Spirito, Anima, Persona Dall'Antichità Greca Ed Ebraica Al Mondo Cristiano Contemporaneo. Guido Pagliarino

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Spirito, Anima, Persona Dall'Antichità Greca Ed Ebraica Al Mondo Cristiano Contemporaneo - Guido Pagliarino


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il nome di Socrate, opinioni proprie […]. In ogni caso, […] i Memorabili non possono più passare per documento storico-biografico”; tuttavia, che “la raffigurazione socratica dei Memorabili contenga elementi socratici genuini, è inoppugnabile ed è stato da noi ripetutamente riconosciuto. Ma come isolarli? […] L’adoperabilità storica dei Memorabili non naviga in troppo buone acque […]; anche più grave è che la concezione di Socrate svolta in queste conversazioni non solo non supera per fedeltà storica quella di Platone o magari di Antistene, ma anzi in vari punti importanti dipende da esse e, in quanto può dirsi indipendente, non si fonda affatto su una forte impressione complessiva personale, e quindi anche per valore storico mediato è assai inferiore alla sola rappresentazione platonica, che in ogni caso è espressione d’un’interpretazione dell’azione socratica nata da intimissima famigliarità col maestro […]. Dagli scritti socratici di Senofonte non potremo pertanto trarre molto giovamento”. Andando ad Antistene, si può dire semplicemente che nel suo procedere “Platone scorge addirittura una falsificazione di tutta l’opera di Socrate”, avendo il Cinico presentato la sua scuola, dovuta a lui solo, come “la socratica” per eccellenza, “facendo il tentativo di trasformare la libera comunità socratica nella forma organizzata d’una comunità scolastica, alla testa della quale potesse continuare l’opera di Socrate come suo successore in titolo. Questo […] suscitava ripugnanza”. Insomma, non il vero Socrate era predicato da Antistene.

      Attesta Socrate anche Aristotele, testimonianza che potrebbe supporsi di primo livello dato che lo Stagirita, essendo stato allievo di Platone, aveva certamente conosciuto le attestazioni su Socrate correnti in quella scuola, ed essendo noto che mai ripudiò nei propri scritti la figura socratica dell’Apologia platonica, benché a un certo punto avesse respinto la guida filosofica del proprio maestro. Non pare tuttavia che dell’attestazione aristotelica ci si possa fidare molto, essendo noto ch’essa dipende in notevole parte dalla testimonianza opinabile e da diversi studiosi respinta di Senofonte.

      Scriveva il Maier che per Aristotele “la questione principale era di stabilire qual parte avesse avuto, […] nella teoria delle idee”, Platone; tra le “affermazioni di Aristotele in persona” nell’Etica Nicomachea, “una sola si riferisce con qualche verosimiglianza al Socrate storico: vale a dire la constatazione affatto generica che Socrate tenne tutte le virtù in conto di scienze”; ma “le notizie aristoteliche sulle intuizioni etiche di Socrate non hanno valore di fonte indipendente […] esse sono prese senz’altro dal Protagora platonico. […] Tuttavia si può ben parlare di una concezione aristotelica di Socrate […], secondo questa raffigurazione, Socrate è il fondatore della filosofia concettuale, lo scopritore dell’universale. […] Come mai Aristotele giunse a questa concezione della ‘filosofia socratica’? È evidente ch’essa è un membro della sua confutazione della teoria delle idee; ma donde la prese? […] Ora per Aristotele la questione principale era di stabilire qual parte avesse avuto Socrate nella teoria delle idee. Era dogma accademico che Socrate medesimo avesse aperto la strada percorsa poi dalla speculazione platonica sulle idee […]. D’altra parte dopo la sua rottura con Platone era più che propenso a rendere responsabile esclusivamente quest’ultimo di quanto v’era di falso nella teoria delle idee, e a far risalire a Socrate il nucleo sano, cioè quel ch’egli teneva per tale, della teoria medesima”; e qui il Maier aggiunge in nota: “Molto chiaramente risalta questo motivo” dove “Socrate appare fondatore di quella dottrina dei concetti che ha fornito ad Aristotele il principio per la sua spiegazione della natura”.

      Un Socrate strumentale alla filosofia aristotelica? In particolare utile all’intento d’Aristotele, su cui torneremo, d’abbattere la teoria delle idee? Forse da questo filosofo, o almeno anche da lui, sarebbe derivata l’opinione, ancor oggi corrente, della creazione del concetto di anima da parte del Socrate storico?

