La Porta Accanto . Блейк Пирс

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La Porta Accanto  - Блейк Пирс


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si ricordò che quel giorno sarebbe dovuta andare a fare la spesa. Di solito questo non l’avrebbe seccata. Ma a volte capitava che avesse la sensazione che stare in mezzo alla gente sarebbe stato un errore… Che le persone fossero lì a guardarla, in attesa che commettesse un errore per poi puntarle il dito contro.

      Inoltre, temeva che allontanarsi da casa avrebbe dato all’autore delle lettere l’occasione di seguirla. Danielle immaginava che uno di quei giorni l’autore avrebbe smesso di scherzare e l’avrebbe semplicemente uccisa.

      Forse quel giorno era proprio oggi.

      Guidò fino al supermercato, perfettamente consapevole che quello era uno di quei giorni… Uno di quei giorni in cui aveva paura di tutto. Uno di quei giorni dove si sarebbe costantemente guardata alle spalle. Guidò in fretta, passando addirittura con il rosso, nell’impazienza di portare a termine quella commissione.

      Fin da quando Danielle aveva iniziato a ricevere quei messaggi inquietanti sotto la porta, stare in posti pubblici le causava ansia. Era fin troppo facile immaginarsi la persona che aveva scritto le lettere che la seguiva. Persino al bar, si chiedeva se l’autore non fosse una delle persone sedute al bancone che lei aveva appena servito. Quando andava a comprare del cibo d’asporto al ristorante cinese, lui la stava forse seguendo, aspettando l’occasione per aggredirla mentre tornava alla macchina?

      Anche dopo essere arrivata sana e salva alla sua destinazione ed essersi precipitata dentro il supermercato praticamente correndo con un carrello delle ruote cigolanti, la preoccupazione era ancora lì. L’autore delle lettere avrebbe potuto essere lì con lei, tra gli scaffali del supermercato, magari osservandola dalla corsia dei cereali per la colazione.

      Quella paura così concreta la perseguitava dal giorno dopo quello che era successo con Martin. Era sopraffatta dalla paranoia, e teneva la testa bassa e incassata nelle spalle. Se qualcuno avesse voluto guardarla in faccia, l’avrebbero dovuto fare di proposito, fermandosi e chinandosi. Si detestava per essere così. Aveva sempre avuto problemi simili, il che era il motivo per cui la maggior parte delle sue relazioni raramente duravano più di un mese. Sapeva, durante la sua permanenza a Pinecrest, di aver sviluppato la reputazione di essere una specie di sgualdrina, ma in realtà non è che le piacesse andare a letto con chiunque. Era solo che, quando si sentiva abbastanza a suo agio con un ragazzo da andarci a letto, subentrava la paranoia e cominciava a pensare male di lui. Allora lo mollava, lasciava passare un po’ di tempo per riprendersi, poi ricominciava.

      Quando era tornata a Pinecrest qualche anno prima, le cose erano migliorate leggermente. Quando aveva lasciato Boston le era sembrato di battere in ritirata… Ma andava bene così. Almeno era tornata in un luogo che le era familiare. La cosa più difficile a cui abituarsi era la mancanza di ragazzi con cui uscire. All’inizio le aveva creato problemi, anche se era riuscita a rovinare ogni singola relazione che avesse iniziato. Ecco perché il litigio con Martin l’aveva turbata così tanto.

      Naturalmente c’erano anche i lati negativi di Pinecrest. Troppe persone si ricordavano di lei e di Chloe. Si ricordavano delle povere, piccole sorelle Fine, che erano finite a vivere con i nonni dopo che la madre era morta e il padre era stato arrestato.

      “Danielle, sei tu?”

      Danielle si voltò verso la voce, sorpresa. Era così persa nei suoi pensieri che aveva smesso di nascondere il viso mentre si alzava in punta di piedi per prendere una scatola di cereali Froot Loops. Adesso stava guardando un volto del passato, una donna che le pareva estremamente familiare, ma che non riusciva a identificare.

