Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9 - Edward Gibbon


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ed una commissione di diciotto vescovi preparò un nuovo decreto, che i Padri sottoscrissero a lor dispetto. In nome del quarto Concilio generale si annunziò al Mondo cattolico, il Cristo in una persona, ma in due Nature. Si tirò una linea impercettibile fra l'eresia di Apollinare e la dottrina di San Cirillo; e col tagliente d'un rasoio ben affilato, la sottigliezza teologica formò un ponte, che, sospeso sopra un abisso, diveniva l'unica strada al paradiso. Per dieci secoli d'ignoranza e di servitù, ha ricevuto l'Europa le sue opinioni religiose dall'oracolo del Vaticano; e questa dottrina, già coperta della ruggine dell'antichità, è stata senza contrasto ammessa nel Simbolo dei riformatori del sedicesimo secolo, che hanno abiurato la primazia del Pontefice romano. Il Concilio di Calcedonia trionfa sempre nelle chiese protestanti; ma non fermenta più il lievito della controversia; e i Cristiani più religiosi dei nostri giorni non sanno83 quel che si credono intorno al Mistero dell'Incarnazione, e poco si curano di saperlo.

      A. D. 451-482

      Si palesarono in modo ben differente le disposizioni dei Greci e degli Egiziani sotto il regno ortodosso di Leone e di Marciano. Questi devoti Imperatori, colla forza dell'armi e degli editti, sostennero il Simbolo della lor Fede84; e cinquecento Vescovi dichiararono sulla lor coscienza e sull'onor loro, ch'era permesso di difendere anche cogli omicidii i decreti del Concilio calcedonese. Videro i Cattolici con piacere, che lo stesso Concilio era odioso ai Nestoriani, ed ai Monofisiti85; ma i Nestoriani erano meno irritati, o men potenti; e fu lacerato l'Oriente dal pertinace e sanguinario fanatismo dei Monofisiti. Gerusalemme fu assalita da un esercito di Monaci che la posero a sacco; arsero, trucidarono in nome d'una Natura incarnata; fu bagnato di sangue il sepolcro di Gesù Cristo, e pochi ribelli tumultuariamente raccolti, chiusero le porte della città all'esercito imperiale. Dopo la condanna e l'esilio di Dioscoro, dolenti gli Egiziani della perdita del lor Padre spirituale, videro con ribrezzo l'usurpazione del suo successore costituito dai Padri del Concilio di Calcedonia. Costui, di nome Proterio, non potè sostenersi che col soccorso d'una guardia di duemila soldati; fece guerra cinque anni al popolo d'Alessandria; e il primo sentore della morte di Marciano divenne pei fanatici Egiziani il segnale della vendetta. Tre giorni prima della festa di Pasqua, il Patriarca fu assediato nella sua cattedrale, e ucciso nel battistero. Fu dato alle fiamme l'avanzo del suo cadavere e se ne gettarono al vento le ceneri; questo assassinio fu inspirato dall'apparizione d'un preteso Angelo, furberia inventata da un monaco ambizioso, che, sotto il nome di Timoteo, il Gatto86, succedette alla dignità e alle opinioni di Dioscoro. Colle rappresaglie delle due parti s'inciprignirono gli animi in questa crudel superstizione; una disputa metafisica costò la vita a migliaia di uomini87; e i Cristiani d'ogni classe furono privati dei godimenti della vita sociale, e dei doni invisibili del Battesimo, e della santa Comunione. Ci resta di quel tempo una novella stravagante, che contiene forse una pittura allegorica dei fanatici, che si tormentavano e straziavano a vicenda. «Sotto il consolato di Venanzio e di Celere, dice un Vescovo autorevole, gli abitatori d'Alessandria, e di tutto l'Egitto furono presi da una strana e diabolica frenesia; i grandi e i piccioli, gli schiavi e gli uomini liberi, i Monaci ed il Clero, quanti in somma si opponevano al Concilio di Calcedonia perdettero l'uso della parola, e della ragione; abbaiavano come cani, e si laceravano le mani e le braccia coi denti»88.

