Quasi perduta. Блейк Пирс

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Quasi perduta - Блейк Пирс


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prendere in mano il cellulare - o forse era un walkie talkie - e comunicare qualcosa in maniera urgente. L’attimo successivo lui stava saltando giù dalla piattaforma e si stava dirigendo in modo rapido e deciso proprio verso di lei.

      Cassie decise di non avere affatto bisogno di una vista aerea di Londra per quel giorno. Non aveva importanza il fatto che avesse già pagato il biglietto. Aveva deciso di andarsene. Sarebbe tornata un’altra volta.

      Si girò per allontanarsi, con l’intenzione di farsi largo a spintoni tra la folla il più velocemente possibile, ma vide, con orrore, che c’erano altri due poliziotti che si stavano avvicinando dalla direzione opposta.

      Anche le ragazzine che erano in coda proprio dietro di lei avevano deciso di andarsene. Si erano già voltate e si stavano facendo strada tra la gente in coda, verso l’uscita. Cassie le seguì, contenta per il fatto che le stessero aprendo la strada, ma fu inondata dal panico, quando notò che i poliziotti la stavano seguendo.

      “Aspetti, signora! Si fermi subito!” le gridò l’uomo alle sue spalle.

      Non aveva intenzione di girarsi. Assolutamente no. Avrebbe gridato, si sarebbe aggrappata alle altre persone in fila, avrebbe implorato e supplicato e avrebbe dichiarato che avevano preso la persona sbagliata, che lei non sapeva niente di Pierre Dubois, il sospetto omicida, e che non aveva mai lavorato per lui. Avrebbe fatto qualunque cosa necessaria per sfuggire alla polizia.

      Ma proprio quando si sentì pronta a combattere, l’uomo le passò accanto, sbattendole contro, e afferrò le due ragazzine che le stavano di fronte.

      Le due iniziarono a urlare e lottare, proprio come aveva pianificato di fare lei. Altri due poliziotti in borghese si avvicinarono, facendosi largo tra i passanti, e afferrarono le braccia delle ragazze, mentre uno dei poliziotti in uniforme apriva i loro zaini.

      Con enorme stupore, Cassie vide il poliziotto estrarre tre cellulari e due portafogli dallo zaino rosa fosforescente della ragazza più alta.

      “Borseggiatori. Controllate le vostre borse, signore e signori. Vi preghiamo di comunicarci se vi manca qualcosa”, disse il poliziotto.

      Cassie si afferrò la giacca, tirando un sospiro di sollievo quando sentì che il telefono era perfettamente al sicuro nella tasca interna. Poi rivolse lo sguardo verso la propria borsa, ed ebbe un colpo al cuore quando si accorse che la cerniera era aperta.

      “Non ho più il portafogli”, disse. “Qualcuno me l’ha rubato”.

      Facendo fatica a respirare per via dell’ansia, seguì la polizia fuori dalla fila e dietro l’angolo, verso il piccolo ufficio della sicurezza. Le due borseggiatrici erano già là ad aspettare, entrambe in lacrime, mentre la polizia svuotava i loro zaini.

      “Il suo portafogli è uno tra questi, signora?” chiese il poliziotto in borghese, indicando i telefoni e i portafogli sparsi sul bancone.

      “No, nessuno di loro”.

      Cassie sarebbe potuta scoppiare in lacrime. Osservò mentre uno dei poliziotti apriva lo zaino, sperando di vedere il suo portafogli di pelle rovinato cadere, ma la borsa era vuota.

      L’ufficiale scosse la testa, seccato.

      “Se li passano lungo la fila, per farli scomparire molto rapidamente. Lei si trovava proprio di fronte alle ladruncole, quindi il suo portafogli è stato probabilmente uno dei primi che hanno rubato”.

      Cassie si voltò e fissò le due ladre, con la speranza che tutto quello che provava e pensava di quelle due ragazze fosse ben visibile sul suo volto. Se non vi fosse stato un ufficiale lì con loro, le avrebbe insultate, chiedendo loro che diritto pensassero di avere di rovinarle la vita. Non stavano morendo di fame; aveva visto benissimo le loro scarpe nuove e le giacche firmate. Probabilmente lo facevano solo per provare un brivido, o per comprare alcool o droghe.