      “Non ti ricordi di me?” Domandò la donna, a metà tra il divertito e l’offeso. Doveva avere tra i quarantacinque e i cinquant’anni. Ad ogni modo, Danielle non se la ricordava.

      “Mi sa che non ti ricordi di me” disse la donna. “Credo che avessi solo tredici o quattordici anni l’ultima volta che ti ho vista. Sono Tammy Wyler. Ero un’amica di tua madre.”

      “Ah sì, ma certo” disse Danielle. Non ricordava affatto quella donna, ma il nome le diceva qualcosa. Danielle immaginò che si trattasse di uno degli amici di famiglia che venivano di tanto in tanto a far visita ai suoi nonni negli anni successivi alla morte della madre.

      “Quasi non ti riconoscevo” disse Tammy. “I tuoi capelli sono… Più scuri.”

      “Già” disse Danielle senza entusiasmo. Probabilmente, l’ultima volta che Tammy Wyler l’aveva vista, era appena entrata nella fase di massima ribellione. All’epoca, quando aveva tredici o quattordici anni, si tingeva i capelli di rosa evidenziatore con strisce nere. Adesso invece li portava nero corvino, uno stile ormai superato ma che le si addiceva alla perfezione.

      “Sapevo che eri tornata ad abitare qui, ma… Non lo so. Non ti ho mai cercata dopo che ti sei trasferita. Se non sbaglio, sei stata a Boston per un periodo, giusto?”

      “Esatto.”

      “Ah, ho sentito che anche Chloe è tornata in città. Ha comprato una nuova casa dalle parti di Lavender Hills, vero?”

      “Già, è tornata” disse Danielle, ormai vicina al limite di sopportazione per quanto riguardava i convenevoli e cazzate del genere.

      “Voci di corridoio dicono che abiti a poche case di distanza da una ragazza che veniva alle scuole superiori con voi. Io abito a due strade da lei.”

      Povera Chloe, pensò Danielle.

      “Ah, ti ha detto della festa di quartiere?” Chiese Tammy, apparentemente incapace di tenere la bocca chiusa per più di tre secondi consecutivi.

      “Sì, me l’ha detto” disse Danielle. Sperava che Tammy avrebbe capito dalle sue risposte concise che non era il tipo da starsene lì a chiacchierare tra le corsie del supermercato.

      Ci fu un breve momento di silenzio tra loro, e in quella Tammy parve effettivamente capire l’antifona. Si guardò intorno a disagio e batté in ritirata con tutta la grazia che le riuscì. “Be’, spero che tu riesca a venire. È stato bello incontrarti, Danielle.”

      “Sì, anche per me” disse Danielle.

      Stavolta non si prese il disturbo di camminare a testa china mentre finiva di fare la spesa. Adesso avvertiva più forte che mai il bisogno di uscire da quel negozio e tornarsene al suo appartamento. Non solo per la sua solita paranoia, ma anche a causa di quell’imbarazzante incontro con Tammy Wyler.

      Finì di fare gli acquisti in tutta fretta, quasi scontrandosi con il carrello di un’altra signora nel reparto latticini. Pagò alla cassa automatica (perché sopportare cassiere chiacchierone se poteva evitarlo?) e si affrettò alla macchina. Quando fu fuori nell’aria fresca, si sentì leggermente meglio. Naturalmente, l’autore delle lettere poteva benissimo essere seduto in una delle auto nel parcheggio. Magari l’aveva seguita dentro il supermercato e l’aveva sentita parlare tutta impacciata con Tammy. Caricò le sporte sui sedili posteriori e avviò il motore. Stava per mettere la retromarcia, quando le squillò il telefono. Sul display vide lampeggiare il nome di Martin e rispose senza esitare. Se la stava chiamando per litigare, lei era pronta. Se la chiamava per scusarsi, era pronta anche per quello. A dirla tutta, in quel momento le piaceva l’idea di parlare al telefono con qualcuno che conosceva.

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