Delitti Esoterici. Stefano Vignaroli

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Delitti Esoterici - Stefano Vignaroli


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di equinozio di primavera, giorno di plenilunio, si sarebbe verificata un'eclissi totale della luna. Ma Giulio impose il suo volere.

      «Non voglio assistere a una barbara strage. Ho mandato una levatrice da Artemisia, conosce i sistemi per procurarle un parto anticipato. Il neonato sarà affidato a una nutrice. Solo Artemisia, che è la più potente delle streghe, sarà bruciata. Le altre, legate ai loro pali, assisteranno alla sua esecuzione, poi saranno marcate in modo tale che chiunque le incontri le riconosca come streghe e le eviti. Ognuna di loro ha già uno strano tatuaggio sulla gamba destra, nella parte interna del polpaccio. Vi sono raffigurati tre tomi, che rappresentano i libri che hanno consultato e che hanno studiato per diventare adepte della loro setta. Faremo completare il tatuaggio con delle fiamme che avvolgono i libri e lo stesso tatuaggio sarà fatto a ogni primogenito femmina nella discendenza di queste streghe!»

      Il Podestà lanciò lampi di odio nei confronti dell'anziano, ma non poteva contraddirlo. Almeno avrebbe potuto assumere la parte dei poteri di Artemisia. Ma questa, legata al palo, in attesa che le fiamme fossero appiccate alla sua catasta, rimaneva concentrata e formava una barriera protettiva nei confronti delle sue amiche, che erano in contatto telepatico con lei. La posizione a semicerchio degli altri patiboli dietro il suo favoriva la protezione. Così, quando dalla folla degli spettatori si levarono grida «Non le risparmiate, bruciatele tutte!» e un uomo, con una torcia accesa in mano, riuscì a scavalcare la barriera delle guardie e avvicinare la fiamma al rogo di Teresa, due armigeri lo presero sottobraccio e lo rispedirono in mezzo al pubblico con un calcio be assestato nel sedere. L'uomo rotolò a terra e si fermò proprio ai piedi di Larìs, che gli lanciò uno sguardo di disapprovazione.

      Pochi istanti dopo, il boia prese una torcia da un braciere, prima la sollevò in alto per mostrare a tutti le fiamme, poi la avvicinò alla catasta di legna ai piedi di Artemisia, che si incendiò.

      Artemisia, prima che le fiamme cominciassero ad avvolgere il proprio corpo, rivolse lo sguardo alla luna, che in quel momento era oscurata dal fenomeno dell'eclissi e percepibile solo come una sfera rossastra circondata da un alone, e lasciò andare il suo spirito. Doveva evitare che i suoi poteri e la sua sapienza si trasferissero a Carrega, indirizzandoli invece, con l'aiuto telepatico delle compagne, alle quali il suo sacrificio aveva salvato la vita, verso la bambina che aveva da poche ore partorito e che si sarebbe chiamata Aurora, la prima luce del mattino. In breve, le fiamme ebbero ragione del corpo di Artemisia e lo avvolsero, la donna si trasformò in torcia umana, i capelli bruciarono, i vestiti si incenerirono, lasciando scoperta la carne, che diventò prima rossa, poi nera. La sagoma di Artemisia, che ancora si torceva, era ormai solo intuibile in mezzo al muro di fuoco, che ardeva rombante. Alla fine Artemisia, con un ultimo prolungato grido di dolore, spirò, mentre le fiamme continuavano a svolgere il loro crudele lavoro. Al termine, al suolo sarebbe rimasto solo un mucchietto di ceneri.

      Quando Aurora e Larìs ritornarono alla realtà erano ancora nude, distese sul freddo pavimento di marmo, con i corpi imperlati di sudore per la tensione dell'esperienza appena vissuta. Aurora, ancora stordita, afferrò un kimono di seta, lo indossò, e ne offrì uno simile alla ragazza, che era in preda ai brividi e fu ben felice di indossarlo. Quindi Aurora andò in cucina a preparare una tisana rilassante, tornando dopo qualche minuto con due tazze fumanti, che spandevano un aroma di menta nel salone.

      «Perché abbiamo avuto questa visione? Qual è il significato?» chiese Larìs, cominciando a riprendersi.

      «Credo di aver capito che il maligno, che è rimasto quiescente per quattro secoli, stia riprendendo vigore e voglia sacrificare delle vittime per aumentare la sua forza e la sua potenza. Dobbiamo fare attenzione, perché quelle vittime potremmo essere io, tu o le altre nostre sorelle, discendenti di coloro che quattrocento anni fa scamparono alla morte tra le fiamme.»

      «Come possiamo prepararci ad affrontarlo? Abbiamo abbastanza forza per farlo?»

      «Mia cara Larìs, tu e io dovremo affrontare un lungo e periglioso viaggio fino al tempio dove vive il Grande Patriarca, che ci offrirà l'accesso al sapere universale, di cui egli è custode. Ci saranno date la forza e la sapienza necessarie.»

