Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10 - Edward Gibbon


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tranquilla, fra le salmerie del suo campo, e il numeroso seguito di muli carichi d'oro e d'argento. Al rumor del pericolo, si slanciò precipitosamente il generale fuori di quel luogo di riposo, ma, fermatolo nel fuggire ed afferratolo per un piede, un Arabo gli troncò la testa, e la portò in cima alla sua lancia nel campo di battaglia, ove disseminò la strage e il terrore nelle file più folte dell'esercito persiano. Confessano i Saraceni la perdita di settemila e cinquecento guerrieri; e descrivono con ragione la battaglia di Cadesia come ostinata ed atroce: tali sono le loro frasi229. Nel conflitto fu dagli Arabi portato via lo stendardo della monarchia, fatto del grembiale di cuoio d'un fabbro ferraio che s'era già sollevato al grado di liberatore della Persia; ma da una profusione di gemme era coperta e nascosta quasi del tutto questa insegna d'una eroica povertà230. Dopo questa vittoria la ricca provincia d'Irak, o dell'Assiria, si sottomise al Califfo, e per la fondazione di Bassora231, piazza che domina sempre il commercio e la navigazion de' Persiani, furono prontamente assicurati i conquisti. Lungi ottanta miglia dal golfo, l'Eufrate e il Tigri si congiungono a formare una sola corrente ampia e retta, oggi chiamata giustamente la riviera degli Arabi. Bassora fu piantata su la sponda occidentale, a mezza strada fra la congiunzione e la foce de' due celebri fiumi. Ottocento Musulmani formarono la prima colonia; ma per la felice sua situazione divenne ben presto una florida e popolosa capitale. L'aria, comecchè sia eccessivamente calda, n'è pura e salubre; di palme e di truppe di bestiami sono coperti i prati all'intorno, e una delle valli del circondario è noverata fra i quattro paradisi, o giardini dell'Asia. Sotto i primi Califfi, stendeasi la giurisdizione di questa colonia Araba sino alle province meridionali della Persia; è stata consacrata la città dai sepolcri di parecchi compagni di Maometto, martiri dell'Islamismo; e non cessano i navili europei di frequentare il porto di Bassora, che apre una comoda stazione, e un passaggio al commercio dell'India.

      Non ostante la battaglia perduta a Cadesia, poteva un paese, tagliato da fiumi e da canali, essere uno schermo insuperabile per la cavalleria de' vincitori, e le mura di Ctesifone e di Modano, che avevano ributtato le macchine romane, non potevano essere abbattute da' dardi Musulmani; se non che fu determinata la rovina de' Persi dall'opinione che giunto fosse l'ultimo giorno per la religione e l'impero loro: i posti più forti furono, dalla vigliaccheria o dal tradimento di chi li guardava, abbandonati: e il re, seguitato da una porzione della famiglia e da' suoi tesori, ricoverossi in Holwan, alle falde de' colli della Media. Nel terzo mese dopo la battaglia, Said, luogotenente d'Omar, varcò senza ostacolo il Tigri: la capitale della Persia fu presa d'assalto, nè valse la disordinata resistenza popolare che a crescer l'impeto de' colpi de' Musulmani, che con religioso trasporto esclamavano: «Ecco il palazzo bianco di Cosroe; ecco adempiuta la promessa dell'appostolo di Dio». Improvvisamente la miseria de' masnadieri del deserto cangiossi in una ricchezza, che sorpassava ogni loro speranza, ogni idea. Ciascheduna camera di quel palazzo mostrava un nuovo tesoro, o celato con arte, o esposto alla vista con grande sfarzo: l'oro, l'argento, i mobili, le vestimenta preziose vinsero di gran lunga, a detta d'Abulfeda, tutti i calcoli dell'immaginazione, o la estensione de' numeri; ed un altro storico porta la somma inaudita, e quasi infinita di quelle favolose ricchezze, a tremila migliaia di milioni di pezze d'oro232. Qualche piccolo fatto, ma che alletta la curiosità, dimostra chiaramente il contrapposto della ricchezza coll'ignoranza. Racchiudea la città gran provvigione di canfora233 venuta dalle lontane isole dell'oceano Indiano, la quale doveva essere mescolata alla cera che serve a illuminare i palazzi d'oriente. Non conoscendo nè la proprietà, nè il nome di quella gomma odorosa, i Saraceni la credettero sale, ne misero nel pane, e stupirono a sentirne l'amarezza. Un tappeto di seta, lungo sessanta cubiti e largo altrettanto, ornava un appartamento del palazzo, e rappresentava un paradiso, o giardino, con fiori, frutta, arboscelli ricamati in oro, o raffigurati con pietre preziose, e il tutto circondato da un contorno verde variato da più colori. Il generale Arabo, persuaso con ragione che il Califfo potrebbe mirar con piacere questo bel lavoro della natura e dell'arte, indusse i soldati a rinunciare questa parte di bottino. Il rigido Omar, senza por mente a' pregi dell'arte e della regia magnificenza che sfoggiavano in quella composizione, ne distribuì i frammenti a' suoi fratelli di Medina. Il disegno fu distrutto; ma tanto era il valore della materia, che la sola porzione d'Alì fu venduta ventimila dramme. Fu arrestato un mulo che trasportava la tiara e la corazza, la cintura e i braccialetti di Cosroe, e questo bel trofeo venne offerto al comandante de' fedeli: i più gravi de' suoi compagni non contennero le risa guardando la barba bianca, le braccia pelose e la goffa figura di quel vecchio soldato adorno delle spoglie del gran re234.

