Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10 - Edward Gibbon


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all'andata e al ritorno pel territorio di Medina. Lo stesso Abu-Sophian colla sola scorta di trenta o quaranta guerrieri guidava una caravana di mille cammelli, e fu tanto felice, o ben regolato, il suo viaggio che deluse la vigilanza del Profeta, ma seppe che i santi ladroni stavano in imboscata, spiando il suo ritorno. Spedì un corriere a' suoi fratelli della Mecca, i quali per il timore di perdere merci e munizioni volarono immantinenti a soccorrerlo con tutte le forze della città. La santa masnada dell'appostolo contava trecento tredici Musulmani, fra i quali settantasette fuorusciti, il resto ausiliari; non avea che settanta cammelli, che servivano alternativamente a ciascheduno di loro (i cammelli d'Yatreb erano terribili in guerra); ma tanta era la miseria de' suoi primi discepoli, che due soli erano coloro che potessero comparire a cavallo sul campo di battaglia145. Si trovava egli nella celebre e fertile vallata di Beder146, lungi tre giornate da Medina, quando le sue vedette l'avvisarono, che s'appressava da una parte la caravana, e dall'altra i Koreishiti con cento cavalli ed ottocento cinquanta fanti. Dopo breve deliberazione decise di sagrificare le ricchezze alla gloria ed alla vendetta; fece un piccolo trinceramento per coprire le sue genti e un ruscello d'acqua dolce che bagnava la valle. «O Dio, esclamò egli, mentre i Koreishiti calavano dalle colline, o Dio, chi più t'adorerà su la terra se i miei guerrieri periscono? – Animo, figli miei, stringete le file, scagliate i vostri dardi, e la vittoria è nostra». Dopo queste parole s'assise con Abubeker sopra un trono o cattedra147, ed invocò con gran fervore l'aiuto di Gabriele e di tremila angeli. Tenea fisso l'occhio sul campo di battaglia; già cedeano i suoi soldati, ed erano sul punto di rimanere sconfitti; quando il Profeta si slanciò dal trono, salì a cavallo, e gittò un pugno di sabbia in aria, gridando: «La faccia di coloro sia coperta d'obbrobrio.» I due eserciti, colpiti dal suono della sua voce, credettero vedere la squadra angelica da lui chiamata in soccorso148: tremarono i Koreishiti, e si diedero alla fuga: settanta de' più valorosi furono uccisi, e settanta prigionieri decorarono il primo trionfo dei fedeli. I morti furono spogliati e insultati: due prigionieri giudicati i più rei ebbero la morte, e gli altri pagarono pel riscatto quattromila dramme d'argento, che furono qualche compenso per la fuga della caravana; ma indarno i cammelli d'Abu-Sophian cercarono una nuova strada in mezzo al deserto e lungo l'Eufrate; pervenne ancora la vigilanza di Maometto a coglierli in via, e il bottino dovette essere considerevole, se, come è fama, la quinta parte dell'appostolo fu di ventimila dramme. Abu-Sophian irritato per la perdita pubblica e propria, ragunò un corpo di tremila uomini, fra' quali settecento armati di corazze e dugento cavalieri: tremila cammelli lo seguitarono, ed Henda, sua sposa, con quindici matrone della Mecca, batteva continuamente il tamburino per animare i soldati ed esaltare la grandezza di Hobal, la divinità più popolare della Caaba. Da novecento cinquanta credenti era difeso il vessillo di Maometto; la sproporzione del numero non era più grande di quel che fosse alla giornata di Beder, e tanta era la lor fiducia che la vinse su l'autorità divina, e su le ragioni umane che volle adoperare Maometto per dissuaderli dal combattere. La seconda battaglia si fece sul monte Ohud, lungi sei miglia da Medina al settentrione149: s'avanzarono i Koreishiti in forma di mezza luna, e Caled, il più terribile e il più fortunato de' guerrieri Arabi, conducea l'ala diritta della cavalleria. Maometto da bravo capitano collocò i suoi soldati sul pendìo del colle, e lasciò nel di dietro un distaccamento di cinquanta arcieri. La carica fu sì vigorosa che sbaragliò il centro degli idolatri, ma nell'inseguirli perdettero il vantaggio del terreno; gli arcieri abbandonarono il posto; gli uni e gli altri allettati dall'esca del bottino, disubbidirono al generale, e ruppero l'ordinanze. Allora l'intrepido Caled girando la sua cavalleria a' fianchi, e da tergo de' nemici, gridò ad alta voce che Maometto era stato ucciso. Avea questi di fatto sofferto un colpo di chiaverina nella faccia, e un sasso gli aveva spezzato due denti; ma in mezzo al disordine ed al terrore sgridava gl'infedeli feritori d'un Profeta, e benediva la mano amichevole che ne stagnava il sangue, e lo conduceva in luogo di sicurezza. Settanta martiri perdettero la vita pe' peccati del popolo; caddero orando, dice l'appostolo, e tenendo ciascuno abbracciato il corpo del commilitone morto con lui150: le femmine della Mecca inumanamente mutilarono i cadaveri, e la sposa di Abu-Sophian mangiò un brano delle viscere di Hamza, zio di Maometto. Poterono i Koreishiti godere del trionfo della loro superstizione, e sfogare il furore ond'erano invasi; ma il piccolo esercito di Maometto si riordinò prestamente sul campo di battaglia, senza avere però nè forza, nè coraggio per porre l'assedio a Medina. Nell'anno seguente fu assalito l'appostolo da diecimila nemici, e questa terza spedizione prese il nome ora dalle nazioni che marciavano sotto le bandiere d'Abu-Sophian, ora dalla fossa che fu scavata davanti alla città e al campo, dove, in numero di tremila, i Musulmani si tenevano trincerati. Evitò Maometto prudentemente un'azion generale: Alì si segnalò in un duello: la guerra si prolungò per venti giorni, indi i confederati si ritirarono. Una bufèra accompagnata da pioggia e da grandine rovesciò le lor tende: un avversario insidioso ne fomentava le dissensioni, e i Koreishiti nella diffalta de' loro alleati perdettero ogni speranza di atterrare il trono, o di fermar le conquiste dell'uomo invincibile che aveano proscritto151.

