Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6 - Edward Gibbon


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mura e delle paludi di Ravenna. Fu imitato l'esempio d'Onorio da' Re Goti, suoi deboli successori, e di poi dagli Esarchi, i quali occuparono il trono ed il palazzo degl'Imperatori; e fino alla metà dell'ottavo secolo Ravenna fu risguardata come la sede del Governo e la Capitale dell'Italia125.

      A. 400

      I timori d'Onorio non erano senza fondamento, nè le sue precauzioni furono senz'effetto. Nel tempo che l'Italia si rallegrava per la sua liberazione dai Goti, eccitossi una furiosa tempesta fra le nazioni della Germania, che cederono all'irresistibile impulso, che sembra essere stato a grado a grado comunicato loro dall'estremità orientale del continente dell'Asia. Gli Annali Chinesi, nella maniera che si sono interpretati dalla dotta industria del presente secolo, possono utilmente applicarsi a scuoprir le segrete e remote cause della caduta dell'Imperio Romano. Quell'esteso tratto di paese, che è al settentrione della gran muraglia, dopo la fuga degli Unni fu occupato da' vittoriosi Sienpi, che alle volte si divisero in tribù indipendenti, ed alle volte si trovaron riuniti sotto un supremo Capo, finattantochè in ultimo, dandosi il nome di Topa o di Signori della Terra, acquistarono una maggiore stabilità, ed un potere più formidabile. In breve obbligarono essi le pastorali nazioni del deserto orientale a conoscere la superiorità delle loro armi; invasero la China in un tempo di debolezza e d'interna discordia; e questi fortunati Tartari, adottando le leggi ed i costumi del popolo vinto, fondarono un'Imperial Dinastia, che regnò quasi cento sessant'anni sulle province Settentrionali della Monarchia. Qualche generazione prima che salissero sul trono della China, uno dei Principi Topa aveva arrolato nella sua cavalleria uno schiavo, chiamato Moko, celebre pel suo valore; ma che fu indotto dal timore del gastigo o disertare, ed a vagare pel deserto alla testa di cento seguaci. Questa mano di ladri e di banditi divenne poi un campo, una tribù, un numeroso popolo distinto col nome di Geougen; ed i posteri di Moko lo schiavo, ereditarj lor Capitani, presero posto fra i Monarchi della Scizia. Toulun, che fu il più grande fra i discendenti di esso, esercitò la sua gioventù in quelle avversità che sono la scuola degli Eroi. Combattè valorosamente con la fortuna, ruppe l'imperioso giogo del Topa, e divenne il legislatore della sua nazione, ed il conquistatore della Tartaria. Distribuì le sue truppe in corpi regolari di cento e di mille uomini; i codardi erano lapidati; si proponevano gli onori più splendidi come premj del valore, e Toulun, abbastanza instrutto per non curare il saper della China, non adottò che quelle arti e quegl'instituti, che favorivano lo spirito militare del suo Governo. Piantava nella state le sue tende sulle fertili rive del Selinga, trasportandole nell'inverno ad una latitudine più meridionale. S'estendevano le sue conquiste dalla Corea fino al di là del fiume Irtish. Vinse nella regione al norte del mar Caspio la nazione degli Unni; ed il nuovo titolo di Kan o Cagan, indicò la fama ed il potere che trasse da questa memorabil vittoria126.

