Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 13. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 13 - Edward Gibbon


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dell'Ungheria, attribuisce a questo fatto un motivo di superstizione. «Gli Ungaresi, dic'egli, credeano che Costantinopoli sarebbe il termine delle conquiste de' Turchi.» V. Franza (l. III, c. 20) e Spondano.

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La testimonianza unanime di quattro Greci vien confermata da Cantemiro (p. 96), che fonda sugli Annali turchi le sue narrazioni; pur sarei proclive a ridurre la distanza di dieci miglia, e a prolungare l'intervallo d'una notte.

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Franza cita due esempj di navigli trasportati in tal guisa sull'Istmo di Corinto per uno spazio di sei miglia; l'un, favoloso, riguarda le imprese d'Augusto dopo la battaglia di Azio; l'altro, vero, si riferisce a Niceta, Generale greco del decimo secolo. Il ridetto Storico poteva aggiugnere l'audace impresa operata da Annibale per introdurre nel porto di Taranto le sue navi (Polibio, l. VIII, pag. 749, edizione di Gronov.).

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Questa fazione fu probabilmente consigliata ed eseguita da un Greco di Candia, che in una occasione di tal natura prestò servigio simile ai Veneziani (Spond., A. D. 1438, n. 37).

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A questo luogo, intendo favellar soprattutto delle imbarcazioni eseguite dai nostri, nel 1776 e 1777, sui laghi del Canadà, impresa che tanti disagi costò e tornò sì inutile nell'effetto.

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Calcocondila e Duca non vanno d'accordo sul tempo e i particolari della negoziazione, nè questa essendo stata, o gloriosa, o salutare, il fedele Franza risparmia al suo principe fin la taccia d'aver pensato ad arrendersi.

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Queste ali (Calcocondila, l. VIII, p. 208) non sono che una figura orientale; ma nella Tragedia inglese Irene, la passione di Maometto esce dai limiti della ragione e perfino dal senso comune.

Should the fierce North, upon his frozen wings,

Bear him aloft above the wondering clouds,

And seat him in the Pleiads' golden chariot —

Thence should my fury drag him down to tortures.

«Quand'anche l'impetuoso vento del Nort sulle sue ali addiacciate li portasse al di sopra delle nubi stupefatte, e li collocasse nel dorato carro delle Pleiadi, il mio furore li toglierebbe di là per consegnarli a nuovi tormenti».

Indipendentemente dalla stravaganza di questo discorso senza conclusione, noterò, 1 Che l'azione de' venti non opera al di là dell'atmosfera. 2 Che il nome, l'etimologia e la favola delle Pleiadi appartengono unicamente al popolo greco (Scholiast. ad Homer. Σ. 686, Eudacia in Ionia, p. 339; Apollodoro, l. III, c. 10; Heyne, p. 229, not. 682), e non han che fare coll'astronomia degli Orientali (Hyde, Ulugbeg. Tabul. in Syntag. Dissert., t. I, p. 40-42; Goguet, Origine des arts, etc; t. VI, p. 73, 78; Gebelm, Hist. du Calendrier, p. 73) studiata da Maometto. 3 Il carro delle Pleiadi non entrò nè nelle scienze dell'astronomia, nè nella favola: temo che il dottore Iohnson abbia confuso le Pleiadi coll'Orsa Maggiore, ossia col Carro, il Zodiaco con una costellazione del Nort.

Αρκτον θ’ ην και αμαξαν επικλησιν καλεουσι

Chiamò l'orsa anche carro.

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Il Franza prende collera per queste acclamazioni dei Musulmani, non perchè adoperavano il nome di Dio, ma perchè vi frammetteano quello del Profeta. Il pio zelo del Voltaire è eccessivo ed anche ridicolo.

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Sospetto assai che Franza si sia fabbricato a suo modo questo discorso il quale sa di predica e di convento siffattamente da indurre il dubbio se Costantino lo abbia mai pronunziato. Leonardo gli attribuisce un'arringa diversa, in cui si mostra più riguardoso verso gli ausiliari latini.

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Questo contrassegno di umiltà, che la divozione talvolta ha suggerito ai principi giunti all'estremità della vita, è un perfezionamento aggiunto alla dottrina del Vangelo sul perdono delle ingiurie: è cosa più facile il perdonare novecentonovantanove volte, che il chiedere una sola volta perdono ad un inferiore.

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Oltre alle diecimila guardie, ai marinai e ai soldati di mare, il Duca annovera dugencinquantamila Turchi, o a cavallo o fantaccini, che a questo assalto generale parteciparono.