      A. D. 623-627

      Dalla scelta che volea far Maometto della città di Gerusalemme per primo Kebla dell'orazione, si manifesta l'inclinazione inspiratagli da' Giudei; ed era da desiderarsi, pe' temporali loro interessi, che avessero ravvisato nel Profeta arabo la speranza d'Israele, e il Messia ad essi promesso. L'ostinazione dei Giudei convertì in odio implacabile la sua affezione; perseguitò egli quel popolo sciagurato sino all'ultimo istante della sua vita, e pel suo duplice carattere d'appostolo e di conquistatore, avvenne che la sua persecuzione si stese a questo Mondo e nell'altro152. I Kainoka abitavano Medina, protetti dalla città: Maometto colse l'occasione d'un tumulto, nato a caso, per dichiarare che dovevano essi abbracciare la sua religione, o combattere. «Oimè, risposero sbigottiti gli Ebrei, noi non sappiamo trattare l'armi, ma perseveriamo nella credenza e nel culto de' padri nostri; e perchè vuoi tu ridurci alla necessità d'una giusta difesa?» Questa lotta disuguale si terminò in quindici giorni, e solo con estrema ripugnanza s'arrese il Profeta alle istanze de' suoi alleati, e fece grazia della vita a' prigioni, ma ne confiscò le ricchezze. Divennero più formidabili l'armi di questi in pugno a' Musulmani di quel che lo fossero state in lor mano, e settecento infelici esiliati dovettero colle mogli e co' figli mendicare un asilo su le frontiere della Sorìa. I più rei erano i Nadhiriti, per aver tentato d'assassinare il Profeta in una conferenza amichevole. Maometto ne assediò il castello distante da Medina tre miglia; ma quelli si difesero con tanto valore che ottennero una capitolazione decorosa; uscì la guarnigione a tamburo battente, e ricevette tutti gli onori di guerra. Aveano i Giudei suscitata la guerra de' Koreishiti, e vi si erano immischiati: dal punto che le nazioni si scostarono dalla fossa, Maometto, senza mai deporre l'arnese, s'incamminò nel giorno stesso ad estirpare la razza nemica dei figli di Koraidha. Dopo una resistenza di venticinque giorni, si arresero a discrezione. Fondavano qualche speranza nell'intervento de' loro alleati di Medina, ma avrebbero dovuto sapere che il fanatismo estingue l'umanità. Un vecchio venerando, al giudizio del quale si sottoposero volontari, pronunziò contro tutti la sentenza di morte. Settecento Ebrei incatenati furono condotti su la piazza del mercato, furono calati vivi nella fossa preparata pel supplizio e per la sepoltura loro, e il Profeta con occhio imperturbato mirò la strage de' suoi nemici disarmati. Da' Musulmani si ereditarono le pecore e i cammelli degli uccisi; trecento corazze, cinquecento picche, e mille lance furono la parte più utile delle spoglie. Chaibar, città antica e opulenta, lontana sei giornate al nord-est di Medina, era il centro della potenza degli Ebrei in Arabia; il suo territorio fertile, nel cuor del deserto, era sparso di piantagioni e di bestiame, e difeso da otto castella, molte delle quali imprendibili. Avea Maometto dugento cavalieri, e mille e quattrocento fanti; in una serie d'otto assedii laboriosi, che bisognava fare in maniera metodica, queste schiere furono esposte a' rischi, alla fatica e alla fame, e già i Capi più ardimentosi disperavano del buon successo. Rianimò l'appostolo la lor fedeltà e il coraggio citando le glorie d'Alì, ch'egli nomò il Leone di Dio. Forse si può credere per vero che la terribile scimitarra di questo tagliò in due un soldato Ebreo di statura gigantesca; ma sarebbe


