A Ogni Costo . Джек Марс

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A Ogni Costo  - Джек Марс


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importanti, di alto profilo, stiamo comunque parlando di centinaia di luoghi.”

      “Okay, Trudy,” disse Luke. “Ci hai esposto i fatti. Ora, tu che idea ti sei fatta?”

      Trudy scrollò le spalle. “Penso che possiamo dedurre che qui si tratta di un attacco con una bomba sporca, finanziato da un paese straniero o forse da un gruppo terroristico indipendente, come l’ISIS o Al-Qaeda. Potrebbero essere coinvolti anche degli americani o dei canadesi, ma il controllo operativo è da un’altra parte. Di sicuro non si tratta di un gruppo nazionale locale, come gli ambientalisti o i fautori della supremazia bianca.”

      “Perché? Perché non può essere un gruppo interno?” chiese Luke. Sapeva già il perché, ma era importante dirlo esplicitamente, fare un passo alla volta, senza lasciarsi sfuggire nulla.

      “I militanti di sinistra hanno bruciato i concessionari Hummer nel bel mezzo della notte. Praticano il tree spiking per scoraggiare il disboscamento, ma segnano gli alberi trattati perché non si faccia male nessuno. Non hanno storia di attacchi ad aeree popolate o di omicidi, e odiano la radioattività. La destra è più violenta, e Oklahoma City ha dimostrato che sono capaci di attaccare le popolazioni civili così come i simboli del governo. Ma nessuno dei due gruppi probabilmente ha la formazione per fare questo. E c’è un’altra buona ragione per cui probabilmente non si tratta di loro.”

      “Quale?” chiese Luke.

      “L’iridio ha un periodo di dimezzamento breve,” disse Trudy. “Sarà praticamente inutilizzabile tra un paio di giorni. Inoltre, chiunque abbia rubato questi elementi chimici deve agire in fretta prima di essere colpito lui stesso dalla malattia da raggi. Il mese sacro ai musulmani del Ramadan comincia stanotte al tramonto. Quindi credo che qui abbiamo un attentato concepito per coincidere con l’inizio del Ramadan.”

      Luke quasi sospirò di sollievo. Conosceva e lavorava con Trudy da qualche anno. La sua capacità come agente dell’intelligence era sempre stata buona, e la sua abilità di imbastire scenari eccezionale. Aveva ragione molto più spesso di quanto avesse torto.

      Guardò l’orologio. Erano le 3:15. Il tramonto probabilmente sarebbe stato attorno alle otto, stanotte. Fece un rapido calcolo mentale. “Quindi pensi che abbiamo più di sedici ore per beccare queste persone?”

      Sedici ore. Cercare un ago in un pagliaio era una cosa. Ma avere sedici ore per farlo, con la tecnologia più avanzata e le persone migliori, era decisamente un’altra. Era quasi troppo bello per essere vero.

      Trudy scosse la testa. “No. Il problema con il Ramadan è che comincia al tramonto, ma il tramonto di chi? A Teheran stanotte il tramonto sarà alle 20:24, cioè alle 10:54 qui. Ma se prendono in considerazione l’inizio del Ramadan da qualche altra parte del mondo, per esempio in Malesia o in Indonesia? Potremmo dover avere a che fare con qualcosa che al più presto comincerà alle 7:24 del mattino, ipotesi che avrebbe anche senso perché è l’inizio dell’ora più affollata della giornata.”

      Luke grugnì. Fissò lo sguardo fuori dal finestrino verso la grande megalopoli illuminata sotto di lui. Diede un’altra occhiata all’orologio. Le 3:20. Davanti, all’orizzonte, poteva vedere gli alti edifici della Lower Manhattan, e le luci blu gemelle che svettavano alte fino al cielo dove un tempo c’era stato il World Trade Center. Fra tre ore, le metropolitane e le stazioni ferroviarie avrebbero cominciato a riempirsi di pendolari.

      E là fuori, da qualche parte, c’erano persone che pianificavano di uccidere quei pendolari.

      Capitolo 3

      3:35 a.m.

      East Side di Manhattan

      “Sembrano proprio ratti,” disse Ed Newsam.

