A Ogni Costo . Джек Марс

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A Ogni Costo  - Джек Марс


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si mosse appena. Fece un cenno in direzione dell’edificio.

      “Sono nato per fare queste cose.”

      *

      “Posso aiutarvi, signori?” disse l’uomo mentre entravano.

      Un lampadario scintillante pendeva dal soffitto di fronte alla lobby. A destra, c’erano un sofà e un paio di sedie di marca. C’era un bancone lungo il muro sinistro, con un altro usciere dietro di esso. Aveva un telefono, un computer e un ammasso di schermi. Aveva anche una piccola televisione sintonizzata sui notiziari.

      L’uomo pareva sui quarantacinque anni. Gli occhi erano rossi e venati, non necessariamente iniettati di sangue. I capelli erano tenuti all’indietro dal gel. Sembrava che fosse appena uscito dalla doccia. Luke pensò che lavorasse lì da tanto di quel tempo che avrebbe potuto bere tutta la notte e lavorare dormendo. Probabilmente era in grado di riconoscere ogni singola persona che fosse mai entrata o uscita da questo posto. E sapeva che Ed e Luke qui non c’entravano nulla.

      “Ali Nassar,” disse Luke.

      L’uomo prese il telefono. “Signor Nassar. L’attico. Chi devo annunciare?”

      Senza dire una parola, Ed scivolò oltre il banco e schiacciò la cornetta del telefono, troncando la connessione. Ed era grande e grosso come un leone, ma quando si muoveva era fluido ed elegante come una gazzella.

      “Non devi annunciare nessuno,” disse Luke. Mostrò all’usciere il distintivo. Ed fece lo stesso. “Agenti federali. Dobbiamo fare qualche domanda al signor Nassar.”

      “Temo che al momento non sarà possibile. Il signor Nassar non accetta visitatori prima della 8 del mattino.”

      “Allora perché hai alzato la cornetta?” chiese Newsam.

      Luke guardò Ed. Era una domanda furba. Ed non sembrava il tipo da gruppo di dibattito, ma questa volta forse c’aveva preso.

      “Hai guardato i notiziari?” chiese Luke. “Sono sicuro che hai sentito delle scorie radioattive scomparse. Abbiamo ragioni di credere che il signor Nassar possa saperne qualcosa.”

      L’uomo guardava dritto di fronte a sé. Luke sorrise. Aveva appena avvelenato la fonte di Nassar. L’usciere era il centro della comunicazione. Entro domani, ogni singola persona dell’edificio avrebbe saputo che il governo era venuto a interrogare Nassar sulle sue attività terroristiche.

      “Sono desolato, signore,” cominciò l’uomo.

      “Non devi essere desolato,” disse Luke. “Tutto quello che devi fare è garantirci l’accesso al piano attico. Se non lo fai ti arresterò subito per intralcio alla giustizia, e ti porterò via da qui in manette. Sono sicuro che non vuoi che accada, e io neanche. Quindi dacci la chiave o il codice o quello che è, e poi torna al tuo lavoro. Ah, sappi che se manometti l’ascensore mentre siamo dentro, non solo ti arresterò per intralcio, ma anche per complicità in quattro omicidi e in furto di materiale pericoloso. Il giudice stabilirà una cauzione di dieci milioni di dollari, e tu marcirai a Rikers Island in attesa di processo per i prossimi dodici mesi. Ti suona attraente la prospettiva…” Luke lesse il nome sulla targhetta.

      “John?”

      *

      “Volevi davvero arrestare quell’uomo?” chiese Ed.

      Era un ascensore di vetro che si muoveva attraverso un tubo rotondo, anch’esso di vetro, nell’angolo sudoccidentale dell’edificio. A mano a mano che salivano, il panorama della città toglieva il fiato, fino a frastornare. Presto poterono godere della vista di un’ampia distesa con l’Empire State Building proprio davanti a loro e l’edificio delle Nazioni Unite alla loro sinistra. A distanza, una riga di aeroplani luccicava nel sole del primo mattino mentre si avvicinavano all’aeroporto LaGuardia.