      La questione resta aperta, e prendiamo con prudenza anche le asserzioni del Maier, perché egli stesso nei suoi due densi volumi su Socrate mantiene un atteggiamento cauto, e non perché le sue affermazioni son ormai vecchie d’un secolo: su questo tipo d’indagini non c’è necessariamente un progresso della conoscenza col passare del tempo, può esserci chi la vede giusta prima e chi sbagliata dopo indagando sugli stessi testi, a meno, ma è altra cosa, che si trovino nuovi documenti antichi sulla figura storica su cui si sta indagando.

      Ãˆ certo solamente che agli scritti di Platone, siano essi debitori o no del Socrate storico, si deve il complesso sviluppo che ha riversato nel senso comune l’idea di anima spirituale, poi travasata nel Cristianesimo dalla fine del II secolo di vita del medesimo.

      Non pare però affatto certo che il Socrate storico – non del tutto sicuramente storico – dell’Apologia e del Critone credesse nell’Aldilà, anche se ne prospettava l’esistenza come ipotesi; forse egli potrebbe dirsi oggi un agnostico propenso a non credere, per cui i discorsi che si sentono su "Socrate ideatore dell’anima spirituale immortale" potrebbero essere un po’ frettolosi.

      In merito al credo nell’Aldilà di Socrate oppure no, andiamo al capitolo XXXII dell’Apologia platonica dov’egli afferma davanti si suoi giudici: “Vediamo la cosa anche da questo punto, per quale altra ragione io ho così grande speranza che morire sia un bene. Una di queste due cose è il morire: o è come un non esser più nulla, e chi è morto non ha più nessun sentimento di nulla; o è proprio come dicono alcuni - dottrina orfica e pitagorica della trasmigrazione N.d.A.-, una specie di mutamento e di migrazione dell’anima da questo luogo quaggiù a un altro luogo. Ora, se il morire equivale a non aver più sensazione alcuna, ed è come un sonno quando uno dormendo non vede più niente neppure in sogno, ha da essere una guadagno meraviglioso la morte. Perché io penso che se uno, dopo aver come trascelta nella propria memoria tal notte in cui si fosse addormentato così profondamente da non vedere neppur l’ombra di un sogno, e poi, paragonata a questa le altre notti e gli altri giorni di sua vita, dovesse dirci, bene considerando, quanti giorni e quante notti egli abbia vissuto più felicemente e più piacevolmente di quella notte; io penso che colui, fosse pure non dico un privato qualunque ma addirittura il Gran Re, troverebbe assai pochi giorni e facili a noverare codesti giorni e codeste notti in paragone degli altri giorni e delle altre notti. Se dunque tal cosa è la morte, io dico che è un guadagno; anche perché la eternità stessa della notte non apparisce affatto più lunga di un’unica notte. D’altra parte, se la morte è come un mutar sede di qui ad altro luogo, ed è vero quel che raccontano, che in codesto luogo si ritrovano poi tutti i morti, quale bene ci potrà essere, o giudici, maggiore di questo? […]” (Traduzione di Manara Valgimigli, Opere complete Platone, cit., vol 1). Aggiunge che se esiste l’Al di là, egli potrà conversare coi grandi del passato, come Omero ed Esiodo, e con coloro che, come tra poco egli stesso, ingiustamente furono condannati a morte. Insomma, appare di meno, mi sembra, la propensione a credere alla sopravvivenza e di più quella di ritenere la morte un’entrata nel non esistere.

      Diversa era l’impressione che dal testo citato ricavava Bertrand Russell, il quale scriveva nella sua Storia della filosofia occidentale, cit., traduzione di Luca Tavolini: “Nel brano finale, dove considera ciò che accade dopo la morte, è impossibile non sentire che crede fermamente nell’immortalità e che assume in proposito un tono di incertezza” - “Egli non è turbato, come i cristiani, dal timore di un eterno tormento: non dubita un istante che la sua vita nell’altro mondo sarà felice”. Sbaglierò, ma mi pare che l’affermazione d’un Socrate storico fermamente credente nell’immortalità e dell’“assunzione” d’un tono d’incertezza fosse stato inserito dal Russell più che altro per alimentare la campagna ch’egli conduceva contro il Cristianesimo, polemica ben presente in tante sue opere e in particolare nella silloge di saggi pubblicata sotto il titolo “Perché non sono cristiano” (cfr. I super pocket Longanesi & C., traduz. di Tina Buratti Cantarelli, 1972), ma ch’egli


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