      L’elicottero planò sull’East River. Sotto di loro c’era l’acqua scura che scorreva veloce, in piccole onde che si gonfiavano e sgonfiavano. Luke riusciva a capire quello che Ed voleva dire. L’acqua era come migliaia di ratti che correvano sotto una nera coperta iridescente.

      Atterrarono piano sull’eliporto della 34ma strada. Luke guardò le luci degli edifici alla sua sinistra, un milione di gioielli scintillanti nella notte. Ora che erano qui, una sensazione di fretta gli montò dentro. Il cuore gli perse un battito. Era rimasto calmo durante il lungo volo, perché che altro poteva fare? Ma l’orologio ticchettava, e dovevano muoversi. Quasi saltò fuori dall’elicottero prima che toccasse terra.

      Atterrò con un sobbalzo e un sussulto, e istantaneamente tutti nella cabina si slacciarono le cinture. Don aprì con uno strattone la porta. “Andiamo,” disse.

      La cancellata che dava sulla strada si trovava a una ventina di metri dall’eliporto. Tre SUV aspettavano appena fuori dalle barriere in cemento. Una squadra dell’SRT di New York corse verso l’elicottero e tirò giù le borse dell’equipaggiamento. Un uomo prese la borsa porta abiti e lo zaino di salvataggio di Luke.

      “Piano con quelle,” disse. “L’ultima volta che sono venuto qui, mi avete perso le borse. Non avrò tempo di fare shopping.”

      Luke e Don si arrampicarono nell’auto di testa, Trudy scivolò dentro con loro. Il SUV era stato adattato per avere un locale passeggeri con sedili che si guardassero. Luke e Don guardavano avanti, mentre Trudy guardava dietro. Il mezzo partì quasi prima che si fossero seduti. In un minuto erano dentro all’angusto canyon della FDR Drive, verso nord. I taxi gialli sfrecciavano tutto intorno a loro, come un nugolo di api.

      Nessuno parlava. Il SUV correva, abbracciando le curve di cemento, attraversando tunnel formati da edifici pericolanti, rimbalzando sulle buche. Luke riusciva a sentire il cuore battergli nel petto. Non era la guida ad accelerargli il polso. Era l’aspettativa.

      “Sarebbe stato carino venire qui per divertirsi un po’,” disse Don. “Alloggiare in un bel hotel, magari vedere uno spettacolo a Broadway.”

      “La prossima volta,” disse Luke.

      Fuori dal finestrino, l’auto aveva già lasciato l’autostrada. Era l’uscita della 96ma. L’autista si fermò appena a un semaforo, poi svoltò a sinistra e proseguì a tutto gas lungo la strada vuota.

      Luke guardò il SUV ruggire nell’ampia strada d’accesso dell’ospedale. Era un momento tranquillo della notte. Accostarono proprio davanti alle luminose luci del pronto soccorso. Un uomo in un completo a tre pezzi era lì in piedi ad aspettarli.

      “Elegante,” disse Luke.

      Don toccò Luke con un grosso dito. “Dimmi un po’, Luke. Abbiamo un trattamento speciale per te stanotte. Quand’è stata l’ultima volta che hai indossato una tuta antiradiazioni hazmat?”

      Capitolo 4

      4:11 a.m.

      Sotto al Center Medical Center, Upper East Side

      “Non troppo stretto,” bofonchiò Luke tenendo in bocca un termometro di plastica.

      Trudy aveva posizionato il sensore di un monitor di pressione portatile sul petto di Luke. Il sensore gli strinse il petto forte e poi ancora più forte, poi lentamente allentò la presa, rantolando nel mentre. Trudy strappò via il velcro sul sensore e quasi con lo stesso gesto gli levò il termometro.

      “Che cosa dice?” chiese.

      Lei guardò i display. “Hai la pressione alta,” disse. “138 su 85. Cuore a riposo 97. Temperatura 38. Non ti mentirò, Luke. Potresti avere dei valori migliori.”

      “Sono stato un po’ stressato ultimamente,” disse Luke.

      Trudy scrollò le spalle. “I valori di Don sono migliori dei tuoi.”

      “Sì, ma prende le statine.”

      Luke e Don sedevano insieme in boxer e t-shirt su una panchina di legno. Erano in un magazzino sotterraneo al di sotto dell’ospedale. Pesanti tende in vinile erano appese tutte intorno a loro, delimitando


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