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<p>145</p>

Al-Iannabi (apud Gagnier, t. II, p. 9) gli dà settanta od ottanta cavalli; e in due altre occasioni, anteriori alla battaglia d'Ohud, dice (p. 10) che Maometto aveva una milizia di trenta, e a pagina 66, un corpo di cinquecento cavalieri. Abulfeda, che pare più esatto, asserisce (in Vit. Mohammed, part. XXXI, p. 65) che i Musulmani non aveano alla battaglia d'Ohud che due cavalli. Erano numerosi i cammelli nell'Arabia Petrea, ma i cavalli, per quanto pare, non vi erano comuni come nell'Arabia Felice o nell'Arabia Deserta.

<p>146</p>

Beder-Huneena, lungi venti miglia da Medina, quaranta dalla Mecca, giace su la strada maestra della caravana d'Egitto; i pellegrini fanno un'annua festa per la vittoria del Profeta con illuminazioni, razzi ec. (Viaggi di Shaw, p. 477).

<p>147</p>

Il luogo ove si ritirò Maometto durante il combattimento è chiamato dal Gagnier (in Abulfeda, c. 27, p. 58, Vie de Mahomet, t. II, p. 30-33) umbraculum, un palchetto di legno con una porta. Reiske (Annales Moslemici Abulfedae, p. 23) traduce la stessa parola Araba in quelle di Solium, Suggestus editior; differenza che molto importa per l'onore dell'interprete e dell'eroe. Duolmi vedere come il Reiske rimproveri il suo collaboratore. Saepe sic vertit, ut integrae paginae nequeant nisi una litura corrigi: Arabiae non satis callebat et carebat judicio critico (J. – J. Reiske, Prodidagmata ad Hagji Chalifae Tabulae, p. 228, ad calcem Abulfedae Syriae Tabulae, Leipzig, 1766, in 4).

<p>148</p>

Le vaghe espressioni del Corano (c. 3, pag. 124, 125; c. 8, p. 9) permettono a' commentatori di supporre il numero di mille, tremila o novemila angeli: il più piccolo senza altro bastava a trucidare settanta Koreishiti (Maracci, Alcoran, t. II, p. 131). Gli scoliasti però confessano che niun occhio mortale vide questa squadra angelica (Maracci, p. 297). Fanno commenti arguti su quelle parole: «non tu, ma Dio ec.» (c. 8, 16); d'Herbelot, Bibl. orient. p. 600, 601.

<p>149</p>

Geograph. nubiensis, p. 47.

<p>150</p>

Nel terzo capitolo del Corano (p. 50-53, colle note del Sale) arreca il Profeta qualche misera scusa sulla sconfitta di Ohud.

<p>151</p>

V. su i particolari delle tre guerre di Beder, d'Ohud e della fossa, fatte dai Koreishiti contro Maometto, Abulfeda (p. 56-61, 64-69, 73-77), Gagnier (t. II, p. 23-45, 70-96, 120-139), cogli articoli del d'Herbelot, e i compendi d'Elmacin (Hist. Saracen., p. 6,7) e Abulfaragio (Dynast. p. 102).

<p>152</p>

Abulfeda (p. 61, 71, 77, 87, ec.) e Gagnier (t. II, p. 61-65, 107-112, 139-148, 268-294) raccontano le guerre di Maometto contro le tribù Giudaiche di Kainoka, de' Nadhiriti, di Koraidha, e di Chaibar.