Il Mostro A Tre Braccia E I Satanassi Di Torino. Guido Pagliarino

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Il Mostro A Tre Braccia E I Satanassi Di Torino - Guido Pagliarino


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Questo la suora non lo disse."

      "Lo riferì proprio lei ai suoi colleghi! Il padrone glieli aveva fatti vedere?"

      "…ma commissario!" era esplosa in riso la donna, irrefrenabilmente, coprendosi gli occhi con falso pudore.

      "Dico davvero: ripeto che l'affermano i suoi colleghi."

      S’era rifatta seria: "No, guardi, sono solo dei cretini. Io l'avevo detto come battuta: non mi ha mai mostrato niente: aveva solo da provarci!"

      "Dunque fu una sua invenzione?"

      "S...sì, ma per scherzo."

      "Mi dica: le fece proposte oscene?"

      "No! Gli avrei mollato una di quelle sberle…"

      "Ho capito: allora si trattava solo di contrasti di lavoro, non di altro."

      "Sì, ma ripeto che sono stata ben contenta d'andarmene."

      Qui, mentre Giulia guardava per l'ennesima volta l'uscio, il commissario era venuto alla domanda che considerava davvero importante: "Conosce un uomo sulla cinquantina, calvo, grasso, alto, con una cicatrice sulla fronte, gobbo e aspetto da pugile?"

      "Perché?" s'era allarmata.

      "Perché voglio saperlo e tu mi devi rispondere."

      Al sentirsi dare del tu aveva abbassato gli occhi e: "No che non lo conosco", aveva risposto, "io nessuna persona frequento. La mia famiglia è veneta ed è rimasta al paese."

      Figuriamoci se nessuna persona frequenti! aveva pensato Vittorio; poi, senz'altro, s’era congedato ed era uscito.

      Proprio in quella, era giunto al pianerottolo l’ascensore. Ne aveva visto uscire un anziano distinto che, nel vederlo a sua volta, s’era bloccato, mentre Vittorio prendeva a scendere a piedi: con la coda dell'occhio aveva scorto il vecchio, di certo il cliente che Giulia aspettava, entrare sveltamente nell'alloggio.

      V

      Si trattava adesso di seguire la pista di clienti e fornitori dell'aggredito. I loro soli nominativi non bastavano, era indispensabile conoscere le loro posizioni contabili verso la ditta Benvenuto: punto focale, scoprire se alcuni di essi fossero commercialmente in dissidio con Tarcisio al punto da avere motivi di vendetta.

      Il mattino dopo il commissario m’aveva spedito al magazzino a sequestrare le schede contabili. Non era procedura perfettamente legale, ci sarebbe voluto un mandato del giudice, ma si sperava che i magazzinieri non lo sapessero.

      Mariangela, non appena ero entrato, m’aveva chiesto notizie sulla salute del proprietario. Alfonso le aveva coperto la voce con la sua: "Sì, perché noi qua non sappiamo bene cosa fare: non abbiamo istruzioni e nemmeno la delega in banca. Io ho le chiavi di riserva se no, ieri, nemmeno avremmo potuto chiudere, né riaprire poi."

      Il commissario m'aveva imposto di dire a tutti, senza eccezioni, che la prognosi era riservatissima e, inoltre, che il ferito era in coma e che, anche se non fosse morto, mai avrebbe riacquistato conoscenza: pur se la possibilità era remota, il commissario voleva evitare che il picchiatore cercasse d’uccidere Tarcisio in ospedale per eliminarne la testimonianza. A ogni buon conto, il mio superiore aveva posto una guardia davanti alla camera del poveretto.

      Avevo risposto come m'aveva ordinato.

      Alla notizia Mariangela s’era nascosta il viso tra le mani.

      Avevo detto ad Alfonso: "Per il vostro lavoro, vi consiglio di continuare, per il momento, come avete sempre fatto. Quanto agli incassi, li potete tranquillamente versare, perché in banca li accettano comunque, basta che ci sia uno scarabocchio sulla distinta di versamento4; se fossero prelievi, ovviamente no. Annotatevi bene su di un taccuino tutti i movimenti di denaro, per dare poi rendiconto agli eredi del titolare, se morirà, o all'amministratore che il Tribunale nominerà, se resterà vivo; in questo caso come un vegetale, purtroppo."

      "…e gli stipendi di dopodomani?" aveva quasi sospirato Alfonso.

      "Chiedete al vostro sindacato che vi faccia autorizzare dal giudice a prelevarli."

      Quel pomeriggio Vittorio e io avevamo esaminato le schede. Tutte erano risultate con le partite pareggiate o, per le contrattazioni a termine, con crediti e debiti ancora regolarmente da scadere: meno una. Era relativa a un cliente del settore ingrosso, titolare d'un vicino negozio d'antiquariato, che aveva sulla scheda una lunga lista d'insoluti e, al fondo, due annotazioni, scritte in rosso, una sotto l'altra: La prima: Gli ho minacciato fallimento. 30 aprile 1959. La successiva: 20 maggio 1959. Telefonato al delinquente che o paga entro fine mese, o senz'altro presento istanza fallimentare: lo mando in galera per acquisti fraudolenti!

      Evidentemente, proprio santo Tarcisio non era: un iracondo quanto meno, visto ch'era giunto ad annotare, senza dubbio per sfogo, i suoi propositi sulla scheda.

      "Forse ci siamo!" aveva esclamato il commissario: "Ran, prendiamo la nostra macchina con due uomini e andiamo da 'sto fallendo."

      Era un uomo sulla cinquantina, con moglie coetanea e figlia nubile ventenne, socie nella ditta.

      Erano solo le 6 del pomeriggio, ma avevamo trovato il negozio con le serrande abbassate. Poiché i titolari abitavano al piano superiore, Vittorio e io eravamo saliti lasciando i nostri uomini l'uno presso la macchina e l'altro innanzi al portone. Era stata la figlia, una ragazza insignificante lentigginosa, capelli trasandati rosso carota, ad aprire l'uscio con una brutta smorfia sulla faccia, dopo che ci eravamo qualificati: "Per cos'è?" aveva chiesto non appena aperto.

      "Per il fallimento", aveva tagliato corto Vittorio.

      Padre e madre erano seduti in salotto, l'uno accanto all'altra sopra un bel divano pozzetto Luigi XVI: non per nulla erano antiquari. La maggior parte dell'appartamento era però vuota di mobili e alle pareti restavano solo i segni dei quadri che v'erano stati appesi. Li avevano nascosti altrove? Come la figlia, entrambi i coniugi mostravano un'espressione tristissima. Dovevamo averli interrotti durante una discussione in famiglia sulla loro disperata situazione.

      "Quello là mi disse che avrebbe aspettato il giorno 31", aveva emesso il padre verso di noi: "L'ha presentata prima, l'istanza? M'ha denunciato? Siamo in trattative per vendere anche questi ultimi mobili e dargli un acconto. Purtroppo siamo solo in affitto, se no avrei venduto l'alloggio." L'uomo non corrispondeva alla descrizione dell'aggressore: era basso, magro, aveva folti capelli grigi e baffi bianchi.

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