      A. D. 482

      Trenta anni di disordini originarono alla fine il celebre Henoticon89 dell'Imperatore Zenone, formolario che, sotto il regno di costui e di Anastasio, fu segnato da tutti i Vescovi dell'Oriente, minacciati della degradazione e dell'esilio, se rigettavano o se violavano questa legge fondamentale. Può il Clero sorridere o gemere della presunzione d'un laico che osa determinare Articoli di Fede; ma se il magistrato secolare non isdegna d'abbassarsi a questa cura umiliante per un sovrano, il suo spirito per altro è meno traviato dal pregiudizio, o dalle mire d'interesse; e quell'autorità ch'egli esercitò in ordine a questo, non ha il suo appoggio che nel consenso del popolo. Nella storia ecclesiastica appunto comparisce Zenone meno spregevole, nè so scorgere veleno d'eresia manichea, o eutichiana nelle generose parole d'Anastasio, il quale considerava per cosa indegna d'un Imperatore il perseguitare gli adoratori del Cristo, e i cittadini di Roma. Ottenne l'Ennotico l'approvazione specialmente degli Egiziani; non di meno l'inquieto ed anche pregiudicato sguardo dei nostri teologi ortodossi non vi scorse la più picciola macchia; quivi in una maniera esattissima viene esposta la dottrina cattolica intorno l'Incarnazione, senz'ammettere, o senza rifiutare i termini particolari, o le opinioni delle Sette avversarie. V'è pronunciato un anatema solenne contro Nestorio ed Eutiche, contro tutti gli eretici, che dividono, o confondono il Cristo, o il riducono a un vano fantasma. Senza determinare se la parola Natura debba usarsi in singolare o in plurale, vi è rispettosamente confermato il sistema di S. Cirillo, la dottrina dei Concilii di Nicea, di Costantinopoli e d'Efeso; ma in vece di inginocchiarsi davanti i decreti del quarto Concilio generale, si sfugge la quistione, riprovando tutte le dottrine contrarie, se ve ne ha d'insegnate sia in Calcedonia, sia altrove. Questa frase equivoca poteva con tacito accordo conciliare gli amici e i nemici del Sinodo di Calcedonia. Dai Cristiani i più ragionevoli si approvò questo espediente di tolleranza, ma debole ed incostante ne era l'intelletto, e lo zelo veemente delle Sette diverse in questa sommessione non vide che una servile timidità. Era ben difficile il rimanersi al tutto neutrali in un argomento che riscaldava i pensieri e i discorsi degli uomini: un libro, una predica, un'orazione riaccendevano il fuoco della controversia, e le particolari animosità dei Vescovi rompevano e rannodavano alternativamente i legami della comunione. Mille picciole varietà di vocaboli e d'opinioni empievano lo spazio che divideva Nestorio ed Eutiche: gli Acefali90 d'Egitto, e i Pontefici di Roma forniti d'ugual valore, ma di forza ineguale, stavano alle due estremità della scala teologica. Gli Acefali senza re, e senza vescovi furono separati per più di trecent'anni dai Patriarchi d'Alessandria che aveano aderito alla comunion di Costantinopoli, senza esigere una condanna formale dal Concilio calcedonese. I Papi scomunicarono i Patriarchi di Costantinopoli per aver accettata la comunione Alessandrina, senza approvare formalmente lo stesso Concilio: l'inflessibile loro despotismo, inviluppò in quel contagio spirituale le Chiese greche più ortodosse; negò, o contestò la validità dei lor Sacramenti91; per trentacinque anni fomentò lo scisma dell'Oriente e dell'Occidente sino all'epoca, in cui condannarono questi la memoria di quattro prelati di Bizanzio, che osato aveano di opporsi alla primazia di S. Pietro92. Prima di quel tempo era stata dallo zelo dei Prelati rivali violata la mal ferma tregua di Costantinopoli e dell'Egitto. Macedonie, sospetto già d'una segreta adesione all'eresia di Nestorio, difese nella sua disgrazia, e nell'esilio, il Sinodo di Calcedonia, mentre il successore di S. Cirillo avrebbe desiderato di poterne comperare la condanna al prezzo di duemila libre d'oro.