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Il Franza nel censurare severamente la ritirata del Giustiniani, esprime il proprio cordoglio e quello del pubblico. Duca, per motivi che a noi sono ignoti, lo tratta con più riguardi e dolcezza; ma le parole di Leonardo da Chio manifestano un'indegnazione che era tuttavia nel suo primo impeto, gloriae, salutis, suique oblitus. I Genovesi, compatriotti del Giustiniani, sono sempre stati sospetti e spesse volte colpevoli in tutto quanto operarono nelle loro spedizioni dell'Oriente.

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Duca dice che l'Imperatore fu ucciso da due soldati turchi. Se prestiam fede a Calcocondila, egli rimase ferito in una spalla, indi schiacciato sotto la porta della città. Franza, trasportato dalla disperazione, si precipitò in mezzo ai Turchi, nè fu spettatore della morte di Paleologo; al quale possiamo senza taccia di adulazione applicare que' nobili versi di Dryden.

Per la vasta pianura, è vana speme

«Di rinvenirlo; allorchè ai vostri sguardi

«Di cadaveri un monte appaia, a quello

«V'inerpicate; e giunti in su la cima,

«Il troverete; al generoso aspetto

«Come nol ravvisar? Coi lumi al cielo

«Ancor conversi, in su quel letto istesso

«Giace supin che di nemiche salme

«Pria gli compose il formidabil brando.

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Spondano (A. D. 1453, n. 10), che spera l'Imperatore in luogo di salute, vorrebbe potere assolvere questa sua inchiesta dalla colpa di suicidio.

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Leonardo da Chio giustamente osserva, che se i Turchi avessero riconosciuto l'Imperatore, non avrebbero perdonato a sforzi per salvare un prigioniero di tanta importanza che Maometto dovea desiderare d'aver fra le mani.

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V. Cantemiro, p. 96. I vascelli Cristiani che si trovavano alla bocca del porto, aveano sostenuto e tardato l'assalto da quella banda.

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Calcocondila non arrossisce della ridicola supposizione che gli Asiatici saccheggiassero Costantinopoli per vendicare le antiche sciagure di Troia; laonde i gramatici del secolo decimoquinto fanno derivare con compiacenza la grossolana denominazione Turchi dall'altra più classica Teucri.

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Allorchè Ciro sorprese Babilonia, che stava celebrando una festa, la città era sì grande e sì poca la cura degli abitanti nel farne la guardia, che lungo tempo vi volle prima di far giungere ai lontani rioni la notizia della vittoria del Re persiano. V. Erodoto (l. 1, c. 191) e Usher (Annal., p. 78) che cita su di ciò un passo del Profeta Geremia.

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Nelle sue prime parole, che i Turchi prenderebbero Costantinopoli, la predizione era facile a farsi, e ad avverarsi pel tristissimo stato de' Greci; il resto fu ben lungi dal verificarsi: il linguaggio poi ond'è espressa e modificata, è proprio del tempo della presa di Costantinopoli, e della circostanza d'una prossima pubblica sciagura, che mettendo spavento grandissimo negli animi, li dispone a ricevere le predizioni e a divenirne fanatici; quel linguaggio poi rassomiglia molto ad uno stile più antico. Vi sono sempre stati veri e falsi Profeti, e vi furono imperfette, e perfette predizioni; fatta dal buon credente l'eccezione de' Profeti della Sacra nostra Scrittura, la considerazione de' tempi, delle politiche e civili circostanze, del carattere nazionale, del clima, della religione, della specie di letteratura del paese di cui si tratta, somministra fondamenti e mezzi per ben intendere le loro mire e per giudicarle. (Nota di N. N.)

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Questa animata descrizione è tolta da Duca (c. 39), che due anni dopo si trasferì presso il Sultano, come ambasciatore del principe di Lesbo (c. 44). Fino alla conquista di Lesbo, accaduta nel 1463 (Franza, l. III, c. 27), questa isola avrà ringorgato di fuggiaschi bizantini, i quali non avranno fatto altro che raccontare, e forse arricchir di favole la storia della loro sventura.

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V. Franza, l. III, c. 20, 21. Le sue espressioni son chiare: Ameras sua manu jugulavit… volebat enim eo turpiter et nefarie abuti. Me miserum et infelicem! Del rimanente, ei non poteva sapere che per via di vaghe vociferazioni le sanguinolente, o infami scene, che accadeano in fondo al


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