Prima Che Brami . Блейк Пирс
Читать онлайн книгу.si allargava di circa cinque centimetri in ogni direzione. Sembrava proprio una puntura di ape, e sapeva che doveva fare anche più male.
Erano nella cucina di Mackenzie, che gli stava avvolgendo del ghiaccio in un panno. Glielo passò e lui lo tenne sul petto, comicamente. Era chiaramente in imbarazzo, ma anche colpito che lo avesse invitato da lei per controllare che stesse bene.
“Mi dispiace” gli disse sincera. “Però magari ti posso offrire un caffè, dato che ho vinto.”
“Che sia un caffè dannatamente buono” disse Harry. Allontanò il ghiaccio dal petto e fece una smorfia quando abbassò lo sguardo.
Mentre Mackenzie lo osservava, si rese conto che anche se Harry era stato nel suo appartamento più di una decina di volte e si erano baciati in diverse occasioni, quella era la prima volta che era lì a torso nudo. Ed era anche la prima volta, dopo Zack, che vedeva un uomo seminudo così da vicino. Forse era l’adrenalina scatenata dalla vittoria, oppure per il diploma che la attendeva, ma si sentiva attratta da lui.
Fece un passo verso di lui e gli poggiò una mano sul lato non ferito del petto, sul cuore.
“Ti fa ancora male?” gli chiese, avvicinandosi ancora di più.
“Non in questo momento” disse lui, sorridendo nervoso.
Lentamente spostò la mano sul segno e lo toccò con attenzione. Poi, seguendo soltanto il suo istinto femminile, che aveva ormai soffocato e rimpiazzato con obbligo e noia, si avvicinò e lo baciò. Subito sentì Harry farsi teso. Con la mano gli cinse il fianco, avvicinandolo. Gli baciò la clavicola, poi la spalla, poi il collo. Lui sospirò e la strinse di più.
Come succedeva spesso, si ritrovarono a baciarsi prima ancora di accorgersene. Fino ad allora era successo soltanto altre quattro volte, ma tutte le volte era stata come una forza della natura, qualcosa di non pianificato e senza aspettative.
Dopo meno di dieci secondi, Harry la stava spingendo leggermente contro il bancone della cucina. Lei gli esplorò il petto con le mani, mentre Harry le infilò una mano su per la maglietta. Il cuore le martellava in petto e ogni muscolo del suo corpo le diceva che lo voleva, che era pronta.
Ci erano andati vicini già una volta – anzi, due. In entrambe le occasioni, però, si erano interrotti. In realtà era stata lei a interrompere. La prima volta aveva smesso proprio quando lui aveva iniziato ad armeggiare col bottone dei pantaloni. La seconda volta, lui era quasi ubriaco, e lei fin troppo sobria. Nessuno dei due l’aveva detto apertamente, ma l’esitazione di andare a letto insieme era dovuta al reciproco rispetto che provavano l’uno per l’altra e all’incertezza del futuro. Inoltre, teneva troppo a Harry per usarlo come sfogo sessuale. Si sentiva sempre più attratta da lui, ma il sesso era sempre stata una questione molto privata. Prima di Zack c’erano stati soltanto due ragazzi, e con uno dei due si era trattato più di un’aggressione che di sesso.
Mentre baciava Harry ripensando a tutto questo, si accorse che le sue mani erano scese molto più in basso del petto. Anche lui se ne era accorto, infatti si fece di nuovo teso e inspirò bruscamente.
Mackenzie tirò indietro le mani improvvisamente, interrompendo il bacio. Abbassò lo sguardo sul pavimento, temendo di scorgere la delusione nei suoi occhi.
“Aspetta” gli disse. “Harry... scusa... non posso...”
“Lo so” disse lui, chiaramente frustrato e un po’ giù di morale. “Lo so che...”
Mackenzie fece un profondo respiro poi si allontanò da lui. Si voltò, incapace di sostenere la confusione e il dolore nei suoi occhi. “Non possiamo. Non ci riesco. Scusa.”
“Va tutto bene” disse lui, ancora accaldato. “Domani è un gran giorno ed è già tardi. Adesso me ne vado, prima di avere tempo di rimuginare ancora sul fatto di essere stato colpito da te.”