      Dopo il saccheggio di Ctesifone, questa città ben presto abbandonata andò a poco a poco in rovina. Non piaceva a' Saraceni nè l'aria, nè la situazione, e ad Omar fu consigliato da un suo generale di portar la sede del governo su la riva occidentale dell'Eufrate. Furono in ogni tempo e facili e pronte la fondazione e la rovina delle città d'Assiria. Manca il paese di legname da costruzione e di pietre: i più solidi edificii235 son di mattoni cotti al sole, e uniti con un cemento di bitume che si trova nel paese. Il nome di Cufa236 non può dare altra idea che d'una abitazione fabbricata di canne e di terra; ma una ricca, numerosa e brava colonia di veterani popolava allora quella nuova capitale, e la facea ragguardevole: i Califfi più saggi, per tema di provocare a sedizione centomila guerrieri, ne tolleravano le licenziose abitudini. «Abitanti di Cufa, diceva Alì nel domandarne il soccorso, vi siete sempre segnalati in valore. Avete vinto il re di Persia, e teneste sperperate le sue forze sino al giorno in cui vi insignoriste del suo retaggio». Le battaglie di Jalula e di Nehavend poser termine a sì gran conquisto. Perduta la prima, Yezdegerd non si credette più sicuro in Holvan; andò a celare la sua vergogna e la disperazione nelle montagne del Farsistan, da cui Ciro era disceso co' suoi prodi campioni, allora suoi eguali. Al coraggio del monarca sopravvisse quello della nazione; in mezzo alle colline meridionali di Ecbatana, ossia Hamadan, cento cinquantamila Persiani tentarono un terzo ed ultimo sforzo per difendere la religione e il paese nativo, e gli Arabi alla battaglia decisiva, accaduta in Nehavend, posero il nome di vittoria delle vittorie. Se è vero che il general Persiano fosse preso in mezzo ad una truppa di muli e di cammelli carichi di mele che lo avea fermato nella sua fuga, questo accidente, per quanto possa comparirci leggiero o singolare, giova ad indicarci quali inciampi237 dovesse soffrire nel suo cammino un esercito d'oriente dal lusso che l'accompagnava.

      A. D. 637-651

      E Greci, e Latini parlarono molto imperfettamente della geografia della Persia; ma pare che le sue città più celebri sieno anteriori all'invasione degli Arabi. La conquista di Hamadan e di Ispahan, di Casvino, di Tauride e di Rei, venne avvicinando a poco a poco questi vincitori alle rive del mar Caspio, e gli oratori della Mecca ebbero campo di celebrare i trionfi e il valor de' fedeli, i quali avean già perduta di vista l'Orsa settentrionale, e trapassato quasi i limiti del Mondo abitato238. Volgendosi di poi alla parte dell'occidente dell'impero Romano, varcarono di nuovo il Tigri sul ponte di Mosul, e in mezzo alle province prigioniere dell'Armenia e della Mesopotamia abbracciarono i loro concittadini dell'esercito di Sorìa, i quali avevan pure ottenuto grandi vittorie. Dal palagio di Modano si incamminarono di bel nuovo verso oriente, e non furono nè meno rapidi, nè meno estesi i loro progressi. Si inoltrarono lungo il Tigri, e il golfo di Persia, e, valicate le gole delle montagne, sboccarono nella vallata di Estachar, ossia Persepoli, e profanarono l'ultimo santuario dell'impero dei Magi. Credè il nipote di Cosroe d'essere sorpreso fra le colonne che crollavano e fra le statue mutilate, miseri emblemi della passata e della presente fortuna persiana239; attraversò fuggendo colla massima celerità il deserto di Kirman; implorò l'aiuto dei bravi Segestani, e andò in traccia d'un oscuro ricovero sulla frontiera dell'impero dei Turchi e di quel dei Cinesi: ma un esercito vittorioso non teme fatica: divisero gli Arabi le forze loro per inseguir da ogni lato il timoroso nemico, e dal Califfo Othmano fu promesso il governo di Korasan al primo generale, che penetrato avrebbe in quella contrada vasta e popolosa, già regno un tempo della Battriana. Fu accettata