      A. D. 508-518

      In mezzo all'effervescenza di quel secolo bastava il senso, anzi il suono d'una sillaba a turbar la quiete dell'imperio. S'opposero i Greci, che il Trisagion93 (tre volte santo) santo, santo, santo, il Dio Signor degli eserciti fosse identicamente quell'Inno che da tutta l'eternità ripetono gli Angeli e i Cherubini davanti il trono di Dio, e che in maniera miracolosa fu rivelato alla Chiesa di Costantinopoli verso la metà del quinto secolo. La divozione degli abitanti di Antiochia poco dopo vi aggiunse: «che fu crocifisso per noi»; questo indirizzo al solo Cristo, e alle tre Persone della Trinità può giustificarsi secondo le regole della Teologia, e fu insensibilmente adottato dai Cattolici dell'Oriente e dell'Occidente. Ma era stato immaginato da un Vescovo monofisita94. Questo regalo d'un nemico fu da prima, come orribile e pericolosa bestemmia, ributtato, e poco mancò, che all'Imperatore Anastasio ne costasse la corona e la vita95. Non avea il popolo di Costantinopoli alcuna ragionevole idea di libertà, ma il color d'una livrea nelle corse, e una picciola discordanza per un Mistero nelle scuole parevagli un motivo legittimo di ribellione. Il Trisagion, con l'aggiunta o senza l'aggiunta da noi accennata,


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<p>83</p>

I Cristiani de' nostri giorni prudentemente alieni da controversie, e da turbolenze, credano ciecamente alle parole del Credo, e della buona dottrina teologica, le quali esprimano misterii, ch'essi riveriscono senza correre il pericolo dei ragionamenti. (Nota di N. N.)

<p>84</p>

Vedi nell'Appendice agli Atti di Calcedonia, la conferma di questo Sinodo fatta da Marciano, (Concil. t. IV, pag. 1781, 1783), le sue lettere ai monaci d'Alessandria (p. 1791), a quei del monte Sinai, (p. 1793), a quei di Gerusalemme e di Palestina (pag. 1798), le sue leggi contro gli Eutichiani (p. 1809, 1811, 1831), il carteggio di Leone coi Sinodi provinciali intorno la rivoluzion d'Alessandria. (p. 1835-1930).

<p>85</p>

Fozio (o più veramente Eulogio d'Alessandria) in un bel passo della sua opera confessa, che par ben fondata questa doppia accusa contro Papa Leone e il suo Concilio di Calcedonia (Bibl. cod. CCXXV, p. 768). Facea egli una doppia guerra ai nemici della Chiesa e feriva l'uno o l'altro di costoro cogli strali del suo avversario κατ’αλληλοις βελεσι τους αντιπαλους επετροσκε. Parea che stabilisse contro Nestorio συγχυσις, la confusione delle Nature dei Monofisiti; contro Eutiche confermasse υποσασεων διαφορα, la diversità di sostanze dei Nestoriani. Dice l'apologista, che bisogna interpretare con carità le azioni dei Santi: se si fosse proceduto così riguardo agli eretici le controversie si sarebbero terminate in vani schiamazzi esalati per l'aria.

<p>86</p>

Era soprannominato Αιλουρος, il gatto, in grazia delle sue corse notturne. In mezzo all'oscurità, e mascherato girava attorno alle celle del monastero, e dirigeva ai suoi confratelli addormentati parole ch'erano credute rivelazioni (Theo. Lector. l. I).