      Passo dopo passo, reggendosi alle corde laterali, erano giunte circa a metà del ponte che oscillava a ogni loro movimento, quando una folata di vento più forte fece gelare il cuore di Larìs, che cercò di nuovo gli occhi di Aurora per sentirsi rassicurata. Con cautela, le due sfilarono gli zaini dalle spalle, indossarono le giacche a vento e proseguirono fino a raggiungere la radura erbosa al di là del ponte. Da lì iniziavano almeno cinque sentieri, che si dirigevano in direzioni diverse. Quale poteva essere quello giusto da seguire? Aurora vide due rami incrociati con della terra smossa intorno, cercò un lungo ramo e, facendo attenzione a non andare a calpestare la terra smossa, distrusse la croce poi, con lo stesso ramo, disegnò un cerchio in terra, recitando delle parole che Larìs riconobbe come quelle di un contro incantesimo. Qualcuno aveva messo in atto un sortilegio, per metterle in difficoltà sul cammino da seguire. Ma Aurora aveva molta esperienza. Completato il cerchio e rivolte le parole verso il cielo, fu evidente che dalla radura aveva inizio un solo sentiero, che era quello da seguire. Attraversata la lingua di un ghiacciaio, il sentiero volgeva in discesa, fino a che le praterie d'altura lasciavano il posto a un bosco, sempre più fitto man mano che si scendeva. Ad ogni bivio, ad ogni biforcazione del sentiero, le due, d'istinto, sapevano sempre quale direzione seguire.

      Il bosco offriva frutti e bacche mangerecci e ogni tanto si rinveniva una fonte d'acqua fresca per cui, anche se i viveri di scorta cominciavano a scarseggiare, non c'era modo di dover soffrire la fame o la sete. Anche le temperature si erano fatte più gradevoli e non vi era più necessità di avere indosso le giacche a vento. Il quinto giorno di cammino, uscendo dal fitto bosco, si ritrovarono in un'amena vallata, in fondo alla quale videro la loro meta.

      Il tempio era una costruzione antichissima che si era mantenuta intatta nel corso dei secoli e dei millenni, costruito com'era sulla solida roccia in un luogo non accessibile ai comuni mortali. Ciò che destò lo stupore delle due donne fu la centrale idroelettrica che si intravedeva sul retro del tempio. Una cascata, con la forza di un salto di alcune centinaia di metri, alimentava le turbine che fornivano energia elettrica all'antico edificio. Accanto alle turbine, una serie di pannelli solari provvedevano a fornire acqua calda e contribuivano anch'essi a generare elettricità. Un antesignano impianto fotovoltaico, non ancora in funzione, completava la centralina, che rendeva quell'oasi del tutto autonoma dal punto di vista energetico.

      Giunte all'ingresso del tempio, furono accolte da due uomini dall'aspetto fisico statuario.

      «Siate benvenute al tempio della Conoscenza e della Rigenerazione. Il Grande Patriarca vi sta aspettando e, appena possibile, vi riceverà. Nel frattempo saremo le vostre guide, vi condurremo ai vostri alloggi e faremo in modo di rendere piacevole la vostra visita in questo incantevole luogo. Di qualsiasi cosa abbiate bisogno, chiedete e cercheremo di accontentarvi. Io sono Ero e il mio compagno è Dusai.»

      I due uomini, vestiti solo con corte tuniche colorate, erano alti e possenti, i muscoli evidenti sembravano scolpiti, richiamando alla memoria antiche statue greche. Ero aveva capelli biondi, ricci, piuttosto lunghi, carnagione chiara, anche se lievemente abbronzata, e occhi azzurri del colore del cielo, Dusai moro, i capelli neri corti, gli occhi scuri e la carnagione del colore dell'ebano. Mentre Dusai si prendeva cura di Aurora, Ero si inchinò avanti a Larìs e prese il suo bagaglio. I quattro, attraversato un cortile quadrato, si addentrarono nell'edificio e camminarono lungo corridoi decorati. Gli affreschi alternavano scene di caccia a scene di guerra e di accoppiamenti tra animali. Arrivarono, infine, in un chiostro, al centro del quale vi era una piscina. Sotto i portici si aprivano le porte delle stanze degli ospiti. Qui le decorazioni rappresentavano accoppiamenti tra uomini e donne, in tutte le posizioni possibili e immaginabili tratte dai più impensabili manuali di Kamasutra. Le due donne furono invitate dai loro ciceroni a entrare ognuna in una stanza, dove furono aiutate a spogliarsi e a rilassarsi con un lungo e accurato massaggio tonificante. Dopo un paio d'ore le due donne e i due uomini si ritrovarono insieme all'interno della piscina per godere dei piaceri di un buon bagno nell'acqua tiepida della vasca, e del sesso offerto in maniera spontanea e sensuale da Ero e Dusai. Spossate dai giorni di cammino, ma rigenerate nello spirito, Aurora e Larìs furono rifocillate. La tavola imbandita offriva montone arrosto con contorni di saporite


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