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<p>229</p>

Atrox, contumax, plus semel renovatum; son queste le espressioni ben appropriate del traduttore d'Abulfeda (Reiske, p. 69).

<p>230</p>

D'Herbelot, Bibl. orient. p. 297-348.

<p>231</p>

Potrà cogliere il Lettore notizie soddisfacenti intorno a Bassora nella Geogr. di Nubia, p. 121; in d'Herbelot (Bibl. orient. p. 192); in d'Anville (l'Eufrate e il Tigri, p. 130, 133-145); in Raynal (Hist. philosoph. des Deux-Indes, t. II, pag. 92-100); ne' viaggi di Pietro della Valle (t. IV, p. 370-391); in Tavernier (t. I, p. 240-247); in Thevenot (t. II, p. 545-584), in Otter (t. II, p. 45-78); in Niebuhr (t. II; p. 172-199).

<p>232</p>

Mente vix potest numerove comprehendi quanta spolia… nostris casserint (Abulfeda, p. 69). Presumo peraltro che il conto stravagante d'Elmacin sia un errore della traduzione, e non del testo. Ho veduto che i traduttori d'opere antiche, di libri greci, per esempio, sono cattivi computisti.

<p>233</p>

L'albero della canfora cresce nella Cina e nel Giappone, ma si danno parecchi quintali di questa canfora, di qualità inferiore, per una libbra di gomma di Borneo, e di Sumatra, assai più preziosa (Raynal, Hist. philosoph., t. I, pag. 362-365; Dictionnaire d'Hist. naturelle, par Bomare; Millar, Gardener's Dictionary). Forse da Borneo e da Sumatra portarono di poi gli Arabi la loro canfora (Géograph. nubien., p. 34, 35, d'Herbelot, p. 232).

<p>234</p>

V. Gagnier, Vie de Mahomet, t. I, p. 376, 377. Posso bensì credere il fatto ma non la profezia.

<p>235</p>

La torre di Belo a Babilonia, ed il vestibolo di Cosroe a Ctesifone son le rovine più considerevoli della Assiria. Furono visitate da Pietro della Valle, viaggiatore curioso e vanaglorioso. (t. I, p. 713-718; 731-735).

<p>236</p>

Si consulti l'articolo Coufah della Biblioteca di d'Herbelot (p. 277, 278), e il secondo volume dell'istoria d'Ockley, particolarmente le pagine 40 e 153.

<p>237</p>

V. l'articolo Nehavend di d'Herbelot (pag. 667-668), ed i Voyages en Turquie et en Perse, di Otter, tom. I, pag. 191.

<p>238</p>

Con questa ignoranza e questo tuono d'ammirazione descriveva l'oratore Ateniese i conquisti fatti verso il settentrione da Alessandro, il quale per altro non oltrepassò mai le rive del mar Caspio Αλεξανδροσε εξω της αρκτου και της οικουμενης, ολιγου δειν, πασης μεθησηκει Alessandro trapassò l'Orsa, e quasi scorse tutta la Terra (Eschine, contro Tesifonte t. III, pag. 534, ediz. greca degli orat., Reiske). Questa causa memorabile fu perorata in Atene (Olimp. CXII, 3) l'anno 330 avanti G. C., in autunno (Taylor, Prefaz., p. 370, etc.), un anno in circa dopo la battaglia di Arbella. Alessandro allora inseguiva Dario, e marciava verso l'Ircania e la Battriana.

<p>239</p>

Abbiam questo fatto curioso nelle Dinastie di Abulfaragio, p. 116. È inutile provare l'identità di Estachar e di Persepoli (d'Herbelot, p. 327), e lo sarebbe di più copiare i disegni e le descrizioni che ne son date dal Chardin e da Corneille-le-Bruyn.