      Luke sorrise. “Arrestarlo per cosa?”

      Ed ridacchiò. L’ascensore continuava a muoversi, sempre più su.

      “Vecchio mio, sono stanco. Stavo andando a letto quando Don mi ha chiamato.”

      “Lo so,” disse Luke. “Anch’io.”

      Ed scosse la testa. “È da un po’ che non faccio tirate così. Non ne sentivo la mancanza.”

      L’ascensore raggiunse l’ultimo piano. Si sentì un suono caldo, e le porte si aprirono.

      Uscirono su un ampio corridoio. Il pavimento era di pietra lucida. Direttamente davanti a loro, a nove metri, c’erano due uomini. Erano grossi tizi in giaccia e cravatta, dalla pelle scura, forse persiani, forse di qualche altra etnia. Stavano bloccando una serie di doppie porte. A Luke la cosa non importava granché.

      “Pare che il nostro usciere l’abbia fatta, quella telefonata.”

      Uno degli uomini nel corridoio agitò la mano. “No! Dovete tornare indietro. Non potete venire qui.”

      “Agenti federali,” disse Luke. Si avvicinarono agli uomini.

      “No! Non avete giurisdizione. Vi vietiamo l’accesso.”

      “Credo che non mi prenderò la briga di mostrargli il distintivo,” disse Luke.

      “Già,” disse Ed. “Non ce n’è ragione.”

      “Al mio via, okay?”

      “Certo.”

      Luke aspettò un attimo.

      “Via.”

      Erano a un metro e mezzo dagli uomini. Luke si avvicinò al suo e sferrò il primo pugno. Era sorpreso di quanto lentamente sembrava muoversi. L’uomo era di dodici centimetri più alto di lui. Aveva l’apertura alare di un grosso uccello. Bloccò il pugno facilmente e afferrò Luke al polso. Era forte. Spinse Luke più vicino.

      Luke alzò un ginocchio verso l’inguine, ma l’uomo lo bloccò con la gamba. Gli mise una grossa mano attorno alla gola. Le dita si serravano come gli artigli di un’aquila, scavando nella carne vulnerabile.

      Con la mano libera, la sinistra, Luke lo colpì agli occhi. Indice e medio, uno per occhio. Non era un colpo diretto, ma funzionò. L’uomo lasciò andare Luke e indietreggiò. Gli occhi gli piangevano. Sbatté le palpebre e scosse la testa. Poi sorrise.

      Ci sarebbe stata una lotta.

      Ecco arrivare Newsam, come un fantasma. Afferrò la testa dell’uomo con entrambe le mani, e la sbatté con forza contro il muro. La violenza fu intensa. Alcune persone sbattono la testa dell’avversario contro il muro. Ed Newsman lo fa come se stesse cercando aprire una breccia nel muro con la testa dell’uomo.

      Bang!

      Il viso dell’uomo trasalì.

      Bang!

      La mascella gli divenne floscia.

      Bang!

      Gli occhi gli girarono all’insù.

      Luke alzò una mano. “Ed! Okay. Credo che basti così. È a posto. Mettilo giù piano. I pavimenti sembrano di marmo.”

      Luke guardò l’altra guardia. Era già stesa sul pavimento, gli occhi chiusi, la bocca aperta, la testa appoggiata al muro. Ed li aveva liquidati entrambi. Luke non aveva fatto nulla.

      Luke prese un paio di fascette di plastica dalla tasca e si accucciò sul suo uomo. Gli legò le caviglie. Strinse forte, come fosse un maiale pregiato. Alla fine qualcuno sarebbe venuto a tagliargliele via. Quando l’avrebbero fatto, il tizio probabilmente non avrebbe avuto sensibilità ai piedi per un’ora.

      Ed faceva lo stesso con il suo uomo.

      “Sei un po’ arrugginito, Luke,” disse.

      “Io? No. Non dovrei neanche fare a pugni. Sono stato assunto per il cervello.” Poteva ancora sentire il punto della gola in cui l’uomo aveva stretto la mano. Avrebbe fatto male, domani.

      Ed scosse la


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