<p>87</p>

Φονους τε τολμηναι μυριους, αιματων πληθει μολυνθηναι μη μονον την γην αλλακαι αυτον αερα, essersi sofferte stragi a migliaia, dalla piena di sangue essere stata contaminata, non la sola terra, ma l'aria stessa. Tal'è il linguaggio iperbolico dell'Ennotico.

<p>88</p>

Vedi la Cronica di Vittore Tunninense, nelle Lezioni antiche di Canisio, ristampate da Basnagio (t. 1, p. 326.)

<p>89</p>

L'Ennotico è stato trascritto da Evagrio, (l. III, c. 13) e tradotto da Liberato (Brev. c. 18). Pagi (Critica, t. II, p. 411), ed Assemani (Bibl. orient. t. I, p. 343), non ci vedeano eresia di sorta; ma Petavio (Dogm. Theolog. t. V, l. I, c. 13, p. 40) si è fatta lecita una assai strana asserzione, dicendo, Calcedonensem ascivit. Un suo nemico potrebbe dargli l'accusa di non aver mai letto l'Ennotico.

<p>90</p>

Vedi Renaudot (Hist. Patriarch. Alex. p. 123, 131, 145, 195, 247). Furono riconciliati da Marco I (A. D. 799-819) il quale promosse i Capi ai vescovadi di Atribis e di Talba, forse Tava, (Vedi d'Anville p. 87) e supplì alla mancanza dei Sacramenti che non erano stati conferiti in una Ordinazione episcopale.

<p>91</p>

De his quos baptisavit, quos ordinavit Acacius, maiorum traditione confectam et veram, praecipue religiosae sollicitudini congruam praebemus sine difficultate medicinam. (Gelasio in epist. 1 ad Euphemium. Conc. t. V, p. 286). La proferta d'una medicina prova la malattia, e molti saran periti, prima che arrivasse il medico Romano. Tillemont medesimo (Mém. ecclés. t. XVI, p. 372, 642, etc.) è nauseato dal naturale orgoglio e poco caritatevole dei Papi; presentemente son contenti, egli dice, d'invocar S. Flaviano d'Antiochia e S. Elia di Gerusalemme ec. a cui quando eran viventi ricusavan la comunione. Ma il cardinal Baronio sta saldo e duro come la rupe di S. Pietro.

<p>92</p>

Se ne cancellarono i nomi dal dittico della Chiesa: ex venerabili diptycho, in quo piae memoriae transitum ad coelum habentium episcoporum vocabula continentur. (Concil. t. IV, p. 1846). Questo registro ecclesiastico equivaleva dunque al libro della vita.

<p>93</p>

Petavio (Dogmat. Theolog. t. V, l. V, c. 2, 3, 4, p. 217-225), e Tillemont (Mém. ecclés. t. XIV, p. 713, etc. 799), ci danno la storia e la dottrina del Trisagion; nei dodici secoli che passarono fra Isaia e il giovanetto S. Proculo, che fu rapito in Cielo alla presenza del vescovo e del popolo di Costantinopoli, era stato ben perfezionato questo Inno. Intese il giovanetto queste parole dalla bocca degli angeli. «Santo Dio! Santo forte! Santo immortale!»

<p>94</p>

Pietro Gnafeo, il Gualchieraio, (mestiere ch'egli facea nel suo monastero) patriarca d'Antiochia. La sua noiosa storia si discute lungamente negli annali di Pagi (A. D. 477-490), e in una dissertazione del signor di Valois sulla fine del suo Evagrio.

<p>95</p>

I cenni che si riferiscono alle turbolenze accadute sotto il regno d'Anastasio si trovano sparsi qua e là nelle Croniche di Vittore, di Marcellino e di Teofane. L'ultima non era pubblicata al tempo di Baronio; il Pagi, suo censore, è più copioso e più esatto nelle citazioni.