Oscurita’ Perversa . Блейк Пирс

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Oscurita’ Perversa  - Блейк Пирс


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soltanto un finto elemento di pericolo. Ma, una volta fatto, era rimasto sorpreso da quanto si fosse sentito profondamente soddisfatto. Si era trattato di un piacere epicureo, particolarmente intenso persino nella sua vita di piaceri.

      Eppure, nei suoi successivi appuntamenti segreti, era stato ancora più attento e prudente. O almeno era stato così fino alla settimana precedente, quando quello stesso gioco era diventato mortale di nuovo con quella escort—come si chiamava?

      Oh, sì, lo ricordò. Nanette.

      Allora, aveva sospettato che Nanette non fosse il suo vero nome. Ora non avrebbe mai saputo quello vero. Nel suo cuore, sapeva che la sua morte non era stata un incidente. Non realmente. Aveva avuto intenzione di ucciderla. E la sua coscienza era immacolata. Era pronto a rifarlo di nuovo.

      La donna che si faceva chiamare Chiffon si stava avvicinando; era ancora a circa mezzo isolato, avvolta in un top giallo e una microgonna, diretta traballando verso la palestra su tacchi terribilmente alti, mentre parlava al cellulare.

      L’uomo voleva davvero sapere se Chiffon era il suo vero nome. Il loro unico precedente incontro professionale si era rivelato un fallimento—per colpa della donna, lui ne era sicuro, non certamente sua. Qualcosa di lei lo aveva deluso.

      Sapeva perfettamente che era più vecchia di quanto dichiarasse. Non era soltanto il suo corpo a suggerirlo, persino le prostitute adolescenti avevano cicatrici dalla nascita. E non si trattava delle rughe che la donna aveva sul volto. Le prostitute invecchiavano più rapidamente di qualsiasi altra donna che lui conoscesse.

      Non poteva giurarlo. Ma c’era tanto di lei che lo rendeva perplesso. La donna mostrava un certo tipo di entusiasmo fintamente tipico di una giovane donna, che non indicava neppure professionalità—nemmeno per una novizia.

      Ridacchiava fin troppo, come una bambina che giocava. Era troppo entusiasta. E - cosa ancora più strana - sospettava che le piacesse davvero il suo lavoro.

      Una puttana a cui piace davvero il sesso, pensò, osservandola avvicinarsi di più. Chi lo avrebbe mai detto?

      Francamente, questo lo innervosiva.

      Ma almeno era certo che lei non fosse una poliziotta sotto copertura. Se ne sarebbe accorto nella frazione di un secondo.

      Quando si avvicinò abbastanza da vederlo, l’uomo suonò il clacson della sua auto. La donna smise di parlare al cellulare per un momento e guardò verso di lui, coprendosi gli occhi dal forte sole mattutino. Quando vide di chi si trattava, gli fece un saluto con la mano e sorrise — un sorriso che sarebbe sembrato, a tutto il mondo, completamente sincero.

      Poi girò intorno alla palestra, dirigendosi sul retro, verso l’entrata di “servizio”. Lui si rese conto che probabilmente aveva un appuntamento con un cliente. Non importava, l’avrebbe “assunta” un’altra volta, quando sarebbe stato dell’umore per uno specifico tipo di piacere. Intanto, c’erano molte altre prostitute nei dintorni.

      Ricordò com’erano andate le cose l’ultima volta. Lei era stata allegra, sorridente e dispiaciuta.

      “Torna pure quando vuoi” gli aveva detto.“Andrà meglio la prossima volta. Andremo d’accordo, e le cose si faranno molto eccitanti.”

      “Oh, Chiffon” lui mormorò ad alta voce. “Non ne hai idea.”

      Capitolo Quattro

      Il rumore degli spari risuonava intorno a Riley. Alla sua sinistra, avvertì il suono gracchiante delle pistole. Alla sua destra, sentì armi più pesanti — colpi provenienti da fucili d’assalto e colpi intermittenti di mitragliatrici.

      Nel bel mezzo della sparatoria, estrasse la sua Glock dalla fondina che indossava sul fianco, si mise prona ed esplose sei colpi, poi altri tre in ginocchio. Ricaricò abilmente e velocemente, si alzò in piedi e sparò altri sei colpi, e infine s’inginocchiò per esplodere altri tre colpi con la mano sinistra.

