittá dʼIlione lo strascinò: e quindi alla tenda sua ritornato, il guardò dodici dí senza sepoltura, infino a tanto che Priamo, di notte e nascostamente venuto alla sua tenda, quello con grandissimo tesoro e molte care gioie ricomperò, e, portatonelo nella cittá, con molte sue lacrime e degli altri suoi e di tutti i troiani, onorevolmente il seppellí.
«Ed Enea». Questi fu figliuolo, secondo che i poeti scrivono, dʼAnchise troiano e di Venere, e nacque sopra il fiume chiamato Simoente, non guari lontano ad Ilione, al quale poi Priamo, re di Troia, splendidissimo signore, diede Creusa, sua figliuola, per moglie, e di lei ebbe un figliuolo chiamato Ascanio. Fu in arme valoroso uomo, e tra gli altri nobili troiani andò in Grecia con Paris quando egli rapí Elena: la qual cosa mostrò sempre che gli spiacesse. Non pertanto valorosamente contro aʼ greci combatté molte volte per la salute della patria, e tra lʼaltre si mise una volta a combattere con Achille, non senza suo gran pericolo. In Troia fu sempre ricevitore degli ambasciatori greci: per le quali cose, essendo Ilion preso dai greci, in luogo di guiderdone gli fu conceduto di potersi, con quella quantitá dʼuomini che gli piacesse, del paese di Troia partirsi e andare dove piú gli piacesse. Per la qual concessione prese le venti navi, con le quali Paris era primieramente andato in Grecia, e in quelle messi quegli troiani alli quali piacque di venir con lui, e similemente il padre di lui ed il figliuolo, e, secondo che ad alcuni piace, uccisa Creusa, lasciato il troiano lito, primieramente trapassò in Trazia, e quivi fece una cittá, la quale del suo nome nominò Enea, nella qual poi esso lungamente fu adorato e onorato di sacrifici come Iddio, sí come Tito Livio nel quarantesimo libro scrive. E quindi poi, sospettando di Polinestore re, il quale dislealmente per avarizia aveva ucciso Polidoro, figliuol di Priamo, si partí, e andonne con la sua compagnia in Creti, donde, costretto da pestilenza del cielo, si partí e vennene in Cicilia, dove Anchise morí appo la cittá di Trapani. Ed esso poi per passare in Italia rimontato coʼ suoi amici sopra le navi, e lasciata ad Aceste, nato del sangue troiano, una cittá da lui fatta, chiamata Acesta, in servigio di coloro li quali seguir nol poteano, secondo che Virgilio dice, da tempestoso tempo trasportato in Affrica, e quivi da Didone, reina di Cartagine, ricevuto ed onorato, per alcuno spazio di tempo dimorò. Poi da essa partendosi, essendo giá sette anni errato, pervenne in Italia, e nel seno Baiano, non guari lontano a Napoli, smontato, quivi per arte nigromantica, appo il lago dʼAverno, ebbe con gli spiriti immondi, di quello che per innanzi far dovesse, consiglio; e quindi partitosi, lá dove è oggi la cittá di Gaeta perdé la nutrice sua, il cui nome era Gaeta, e sopra le sue ossa fondò quella cittá, e dal nome di lei la dinominò; e quindi venuto nella foce del Tevero, ed essendogli, secondo che dice Servio, venuto meno il lume dʼuna stella, la quale dice essere stata Venere, estimò dovere esser quivi il fine del suo cammino. Ed entrato nella foce, e su per lo fiume salito con le sue navi, lá dove è oggi Roma, fu da Evandro re ricevuto e onorato; e in compagnia di lui essendo, da Latino re deʼ laurenti gli fu data per moglie la figliuola, chiamata Lavina, la quale primieramente aveva promessa a Turno, figliuolo di Dauno, re deʼ rutoli. Per la qual cosa nacque guerra tra Turno e lui, e molte battaglie vi furono, e, secondo che scrive Virgilio, egli uccise Turno. Ma alcuni altri sentono altrimenti.
Della morte sua non è una medesima opinione in tutti. Scrive Servio che Caton dice che, andando i compagni dʼEnea