      A. 405

      Resta interrotta o piuttosto celata la catena degli avvenimenti, quando si passa dal Volga alla Vistola per l'oscuro spazio, che separa gli estremi confini della geografia Chinese e Romana. Pure l'indole de' Barbari e l'esperienza delle posteriori emigrazioni abbastanza dimostrano, che gli Unni, i quali erano oppressi dalle armi dei Geougensi, dovetter sottrarsi ben presto dalla presenza d'un insultante vincitore. I paesi verso il Ponto Eussino erano già occupati dalle tribù loro congiunte, e la precipitosa loro fuga, che tosto si convertì in un audace assalto, doveva più naturalmente dirigersi verso le ricche ed uguali pianure, per le quali la Vistola piacevolmente scorre verso il mar Baltico. Dovè il Settentrione di nuovo esser commosso ed agitato dall'invasione degli Unni; e le nazioni, che fuggivan da loro, doveron posarsi con grave peso sui confini della Germania127. Gli abitanti di quelle regioni, che gli antichi hanno assegnato agli Svevi, a' Vandali, ed ai Borgognoni, poteron prendere la risoluzione d'abbandonare a' fuggitivi della Sarmazia le loro foreste e lagune, o almeno di scaricare la superflua loro popolazione nelle Province del Romano Impero128. Circa quattr'anni dopo che il vittorioso Toulun aveva preso il titolo di Kan dei Geougensi, un altro Barbaro, cioè il superbo Rodogasto, o Radagaiso129 marciò dall'estremità settentrionali della Germania quasi fino alle mura di Roma, lasciò gli avanzi del suo esercito a terminare la distruzione dell'Occidente. I Vandali, gli Svevi ed i Borgognoni formavano il corpo di questa formidabile armata; ma gli Alani, che avevan trovato un cortese accoglimento nelle nuove loro abitazioni, aggiunsero un'attiva cavalleria alla grave infanteria dei Germani; e gli avventurieri Gotici corser con tanto ardore alle bandiere di Radagaiso, che alcuni storici lo hanno chiamato Re de' Goti. Facevan pompa nella vanguardia dodicimila guerrieri, distinti dal volgo per la nobile nascita o per le valorose lor geste130; e tutta la moltitudine, che non era minore di dugentomila combattenti, aggiuntevi lo donne, i fanciulli, e gli schiavi, poteva montare sino al numero di quattrocentomila persone. Venne questa terribile emigrazione dalla medesima costa del Baltico, dalla quale uscirono le migliaia di Cimbri e di Teutoni ad assaltar Roma e l'Italia nel vigor della Repubblica. Dopo la partenza di quei Barbari, il nativo loro paese, in cui si vedevano i vestigi di lor grandezza, come grosse mura, e moli gigantesche131, fu per qualche secolo ridotto ad una vasta ed arida solitudine, finattantochè non fu rinnovata la specie umana dalla forza della generazione, e non fu ripieno quel vôto dal concorso di nuovi abitanti. Anche le nazioni, che presentemente usurpano un'estension di terreno, che non son capaci di coltivare, sarebber tosto soccorse dall'industriosa povertà dei loro vicini, se il governo dell'Europa non proteggesse i diritti, del dominio e della proprietà.

      A. 406

      Era in quel tempo tanto precaria ed imperfetta la corrispondenza delle nazioni fra loro, che potevano ignorarsi nella Corte di Ravenna le rivoluzioni del Norte, finattantochè l'oscura nube, che si era ammassata lungo la costa del Baltico, scoppiò in fulmine sulle rive dell'alto Danubio. L'Imperator dell'Occidente si contentava d'essere occasione e spettator della guerra132, se pure i suoi ministri arrischiavansi di disturbarne i piaceri con le nuove dell'imminente pericolo. Affidavasi la salute di Roma a' consigli ed alla spada di Stilicone; ma tanto era debole ed esausto lo staio dell'Impero, che era impossibile di risarcire le fortificazioni del Danubio, o d'impedire con un vigoroso sforzo l'invasione de' Germani133. Le speranze del vigilante Ministro d'Onorio si limitavano alla difesa dell'Italia. Egli abbandonò un'altra volta le Province; richiamò le truppe; fece nuove leve, che furono rigorosamente cercate, e con pusillanimità deluse; impiegò i più efficaci mezzi per ritenere o allettare i disertori; ed offerì la libertà ed il donativo di due monete d'oro a tutti gli schiavi, che si fossero arrolati alla milizia134. Con questi sforzi a gran fatica raccolse dai sudditi d'un grand'Impero un esercito di trenta o quarantamila uomini, che al tempo di Scipione o di Camillo si sarebbe ad un tratto formata dai cittadini liberi del territorio di Roma135. Le trenta legioni di Stilicone furono rinforzate da un grosso corpo di Barbari ausiliari; i fedeli Alani erano personalmente attaccati al suo servigio; e le truppe degli Unni e de' Goti, che marciavano sotto le bandiere dei nativi lor principi Uldino e Saro, venivano animate dall'interesse e dall'ira ad opporsi all'ambizione di Radagaiso. Il Re dei confederati Germani senza resistenza passò le Alpi, il Po e l'Apennino, lasciando da una parte l'inaccessibil palazzo d'Onorio, sepolto con sicurezza fra' pantani di Ravenna, e dall'altra il campo di Stilicone, che avea stabilito il suo principal quartiere a Ticino o a Pavia; ma che sembra scansasse una decisiva battaglia, finattantochè non avesse adunato le distanti sue forze. Molte città dell'Italia furon saccheggiate o distrutte, e l'assedio di Firenze fatto da Radagaiso136 è uno dei più antichi avvenimenti nell'istoria di quella celebre Repubblica, la fermezza della quale frenò e sospese l'imperito furore de' Barbari. Tremò il Senato ed il Popolo all'avvicinarsi che fecero alla distanza di cento cinquanta miglia da Roma; ed ansiosamente paragonarono essi il pericolo che avevan passato, co' nuovi rischi a' quali trovavansi esposti. Alarico era Cristiano e soldato; condottiere d'un esercito disciplinato; esso intendeva le leggi della guerra, rispettava la santità dei trattati, ed avea conversato famigliarmente coi sudditi dell'Impero nei medesimi campi


