Due. Eva Forte

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Due - Eva Forte


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frastuono della gente che parla e mangia voracemente. Il pensiero che tra qualche ora tornerò nel mio bar a ricaricarmi con il suo sorriso mi offre una via di uscita e il locale torna ad avere l'aspetto familiare di quando siamo arrivati e il frastuono si trasforma in un normale vociare fatto di risate e chiacchiere tra amici. Lucia sta ancora parlando mentre tira fuori dalla sua borsa gigantesca un tablet per farmi vedere le foto della sua mostra. Questo è uno dei miei sogni nel cassetto, poter esporre in una mia personale le più belle foto scattate in tutti questi anni. Anche se non è in previsione neanche lontanamente ho già cominciato a scegliere un tema e a decidere quali siano le immagini più meritevoli di essere stampate su grandi dimensioni per catturare lo sguardo dei visitatori. Già me li immagino tutti con il naso all'insù immersi nei mie scatti e anche nelle mie stesse emozioni, rapportate però ognuno alla propria vita. Perchè la foto, come la poesia o anche la canzone puoi mettertela addosso come fosse un vestito. Le stesse identiche parole racchiudono dentro tanti significati e ognuno può farle proprie. Allo stesso modo la foto può trasmettere tante sensazioni diverse e quello che è triste per qualcuno può donare forza ed energia all'altro. Ripenso al mare d'inverno così triste e malinconico per chi lo ama pieno di gente e lo apprezza di più sotto il sole cocente, e rigenerante invece d'inverno per chi come me adora i luoghi solitari e che mostrano un aspetto fuori dalle regole convenzionali.

      

      

      La mostra di Lucia era stata organizzata veramente bene e nei minimi dettagli, in un open space con pareti altissime e candidamente bianche. Nessun mobile a spezzare l'andamento delle sue foto tutte esposte alla stessa altezza e della stessa grandezza lungo le tre pareti. Un unico tavolo accoglieva i visitatori con bevande e qualche stuzzichino per rifocillare durante la visita. Le foto erano tutte lavorate in bianco e nero con dei particolari a colori e il filo conduttore era la presenza di corsi d'acqua: angoli di fiumi, fontanelle con dei bambini che bevono, particolari di diverse fontane, un lago all'imbrunire... l'acqua in tutte le sue dimensioni fino a concludersi in una bellissima foto di un lavatoio dove ancora le donne del paese vanno a lavare i panni, mostrando tutto il sapore di qualcosa di antico che si dilunga nel presente.

      

      

      Hanno persino parlato della sua esposizione su uno dei principali quotidiani parigini, riservandole un buon trafiletto che ha portato molti visitatori in più dopo la sua pubblicazione. A quanto pare il nuovo uomo di Lucia, è un pezzo grosso che le ha permesso di emergere nel modo giusto e che si merita. Sono felice per lei, molto... un po' meno per me, che dovrò tornare a rintanarmi nell'invio di email e messaggi a distanza con un'amica che per me è come una vera e propria sorella, quella che non ho mai avuto.

      

      

      Casa sua è poco distante dal ristorante e così, finita la cena, l'accompagno fin sotto al suo vecchio portone. Ora dovrà vendere la casa e così un altro pezzo del mio passato si sta chiudendo per fare spazio alle novità future. Mi fa sempre uno strano effetto sapere che qualcuno cambia casa, così come quando vedo i negozi che chiudono, soprattutto se sono quelli storici della mia infanzia. Cresciuto da sempre nello stesso quartiere ormai conosco tutti, o almeno tutti quelli che ancora non se ne sono andati. Il periodo poco felice un po' per tutti ha portato a scelte radicali sia i commercianti più anziani, ormai stanchi di stare a combattere con tutti i cambiamenti e la crisi lavorativa, sia le famiglie che cercano case più a buon mercato e si allontanano dal centro. Dopo anni passati sempre con le stesse persone intorno, ho vissuto questi cambiamenti come un abbandono. A partire da mia madre che ha deciso di vendere la sua casa in centro per rimanere definitivamente al paese, dove è rinata riprendendo possesso di se stessa e di quello che ha sempre amato fare. Finchè mio padre era vivo, lui lavorava in un ufficio pubblico qui a Roma, scappando dalla città a ogni piccola occasione per il loro amato paesino dove liberarsi di tutta la stanchezza accumulata durante la settimana. Mia madre non ha mai amato molto la vita da città, si sentiva un po' persa anche se suo malgrado si è sempre occupata di tutto da perfetta casalinga di quartiere bene. Una bella signora, sempre ben vestita e con il filo di perle immancabilmente al collo. Le stesse perle che ancora adesso non abbandona, anche se preferisce abiti più comodi senza stare a guardare marca e tessuti pregiati.

      

      

      Sotto al grande portone di legno, saluto la mia cara amica, con la promessa di rivederci prima della sua partenza definitiva. Aspetto che entri e mi incammino verso casa mia, preso da mille pensieri e con il desiderio di mettermi subito a letto, e tanta è la voglia che arrivi la mattina dopo che sposto le lancette della sveglia un'ora prima e fuggo sotto le coperte.

      Al primo suono schizzo in piedi, oggi voglio andare a fare una passeggiata a Villa Borghese prima del solito rituale mattutino al bar, così mi vesto velocemente ed esco scattante dal palazzo alla volta del parco. La Villa di mattina è un incanto: poche persone che la girano, per lo più anziani che vanno per la passeggiata salutare e vista la possibile insonnia approfittano delle prime ore della giornata, quando ancora tutto è chiuso e non c'è molto da fare per la città. Sul telefono trovo un messaggio di Lucia, che mi ringrazia per la cena e mi dice che se il figlio sarà maschio avrà il mio stesso nome. Riesce così a rubarmi il primo sorriso della giornata quando già sono immerso negli alberi e nella loro ombra. A quest'ora si riescono a incrociare anche gli scoiattoli, grandi e paffuti unici padroni della natura che si espande sotto i loro saltelli felpati, quasi noncuranti della tua presenza. Arrivo fino al Pincio ed ecco che li la città si presenta in tutta la sua magnificenza. Monumenti, palazzi, chiese... tutti li a sonnecchiare pacificamente mentre tutti li guardano e che ci sia il sole o la pioggia niente li smuove e niente li cambia. Raccolgo una margherita sopravvissuta al freddo e la porto con me fino al bar. Oggi mi sento diverso e voglio spezzare il rituale dei nostri incontri con un piccolo gesto e così poggio il piccolo fiore sul tavolo dove tra poco lei si dovrà sedere per fare colazione, sperando che nessuno arrivi prima e possa così appropriarsi del gesto rivolto a lei. Velocemente vado al bancone e ordino il mio solito caffè, invertendo l'ordine di arrivo e senza guardare però l'entrata. Dopo qualche minuto la sento arrivare, ormai riconosco la sua voce e mi sento anche che accorgendosi che io già sono li - è la prima volta da quando ci “conosciamo” visto che io arrivo quando già loro sono a colazione avviata - interrompe per qualche istante quello che sta dicendo, per poi riprendere mentre si avvicina al tavolo. Non ho il coraggio di vedere la sua faccia quando troverà il fiore e da un lato non voglio neanche che abbia la certezza che sia stato io a metterlo davanti al suo posto. Così finisco il caffè più velocemente del solito e uscendo le lancio uno sguardo che lei ricambia prontamente, ma questa volta nascondendo dietro il dubbio per quel fiorellino che ora tiene nella mano, quasi aspettasse un mio ulteriore passo che però non faccio. Tutto deve rimanere così e mi allontano il più velocemente possibile.

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      


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