Una Nuova Chance . Блейк Пирс

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Una Nuova Chance  - Блейк Пирс


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come paralizzata, come se stesse annegando. Tutto il suo corpo era molle, anche la testa. Il sangue le colava dalla bocca finendo sulla camicia dell’uomo, e fu tutto ciò che vide mentre lui la trascinava per casa.

      Ad un certo punto si accorse che l’aveva portata in un’altra casa, che era in qualche modo collegata a quella dove si era trovata fino a poco prima. La lasciò cadere come un sacco di patate, facendole sbattere la testa sul pavimento di linoleum consunto. Quando infine riuscì ad inspirare, il dolore le fece comparire tanti puntini luminosi davanti agli occhi. Si rigirò sul pavimento, ma quando riuscì a rimettersi in piedi, l’uomo era di nuovo lì.

      Le si stava annebbiando la vista, ma riuscì comunque a vedere che l’uomo aveva aperto una specie di porticina nel muro, nascosta da un falso pannello di legno. Dietro la porta c’era uno spazio buio e polveroso, con uno strato di materiale isolante rigonfio che cadeva a pezzi. Il cuore prese a batterle in petto furiosamente, come a cercare di sfondarle le cassa toracica, quando capì che era lì che l’avrebbe portata.

      “Qui sarai al sicuro” le disse l’uomo, chinandosi e trascinandola nel nascondiglio.

      Si ritrovò al buio, sdraiata sulle rigide assi di legno del pavimento. L’uomo... sapeva il suo nome, ma non riusciva a ricordarlo. Il suo mondo si era ridotto a dolore e sangue, mentre continuava a respirare a fatica.

      Infine riuscì a trarre un respiro profondo, e pensò di usarlo per gridare aiuto. Invece, lasciò che le riempisse i polmoni, portando un po’ di sollievo al suo corpo. In quel breve istante di tregua, udì la porta del nascondiglio chiudersi da qualche parte dietro di sé, poi si ritrovò nella completa oscurità.

      L’ultima cosa che aveva sentito prima che il mondo si tingesse di nero era la risata dell’uomo, appena fuori dalla porta.

      “Non preoccuparti” disse. “Presto sarà tutto finito.”

      CAPITOLO UNO

      La pioggia cadeva incessantemente, abbastanza forte da impedire a Mackenzie White di udire i suoi stessi passi. Bene. Questo significava che anche l’uomo che stava seguendo non li avrebbe sentiti.

      Doveva però procedere comunque con cautela. Non solo pioveva, ma era anche notte fonda. Il sospettato avrebbe potuto facilmente sfruttare l’oscurità a proprio vantaggio, esattamente come lei. E i lampioni dalle luci fioche e tremolanti non le erano certo d’aiuto.

      Con i capelli quasi zuppi e l’impermeabile così bagnato che le stava incollato al corpo, Mackenzie attraversò la strada deserta a passo sostenuto. Più avanti, il suo partner aveva già raggiunto l’obiettivo. Riusciva a vedere la sua sagoma accovacciata sul fianco del vecchio edificio in cemento. Mentre gli si avvicinava, illuminata soltanto dalla luna e da un lampione lontano, rafforzò la presa sulla Glock datale in dotazione dall’Accademia.

      Iniziava a piacerle tenere una pistola in mano. Non era soltanto una questione di sicurezza, era qualcosa di più, una sorta di relazione. Quando teneva in mano una pistola e sapeva che l’avrebbe usata, avvertiva un legame intimo. Non aveva mai sperimentato nulla del genere mentre lavorava in Nebraska come detective sottovalutata; era qualcosa di nuovo che le aveva tirato fuori l’Accademia dell’FBI.

      Raggiunse l’edificio e si appostò sul fianco con il suo partner. Lì, almeno, la pioggia non la raggiungeva.

      Il suo partner si chiamava Harry Dougan. Ventidue anni, muscoloso, arrogante in modo sottile e quasi rispettabile. Fu sollevata di constatare che anche lui pareva un po’ nervoso.

      “Hai avuto una visuale?” gli domandò Mackenzie.

      “No, ma la stanza all’ingresso è libera. Si vede dalla finestra” disse indicando davanti a loro. C’era una sola finestra, irregolare e coi vetri rotti.

      “Quante stanze?” chiese lei.

      “Tre che so per certo.”

      “Vado avanti io” gli disse, facendo in modo che non sembrasse una domanda. Persino lì a Quantico, le donne dovevano imporsi per essere prese sul serio.