      Si alzò e infilò la sua arma nella fondina, poi indietreggiò dalla linea di fuoco, levando i paraorecchie e le protezioni per gli occhi. Il bersaglio, a forma di bottiglia, distava quasi ventitré metri. Anche da quella distanza, riusciva a vedere che era andata a segno con discreta precisione. Nelle corsie vicine, i tirocinanti dell’Accademia dell’FBI proseguivano la loro esercitazione, guidati dal loro istruttore.

      Era trascorso del tempo da quando Riley aveva sparato, sebbene fosse sempre armata quando era in servizio. Aveva prenotato quella corsia all’Accademia dell’FBI per fare un po’ di pratica con il tiro al bersaglio, e, come sempre, c’era qualcosa di soddisfacente nel maneggiare una pistola, nella sua forza naturale.

      Sentì una voce dietro di lei.

      “Sei della vecchia scuola, vero?”

      La donna si voltò e vide l’Agente Speciale Bill Jeffreys accanto a lei, sorridente. Riley gli sorrise a sua volta. Sapeva esattamente che cosa intendesse l’uomo con “vecchia scuola”. Alcuni anni prima, l’FBI aveva cambiato le prove previste per l’utilizzo della pistola. Lo sparare da una posizione prona aveva fatto parte del vecchio addestramento, ma non era più richiesto ormai. Adesso veniva messa maggiore enfasi nello sparare ai bersagli da vicino, tra i due e sei metri. Questo addestramento era integrato dall’utilizzo della realtà virtuale, dove gli agenti erano immersi in scenari, che proponevano confronti armati a distanza ravvicinata. Ed anche i tirocinanti attraversarono il noto Hogan’s Alley, una cittadina modello di dieci acri, dove combatterono contro finti terroristi con pistole da paintball.

      “Qualche volta mi piace seguire la vecchia scuola” ammise. “Immagino che un giorno potrà capitare di dover sparare a distanza.”

      Per sua stessa esperienza, Riley sapeva che, nella realtà, lo scontro era quasi sempre ravvicinato, diretto e - spesso - inaspettato. Infatti, lei stessa aveva dovuto affrontare due combattimenti corpo a corpo di recente. Aveva ucciso un criminale con il suo stesso coltello, e un altro con una pietra trovata per caso.

      “Pensi che qualcosa prepari questi ragazzi ad affrontare la realtà?” Bill chiese, annuendo nella direzione dei tirocinanti, che ora avevano terminato e stavano lasciando la postazione di tiro.

      “Non fino in fondo” Riley disse. “Nella Realtà Virtuale, il cervello legge lo scenario come reale, ma non c’è alcun pericolo incombente, niente dolore o rabbia da controllare. Qualcosa al nostro interno è sempre consapevole del fatto che non ci sia una possibilità di venire uccisi.”

      “Giusto” Bill disse. “Dovranno scoprire com’è davvero, proprio come facevamo molti anni fa.”

      Riley lo guardò sottecchi, mentre si allontanavano sempre di più dalla linea di tiro. Come lei, aveva quarant’anni, denunciati dalle ciocche grigie tra i capelli scuri. Si chiese come mai si stesse trovando a paragonarlo mentalmente al suo vicino, più magro e più slanciato.

      Come si chiamava? si chiese. Oh, certo—Blaine.

      Blaine era bello, ma non era certa che fosse all’altezza del collega. Bill era robusto, solido e piuttosto bello.

      “Che cosa ti porta qui?” gli chiese.

      “Ho sentito che saresti venuta” le rispose.

      Riley strizzò gli occhi verso di lui con imbarazzo. Probabilmente, questa non era semplicemente una visita di un amico. Dalla sua espressione, lei comprese che non era pronto a dirle che cosa voleva, almeno non ancora.

      Bill aggiunse: “Se vuoi finire l’addestramento, ti aspetterò.”

      “Lo apprezzerei” Riley replicò.

      Si spostarono verso una sezione separata del poligono di tiro, dove lei non sarebbe stata a rischio di venire colpita da proiettili vaganti, esplosi dai tirocinanti.

      Con Bill che controllava il cronometro, Riley effettuò attraverso tutte le prove del corso di qualificazione della pistola dell’FBI, sparando ad un bersaglio da due metri, poi da quattro, da sei e da tredici. La quinta e ultima prova era quella che trovava più semplice:


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