Contro Ogni Nemico . Джек Марс

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Contro Ogni Nemico  - Джек Марс


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sull’acqua. Aveva molto a cui pensare, e molto da organizzare. Un’immagine di Gunner gli apparve nella mente.

      Tutto gli occhi erano su di lui. Fece un respiro profondo. Ripeté quello che gli aveva detto Don. Dei terroristi islamici avrebbero rubato delle armi nucleari da una base aerea in Belgio.

      Un uomo alto e massiccio dai capelli biondi alzò una mano. “Agente Stone?”

      “Sì.”

      “Haley Lawrence. Segretario della difesa.”

      Luke lo sapeva. Ma fino a quel momento, se l’era dimenticato.

      “Signor segretario,” disse. “Che cosa posso fare per lei?”

      L’uomo gli rivolse un leggero sorriso, quasi una smorfia. “La prego di condividere con noi come pensa che Don Morris abbia ottenuto le sue informazioni. Si trova in un complesso federale di alta sicurezza, la sicurezza massima che abbiamo al momento, tenuto in isolamento nella sua cella ventitré ore al giorno, e non ha contatto diretto con nessuno eccetto le guardie.”

      Luke sorrise. “Penso che questa sia una domanda a cui dovrebbero rispondere le guardie.”

      Si sparsero per la stanza delle risate soffocate.

      “Conosco Don Morris da molto tempo,” disse Luke. “Probabilmente è una delle persone più ingegnose in vita negli Stati Uniti in questo momento. Non ho dubbi che riceva delle informazioni, persino nella sua ubicazione corrente. Sono informazioni accurate? Non ne ho idea, e nemmeno lui. Non ha modo di confermarle, né di screditarle. Immagino che questo sia lavoro nostro.”

      Rivolse a Kurt uno sguardo di traverso. “Questi sono tutti i dettagli che ho. Qualche idea?”

      Kurt fece un attimo di pausa, poi annuì. “Certo. Sarà un po’ all’impronta, ma per lo più accurato. Ho pensato molto al Belgio negli ultimi anni, per ovvie ragioni.” Si voltò verso un’assistente che si trovava in piedi dietro di lui. “Amy, puoi darci una mappa del Belgio? Inserisci Molenbeek e Kleine Brogel, se non ti spiace.”

      La giovane digitò sul tablet, mentre un altro assistente accendeva il monitor principale dietro a Kurt. Trascorse qualche secondo. Il monitor passò per alcune schermate di caricamento, poi mostrò una schermata blu. Ricominciò un basso mormorio.

      Kurt guardò l’assistente. Lei gli fece un cenno col capo, e poi Kurt guardò la presidente.

      “Susan, pronta?”

      “Pronta quando lo sei tu.”

      Sullo schermo dietro di lui apparve una mappa dell’Europa. Rapidamente zoomò per concentrarsi sull’Europa occidentale, e poi sul Belgio.

      “Okay. Dietro di me vedete una mappa del Belgio. Ci sono due location in quel paese sulle quali voglio richiamare la vostra attenzione. La prima è la capitale, Bruxelles.”

      Dietro di lui, la mappa zoomò di nuovo. Adesso mostrava il fitto reticolo di una città, con un anello di strade che la circondava. La mappa si spostò sull’angolo superiore sinistro, e su molte fotografie di strade di ciottoli, un edificio governativo del diciannovesimo secolo e un imponente ponte ornato su un canale.

      Si voltò verso l’assistente. “Dammi Molenbeek, per piacere.”

      La mappa zoomò di nuovo, e apparvero altre foto delle strade. In una, un gruppo di uomini barbuti marciava con uno striscione bianco, i pugni che battevano su nell’aria. In cima allo striscione si vedevano dei caratteri arabi scritti in nero. Sotto c’era l’evidente traduzione:

      No alla democrazia!

      “Molenbeek è un quartiere di circa novantacinquemila persone. È la sezione più densamente popolata di Bruxelles, e una parte arriva ad avere fino all’ottanta per cento di musulmani, per lo più di discendenza turca e marocchina. È un ricettacolo di estremismo. Le armi usate nell’attentato alla rivista Charlie Hebdo erano prima state depositate a Molenbeek. Gli attentati terroristici del 2015 a Parigi erano stati pianificati lì, e i perpetratori di quei crimini sono tutti uomini cresciuti e vissuti a Molenbeek.”

