Obiettivo Primario. Джек Марс

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Obiettivo Primario - Джек Марс


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      6:15 p.m. Eastern Daylight Time

      Contea di Queen Anne, Maryland—Costa orientale di Chesapeake Bay

      “Sei bellissima,” disse Luke.

      Era appena arrivato. Si era tolto la camicia e la cravatta per mettere jeans e maglietta non appena era entrato dalla porta. Ora aveva una lattina di birra in mano. La birra era ghiacciata e deliziosa.

      Il traffico era stato assurdo. Era un viaggio in auto di novanta minuti attraverso DC, passando per Annapolis, oltre il ponte di Chesapeake Bay, fino alla costa orientale. Ma non aveva alcuna importanza perché finalmente era a casa.

      Lui e Becca vivevano nel cottage della famiglia della donna nella contea di Queen Anne. Il cottage era un edificio antico e rustico, eretto su un piccolo promontorio proprio sopra la baia. Era a due piani, tutto in legno, con scricchiolii e cigolii ovunque si pestasse. C’era un portico schermato che dava sull’acqua, e una porta della cucina che si chiudeva solo con entusiasmo.

      L’arredamento del soggiorno era vecchio di generazioni. I letti erano antichi scheletri di metallo su molle; quello nella camera da letto principale era quasi lungo abbastanza, anche se non del tutto, perché Luke potesse dormirci confortabilmente. L’oggetto più robusto della casa era il caminetto di pietra nel soggiorno. Era quasi come se il magnifico vecchio focolare fosse sempre stato lì, e qualcuno con un senso dell’umorismo gli avesse costruito attorno una baracca di legno.

      A sentire i racconti, la casa era della famiglia da secoli. Alcuni dei primi ricordi di Becca erano ambientati lì.

      Era davvero un posto magnifico. Luke amava abitarci.

      Erano seduti nella veranda sul retro, per godersi il tardo pomeriggio mentre il sole lentamente calava a occidente sopra il vasto specchio d’acqua. Era una giornata ventosa, e là fuori c’erano vele bianche a perdita d’occhio. Luke quasi desiderava che il tempo si fermasse e lui potesse rimanere seduto in quel posto per sempre. L’ambiente era incredibile, e Becca era bellissima. Luke non stava mentendo.

      Era carina come sempre, e quasi altrettanto minuta. Loro figlio era una palla da basket che stava contrabbandando sotto la maglietta. Aveva passato parte del pomeriggio a occuparsi del giardino, ed era leggermente sudata e arrossata. Indossava un largo cappello floscio e stava bevendo un grande bicchiere di acqua ghiacciata.

      Lei sorrise. “Non sei tanto male neanche tu.”

      Rimasero in silenzio a lungo.

      “Come è andata la tua giornata?” gli chiese.

      Luke prese un altro sorso di birra. Credeva che quando si avvicinavano guai, la cosa migliore da fare era affrontarli. Girarci attorno di solito non era il suo stile. E Becca meritava di sapere subito la verità.

      “Beh, è stata diversa. Don sta assumendo gente. E oggi mi ha affidato un progetto.”

      “Bene,” disse Becca. “È una buona notizia, giusto? Qualcosa di cui occuparti? So che sei stato annoiato del lavoro, e frustrato dal viaggio fino all’ufficio.”

      Luke annuì. “Certo, va bene. Potrebbe. È lavoro di polizia, immagino che tu lo descriveresti così. Siamo l’FBI, giusto? È quello che facciamo. Il lato negativo è che, se accetto l’incarico, e in realtà non ho molta scelta dato che è il mio lavoro, dovrò andare fuori città per qualche giorno.”

      Luke si sentiva titubare e tergiversare. Non gli piaceva molto. Andare fuori città? Era uno scherzo? Don non lo stava mandando a Pittsburgh.

      Becca sorseggiò la sua acqua. Lo fissò da sopra il bordo del bicchiere. Aveva uno sguardo diffidente. “Dove devi andare?”

      Ed eccola lì. Tanto valeva ammetterlo.

      “Iraq.”