      “Mi dispiace, signora”, continuò il poliziotto. “Se non le spiace attendere qualche minuto, avremmo bisogno che rilasciasse una deposizione”.

      Una deposizione. Cassie sapeva che sarebbe stato un problema.

      Non voleva essere al centro dell’attenzione della polizia in alcun modo. Non voleva dar loro il suo indirizzo, o dire chi fosse, o che i suoi dati fossero messi per iscritto su alcun documento ufficiale del Regno Unito.

      “Vado solo a dire a mia sorella che sono qui”, mentì all’ufficiale.

      “Nessun problema”.

      L’uomo si girò, parlando al walkie-talkie, e Cassie uscì velocemente dall’ufficio.

      Il suo portafogli ormai era perduto. Non l’avrebbe mai riavuto indietro, anche se avesse compilato un centinaio di dichiarazioni. Quindi optò per la cosa migliore che potesse fare, e cioè allontanarsi dalla London Eye, per non tornarci mai più.

      Quella gita si era rivelata un totale disastro. Cassie aveva prelevato un’ingente quantità di denaro proprio quella mattina, e per via del furto aveva anche perso le sue carte di credito. Non sarebbe neanche potuta andare a ritirare soldi direttamente in banca, perché non aveva con sé alcun documento. Il suo passaporto era in albergo e non aveva il tempo di andare a prenderlo, perché si era accordata per vedersi con la sua amica Jess per pranzo, non molto distante dalla London Eye.

      Mezz’ora dopo, ancora scossa per via del furto, sconvolta per l’enorme quantità di denaro che le era stata rubata, e decisamente infastidita dalla città di Londra, Cassie entrò nel pub dove aveva appuntamento con l’amica. Era giunta prima dell’ora di punta per il pranzo, e chiese alla cameriera di riservarle un tavolo mentre lei andava al bagno.

      Mentre si fissava nello specchio, si lisciò i capelli ramati e provò a sorridere allegramente. L’espressione che vide non le parve familiare. Cassie era certa di aver perso peso dall’ultima volta che lei e Jess si erano viste, e, con fare critico, ritenne di sembrare troppo pallida e troppo stressata. E ciò non era solo dovuto al trauma che aveva affrontato quella mattina stessa.

      Non appena uscì dal bagno, vide Jess entrare nel pub.

      Jess indossava la stessa giacca che portava la prima volta che si erano incontrate, più di un mese prima, quando stavano partendo per iniziare il loro impiego come ragazze alla pari in Francia. Il solo fatto di vederla le riportò alla mente molti ricordi. Cassie si ricordò di come si fosse sentita quando si stava imbarcando. Spaventata, insicura, e con dei seri dubbi riguardo alla famiglia a cui era stata assegnata. Timori che in seguito si erano dimostrati essere del tutto fondati.

      Jess invece era stata assunta da un’amorevole famiglia molto amichevole, e a Cassie sembrò molto felice.

      “Che piacere rivederti”, disse Jess, abbracciandola con forza. “È bellissimo”.

      “Stupendo. Ma sto passando una crisi temporanea”, confessò Cassie.

      Spiegò di come fosse stata derubata poco prima.

      “No! Ma è terribile! Che sfortuna che abbiano recuperato altri portafogli ma non il tuo”.

      “Potresti prestarmi dei soldi per il pranzo e per il biglietto del pullman per tornare all’albergo? Non posso neanche prelevare direttamente in banca senza il passaporto. Ti faccio subito un bonifico appena riesco a collegarmi ad internet”.

      “Certamente. E non è un prestito, ma un regalo. La famiglia per cui lavoro è venuta a Londra per un matrimonio, e oggi si trovano tutti a Winchester con la madre della sposa; perciò mi hanno riempito di soldi perché mi godessi Londra. Dopo pranzo voglio andare da Harrods”.

      Jess gettò indietro i suoi capelli biondi, ridendo mentre divideva i soldi con Cassie.

      “Ehi, ti va di farci un selfie?” suggerì, ma Cassie rifiutò.

      “Non ho messo neanche un po’ di trucco”, spiegò. Jess rise e mise via il telefono.

      Ovviamente, non era l’assenza di trucco il problema; Cassie stava semplicemente cercando di mantenere un basso profilo. La prima cosa che aveva fatto appena arrivata a Londra era stata quella di cambiare tutte le impostazioni


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