      Kurt guardò la stanza. “In poche parole, se in Europa si stanno pianificando attentati terroristici, e possiamo presumere tranquillamene che così sia, c’è una buonissima probabilità che i piani si stiano facendo a Molenbeek. Tutto chiaro su questo?”

      Per la stanza passò un mormorio di assenso.

      “Okay, vediamo Kleine Brogel.”

      Sullo schermo la mappa allargò la panoramica, si spostò sulla destra, a poca distanza, poi zoomò di nuovo. Luke riusciva a riconoscere le piste e le costruzioni di un aerodromo rurale non lontano da una cittadina.

      “La base aerea di Kleine Brogel,” disse Kurt. “È un aerodromo militare belga localizzato a circa sessanta miglia a est di Bruxelles. Il villaggio che vedete lì è il comune di Kleine Brogel, da cui il nome della base. La base è la dimora della decima ala tattica belga. Ci fanno volare F-16 Falcon, jet da combattimento supersonici, che, tra le altre cose, possono sganciare bombe nucleari B61.”

      Sullo schermo la mappa scomparve, e si materializzò un’immagine. Era quella di una bomba a forma di missile montata su un carrello provvisto di ruote e parcheggiata al di sotto della fusoliera di un jet da combattimento. La bomba era lunga e liscia, grigia con la punta nera.

      “Qui vedete una B61,” disse Kurt. “Lunga neanche tre metri e mezzo, circa settantasei centimetri di diametro, e con un peso di circa trecentodiciassette chili. È un’arma a rendimento variabile che può mettere fino a trecentoquaranta chilotoni su un obiettivo – approssimativamente venti volte la grandezza dell’esplosione di Hiroshima. Paragonate questo rendimento ai megatoni dei grossi missili balistici, e potete vedere che la B61 è una piccola testata tattica. È progettata per essere trasportata da aeroplani veloci, come l’F-16. Noterete la forma affusolata – fatta così perché possa resistere alle velocità che i suoi veicoli di trasporto possono raggiungere. Queste sono bombe fatte in America, e le condividiamo con il Belgio come parte degli accordi NATO.”

      “Quindi le bombe si trovano lì?” disse Susan.

      Kurt annuì. “Sì. Direi una trentina. Posso recuperarle la cifra esatta, se ne abbiamo bisogno.”

      Passò un altro mormorio tra la folla raccolta.

      Kurt sollevò la mano. “La faccenda migliora. Kleine Brogel in Belgio è una questione politica. Molti belgi odiano il fatto che lì ci siano le bombe, e le vogliono fuori dal paese. Nel 2009 un gruppo di attivisti pacifisti belgi ha deciso di mostrare a tutti quanto siano poco sicure le bombe lì. Hanno violato la sicurezza della base.”

      Sullo schermo riapparve la mappa. Kurt indicò una zona lungo il margine della base. “A sud dell’aerodromo ci sono delle fattorie casearie. Gli attivisti hanno attraversato a piedi la terra della fattoria, poi hanno scavalcato la recinzione. Hanno vagato per la base per almeno quarantacinque minuti prima che qualcuno si accorgesse della loro presenza. Quando alla fine sono stati intercettati – da un aviatore belga con un fucile scarico, tra l’altro – erano appena fuori dal bunker dove erano immagazzinate alcune delle bombe. Avevano già dipinto con gli spray degli slogan sul bunker e affisso alcuni adesivi.”

      Nella stanza esplose di nuovo il chiacchiericcio, più forte e più pronunciato stavolta.

      “Okay, okay. È stata una seria distrazione da parte della sicurezza. Ma prima che ci facciamo prendere, riconosciamo un paio di cose. Per dirne una, i bunker erano ben chiusi – non c’era pericolo che gli attivisti entrassero. In più le bombe sono accatastate in delle camere sotterranee – anche se gli attivisti in qualche modo fossero riusciti a entrare, non sarebbero stati in grado di azionare gli ascensori idraulici per portare le bombe alla superficie. Gli attivisti erano a piedi, quindi anche se fossero riusciti ad azionare gli ascensori, non avrebbero fatto molta strada con un’arma di trecentodiciassette chili.”

      “Quindi, con tutto ciò in mente, qual è la sua stima del livello di rischio?” disse Haley Lawrence.

      Kurt fece una


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