      Si incurvò in avanti. “Oh, Luke. Andiamo.” Sospirò pesantemente. “Vuole che tu vada in Iraq? Sei appena tornato dall’Afghanistan e ti hanno quasi ucciso. Non capisce che stiamo per avere un bambino? Voglio dire, lo sa, vero?”

      Luke annuì. “Ti ha vista, tesoro. Ricordi? Ti ha portata da me.”

      “Allora come fa a venirgli in mente una cosa del genere? Spero che tu gli abbia detto di no.”

      Luke prese un altro sorso di birra. Ormai era un po’ più calda. Non più deliziosa come un momento prima.

      “Luke? Gli hai detto di no, giusto?”

      “Tesoro, è il mio lavoro. Non ci sono molte occasioni come questa. Don mi ha gettato un’ancora e mi ha salvato. L’esercito avrebbe dichiarato che soffrivo di sindrome da stress post traumatico e mi avrebbe lasciato a piedi. Non è successo solo grazie a Don. Non posso dirgli di no. E per come vanno queste cose, l’incarico è piuttosto facile.”

      “Un incarico piuttosto facile in una zona di guerra,” ripeté Becca. “Qual è il lavoro? Assassinare Osama bin Laden?”

      Luke scosse la testa. “No.”

      “E cosa è, allora?”

      “C’è un appaltatore militare americano che è andato fuori controllo. Sta saccheggiando vecchi rifugi di Saddam Hussein per rubare denaro, opere d’arte, oro, diamanti… Vogliono che io e un partner andiamo là ad arrestarlo. Non è neanche un’operazione militare. È lavoro di polizia.”

      “Chi è il partner?” chiese Becca. Lui vedeva dal suo sguardo che stava pensando a quello che era successo al suo ultimo partner.

      “Ancora non l’ho incontrato.”

      “Perché non mandano semplicemente la polizia militare a farlo?”

      Luke scosse la testa. “Non è una questione che riguardi l’esercito. Come ho detto, è una faccenda di polizia. L’appaltatore tecnicamente è un civile. Vogliono che la differenza sia chiara.”

      Luke pensò a tutti i dettagli di cui non le stava parlando. La natura irrequieta della regione, e i combattimenti feroci che la travagliavano. Le atrocità che Parr aveva commesso. La squadra di agenti tosti e assassini spietati che si era creato attorno. La disperazione che dovevano sentire in quel momento per uscirne vivi, indenni, con tutta la loro refurtiva e senza essere catturati dalla legge. Gli uomini morti, decapitati e bruciati, appesi da un ponte.

      All’improvviso Becca scoppiò a piangere. Luke appoggiò la birra e le si avvicinò. Si inginocchiò di fianco alla sua sedia e la abbracciò.

      “Oh, Dio, Luke. Dimmi che non inizierà tutto di nuovo. Non credo di poterlo sopportare. Nostro figlio sta per nascere.”

      “Lo so,” rispose lui. “Questo lo so. Non sarà come prima. Non è una missione dell’esercito. Starò lontano tre giorni, forse quattro. Arresto questo tizio e lo porto a casa.”

      “E se muori?” domandò la donna.

      “Non morirò. Sarò molto attento. Probabilmente non dovrò nemmeno tirare fuori la pistola.”

      Non riusciva a credere a quello che le stava dicendo.

      Lei stava sussultando per i singhiozzi.

      “Non voglio che tu vada,” disse.

      “Lo so, cara. Lo so. Ma devo. Starò via pochissimo. Ti chiamerò ogni notte. Puoi rimanere dai tuoi e poi sarò subito di ritorno. Sarà come se non me ne fossi mai andato.”

      Becca scosse la testa, le sue lacrime sempre più copiose. “Ti prego,” lo supplicò. “Ti prego, dimmi che andrà tutto bene.”

      Luke la strinse forte, facendo attenzione al bambino che cresceva dentro di lei. “Andrà tutto bene. Tutto bene. So che sarà così.”

      CAPITOLO OTTO

      5 maggio

      3:45 p.m. Eastern Daylight Time

      Base Congiunta Andrews

      Contea


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