Lei si voltò e annuì. Non le dispiacevano le frecciatine. Se le meritava.
“Sì, penso che sarebbe meglio” disse.
Harry si rinfilò la maglietta, ancora macchiata di vernice, e lentamente si diresse verso la porta. “Stasera hai fatto un bel lavoro” disse andandosene. “Non c’erano dubbi che la vincitrice saresti stata tu.”
“Grazie” disse Mackenzie senza molto trasporto. “E, Harry... davvero, mi dispiace. Non so cos’è che mi blocca.”
Lui si strinse nelle spalle aprendo la porta. “Non fa niente” disse. “Però... non ce la farò ancora a lungo così.”
“Lo so” disse lei, triste.
“Buonanotte, Mac.”
Chiuse la pota e Mackenzie rimase da sola. Rimase in piedi in cucina, osservando l’orologio. Era l’una e un quarto e non era nemmeno lontanamente stanca. Forse la piccola esercitazione nella Hogan’s Alley aveva immesso troppa adrenalina nelle sue vene.
Tentò ugualmente di mettersi a letto, ma passò tutta la notte a girarsi e rigirarsi tra le lenzuola. In uno stato di semi-coscienza, fece dei sogni che ricordava a malapena, ma la costante in ognuno di essi era il volto sorridente di suo padre, orgoglioso che ce l’avesse fatta fino a lì, che l’indomani si sarebbe diplomata dall’accademia.
Eppure, nonostante quel sorriso, c’era un’altra costante nei sogni, qualcosa a cui si era abituata da tempo, che la perseguitava ogni volta che le luci si spegnevano e sopraggiungeva il sonno: lo sguardo morto nei suoi occhi e tantissimo sangue.
CAPITOLO DUE
Nonostante avesse puntato la sveglia alle otto, Mackenzie fu destata dalla vibrazione del suo cellulare alle 6:45. Si svegliò lamentandosi. Se questo è Harry che si scusa per qualcosa che non ha nemmeno fatto, lo uccido, pensò. Ancora mezza addormentata, afferrò il cellulare e lesse il display con gli occhi annebbiati.
Fu sollevata nel vedere che non si trattava di Harry, bensì di Colby.
Perplessa, rispose. Colby non era tradizionalmente una tipa mattiniera ed era da più di una settimana che non si sentivano. Rompipalle fino al midollo, Colby probabilmente stava dando di matto per il diploma e per l’incertezza del futuro. Colby era l’unica amicizia femminile che Mackenzie aveva lì a Quantico, perciò aveva fatto tutto quello che poteva per accertarsi che l’amicizia reggesse – anche se questo significava rispondere a una telefonata all’alba il giorno del diploma, dopo che Mackenzie era riuscita a farsi soltanto quattro ore e mezza di sonno la notte prima.
“Ehi, Colby” disse. “Che succede?”
“Stavi dormendo?” chiese Colby.
“Già.”
“Oddio, scusa. Credevo che fossi in piedi all’alba stamattina, con tutto quello che sta succedendo.”
“È solo il diploma” disse Mackenzie.
“Ah! Magari fosse solo quello” disse Colby con voce leggermente isterica.
“È tutto a posto?” chiese Mackenzie, mettendosi lentamente a sedere sul letto.
“Lo sarà” disse Colby. “Senti... credi che ci potremmo incontrare allo Starbucks in Fifth Street?”
“Quando?”
“Prima che puoi. Io sto uscendo in questo momento.”
Mackenzie non voleva andarci – in realtà non voleva nemmeno scendere dal letto. Però non aveva mai sentito Colby in quello stato. E in una giornata importante come quella, pensò che avrebbe dovuto sforzarsi per la sua amica.
“Dammi una ventina di minuti” disse Mackenzie.
Con un sospiro, scese dal letto e si preparò facendo solo le cose essenziali. Si lavò i denti, infilò una felpa con cappuccio e pantaloni da tuta, legò i capelli in una coda e uscì di casa.
Mentre percorreva a piedi i sei isolati che la separavano da Fifth Street, iniziò a percepire il peso di quella