      Lui le fece cenno di avanzare. Lei lo sorpassò e si portò davanti all’edificio. Si sporse oltre l’angolo e vide che la via era libera. Quelle strade erano deserte in modo inquietante e tutto pareva morto.

      Fece un rapido cenno a Harry per dirgli di venire avanti e lui non esitò. In mano aveva anche lui una Glock, che durante gli inseguimenti teneva con presa ferma e puntata in basso, proprio come erano stati addestrati a fare. Insieme si mossero verso la porta d’ingresso. Era un casermone abbandonato – forse un vecchio magazzino o un deposito – e la porta non era certo nuova. Inoltre era leggermente aperta, e l’interno dell’edificio si intravedeva dalla fessura.

      Mackenzie guardò Harry e fece il conto alla rovescia con le dita. Tre, due... uno!

      Si appiattì contro il muro di cemento, mentre Harry si abbassava per aprire la porta ed entrare, quindi lo seguì all’interno. Ormai insieme funzionavano come una macchina ben oliata. Una volta dentro l’edificio, però, il buio era quasi totale. Mackenzie afferrò prontamente la torcia che teneva sul fianco. Proprio quando stava per accenderla, si fermò. La luce della torcia avrebbe rivelato la loro posizione, e il sospettato li avrebbe potuti individuare facilmente e scappare... di nuovo.

      Rimise al suo posto la torcia e riprese il comando, portandosi davanti a Harry con la Glock puntata verso la porta davanti a lei sulla destra. Quando i suoi occhi si furono abituati al buio, riuscì a distinguere altri dettagli del luogo. Era per lo più spoglio. Delle scatole di cartone umido erano accatastate contro un muro. Un cavalletto e molti vecchi cavi erano buttati in un angolo della stanza. A parte quello, la stanza era vuota.

      Mackenzie andò verso la porta alla sua destra. In realtà rimaneva soltanto lo stipite, mentre la porta era stata rimossa. Oltre la soglia, tutto era avviluppato dalle ombre. A parte una bottiglia rotta ed escrementi di topo, la stanza era vuota.

      Si fermò e fece per voltarsi, poi si accorse che Harry la seguiva troppo da vicino e per poco non gli pestò i piedi nell’indietreggiare.

      “Scusa” sussurrò lui nel buio. “Credevo che...”

      Fu interrotto dal suono di uno sparo. Subito dopo udì un verso uscire dalla bocca di Harry, che finì a terra.

      Mackenzie si appiattì contro la parete quando udì un altro colpo. Lo sparo colpì il muro dalla parte opposta e lei ne avvertì le vibrazioni con la schiena.

      Sapeva che, se avesse agito in fretta, avrebbe potuto abbattere il criminale subito, piuttosto che dover affrontare una sparatoria da dietro la parete. Guardò Harry e vide che si muoveva ancora ed era più o meno lucido, quindi gli porse la mano e lo tirò oltre la soglia della porta, fuori dalla linea di tiro. Giunse un altro sparo, che le passò sibilando vicino alla spalla.

      Una volta messo Harry al sicuro, non sprecò tempo e decise di agire. Afferrò la torcia, l’accese e la lanciò oltre la porta. Pochi secondi dopo cadde a terra sbatacchiando, il fascio di luce bianca che ballava sul pavimento dall’altra parte del muro.

      Approfittando del rumore della torcia, Mackenzie si spostò dalla soglia. Tenendosi bassa, fece una rapida capriola. Mentre rotolava verso sinistra, vide la sagoma del malvivente alla sua destra, ancora distratto dalla torcia.

      Terminando la capriola, distese la gamba destra con molta forza, colpendo il malvivente dietro la gamba, appena sotto il ginocchio. Lui si piegò leggermente, ma le bastò. Balzò in piedi e gli avvolse un braccio intorno al collo, finendo a terra con lui. Con un ginocchio sul plesso solare e un’abile mossa con il braccio sinistro, Mackenzie bloccò il malvivente, disarmandolo.

      Da un altro punto nel vecchio edificio giunse una forte voce che disse: “Fermi!”

      Una serie di lampade si accesero con un clic, inondando l’edificio di luce.

      Mackenzie si alzò in piedi e guardò il sospettato. Le sorrideva. Era un viso familiare, che aveva visto in parecchie occasioni durante le sue sessioni di addestramento, e che solitamente


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