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<p>125</p>

Dall'anno 404 in poi le date del Codice Teodosiano divengono permanenti in Costantinopoli ed in Ravenna. Vedi la Cronologia delle Leggi del Gotofredo Tom. I. p. 148.

<p>126</p>

Vedi Deguignes Hist. des Huns Tom. I. p. 179, 189, T. II. p. 295, 334, 338.

<p>127</p>

Procopio (de Bell. Vandal l. I. c. 3. p. 182.) ha fatto menzione d'un'emigrazione dalla palude Meotide al Settentrione della Germania, ch'esso attribuisce alla carestia. Ma i suoi lumi d'istoria antica sono estremamente oscurati dall'ignoranza e dall'errore.

<p>128</p>

Zosimo (l. V. p. 331) usa la generale espressione di nazioni di là dal Danubio e dal Reno. Anche i vari epiteti, che ogni antico scrittore può avere accidentalmente usato, indicano manifestamente la lor situazione, e conseguentemente i loro nomi.

<p>129</p>

Il nome di Radagast era quello d'una Divinità locale degli Obotriti (in Meclemburgo). Un Eroe potrebbe naturalmente aver preso il nome del suo Dio tutelare; ma non è probabile, che i Barbari adorassero un Eroe sfortunato. Vedi Mascou Ist. de' Germani 8. 14.

<p>130</p>

Olimpiodoro appresso Fozio (p. 180) usa il vocabolo greco όπτϊμάτοι, che non dà alcuna idea precisa. Io sospetto, che fossero Principi e nobili coi loro fedeli compagni, cavalieri coi loro scudieri, come si sarebber chiamati alcuni secoli dopo.

<p>131</p>

Tacit. De morib. German. c. 37.

<p>132</p>

… Cujus agendi

Spectator vel causa fui.

Claudian. VI. Cons. Hon 439.

Tale è il modesto linguaggio d'Onorio, trattando della guerra Gotica, ch'egli aveva veduta alquanto più da vicino.

<p>133</p>

Zosimo (l. V. p. 331) trasporta la guerra e la vittoria di Stilicone oltre il Danubio; strano errore, che viene imperfettamente e di mala grazia medicato leggendo Αρνον per l'ϛρον (Tillemont Hist. des Emp. Tom. V. p. 807). Da buoni politici noi dobbiamo far uso di Zosimo senza stimarlo o fidarci di lui.

<p>134</p>

Cod. Theod. lib. VII. Tit. XIII. leg. 16. La data di questa legge 18 Maggio 406 persuade me, come ha persuaso il Gotofredo (Tom. II. p. 387) del vero anno dell'invasione di Radagasio. Il Tillemont, il Pagi, ed il Muratori preferiscono l'anno antecedente, ma essi vengono astretti da certe obbligazioni di civiltà e di rispetto verso S. Paolino di Nola.

<p>135</p>

Poco dopo che Roma fu presa dai Galli, il Senato, in un subitaneo bisogno armò dieci legioni, cioè 3000 cavalli, e 42000 fanti; forza che la città non avrebbe potuto somministrare sotto Augusto; Liv. VII. 25. Questa proposizione può imbarazzare un antiquario, ma vien chiaramente spiegata dal Montesquieu.

<p>136</p>

Machiavello ha dimostrato, almeno come filosofo, che Firenze trasse insensibilmente l'origine dal commercio che si faceva dalla rupe di Fiesole alle rive dell'Arno (Ist. Fior. Tom. I. l. II. p. 37. Londra 1747). I Triumviri mandarono una colonia a Firenze, che al tempo di Tiberio (Tacit. Annal. I. 79) meritò la riputazione ed il nome di città che fiorisce. Vedi Cluver. Ital. antiq. Tom. I p. 507, ec.