Il Misterioso Tesoro Di Roma. Juan Moisés De La Serna

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Il Misterioso Tesoro Di Roma - Juan Moisés De La Serna


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la mia valigia da quasi una settimana.

      Per quanto riguardava gli abiti che avrei indossato, alcuni ragazzi avevano proposto di vestirci tutti in modo simile, forse lo stesso tipo di vestiti o indossando qualcosa di un determinato colore, ma l’idea venne scartata dalla maggioranza già stanca di indossare un’uniforme tutti i giorni per vestirsi di nuovo allo stesso modo durante il viaggio.

      Presi solo un paio di pantaloni, diverse camicie, un gilè, calze e biancheria, che occupavano gran parte della valigia insieme alla guida di viaggio del paese e un quaderno per prendere appunti degli eventi più importanti di ogni giorno.

      È proprio questo che sto consultando per ricordare i dati più straordinari del viaggio perché ho smesso di fidarmi della mia memoria da molto tempo, da quando un giorno mi sono ritrovato in mezzo alla strada, camminando con calma e fermandomi, mi ritrovai per un momento con la mente vuota.

      Stavo cercando di ricordare dove stessi andando, cosa stessi per fare e, cosa più preoccupante, non sapevo da dove venissi e nemmeno dove vivessi, tutto intorno a me sembrava strano e nuovo, e non avrei saputo dire se fossi già passato per quella strada.

      Diventai molto nervoso guardando dappertutto, vedevo le persone che passavano con noncuranza come una madre con un bambino che correva accanto alla carrozzina che spingeva, all’interno della quale un neonato vestito di rosa riposava placidamente, con un nastro dello stesso colore intorno alla testa.

      Dopo passò un uomo che teneva il cane al guinzaglio e portava un giornale arrotolato sotto il braccio, forse era uscito proprio per quello, per comprare il giornale, ma dove era il negozio? E quale era il giornale che leggevo di solito?

      Il mio respiro accelerava man mano che il tempo passava senza una risposta, guardando dappertutto, cercando di fermare le persone che passavano tranquillamente, per chiedere loro se mi riconoscessero e se potessero aiutarmi a tornare a casa.

      Le macchine andavano e venivano sulla strada vicina fino a quando una di esse si fermò e senza uscire, il passeggero mi chiese con tono affabile, – C’è qualcosa che non va?

      Non sapevo cosa rispondere, non sapevo nemmeno perché si fossero fermati, era possibile che mi avessero riconosciuto, forse erano vicini, amici o parenti … avrebbero potuto persino essere i miei figli e non sarei riuscito a ricordare.

      Mi voltai per dare loro le spalle, imbarazzato per la mia situazione, mi sentii così inutile e sconcertato che cominciai a tremare dalla disperazione, guardando dappertutto, sapendo che mi avevano fatto una domanda diretta, ma di cui non conoscevo la risposta, non sapevo … neppure come mi chiamassi.

      –Non si preoccupi, signore! Si lasci aiutare da noi! La prima cosa che dobbiamo sapere è il suo nome e se abita qui vicino, insistette l’uomo mentre scendeva dall’auto e si dirigeva verso di me, rivelando una sagoma rotondetta, rivestita con una vistosa camicia blu e pantaloni dello stesso colore.

      Continuavo a diffidare di lui che, pur usando un tono rassicurante, mi si avvicinava con troppa confidenza mentre a me che non ricordava nessuno, sembrava di vederlo per la prima volta e mi sforzavo di ricordare, ma … senza successo.

      Non si preoccupi, sono un poliziotto – disse mentre si metteva in testa quel cappello particolare che rapidamente riconobbi, – non ha nessun documento? Forse nel suo portafoglio! -

      Sebbene fossi felice di aver riconosciuto la sua professione, non fui in grado di pronunciare alcun suono, perché la mia bocca era come impastata, con una grande sensazione di secchezza e non riuscii balbettare nemmeno una parola.

      Ma, anche se non avessi avuto queste difficoltà ad esprimermi, non avrei saputo cosa dire perché non riuscivo a concentrarmi, mentre il mio respiro accelerava per la confusione del momento. Riuscivo a malapena a sentire cosa stesse accadendo intorno a me, ascoltando come se fosse molto lontano, come se io non fossi presente a me stesso.

      Guardi nella tasca posteriore- insistette l’ometto in tono quasi paterno, il cui collo era appena distinguibile dal resto del corpo, mentre mi metteva una mano sulla spalla.

      –Dietro?– Risposi tra i denti quasi impercettibilmente mentre mi riprendevo grazie a quel piccolo tocco che mi aveva dato sulla spalla che mi era sembrato una grande dimostrazione di affetto, come era solito capitarmi quando, prima i miei figli e poi i miei nipoti, mi abbracciavano.

      Inspirando profondamente un po’ angosciato dalla situazione, spostai la mano ancora tremante all’indietro e con mia sorpresa toccai qualcosa di duro in tasca, lo tirai fuori e c’era quello di cui stava parlando il poliziotto, un portafoglio con la foto identificativa di qualcuno, che pensai fosse mia ed era per questo che lo stavo portando con me.

      Furono giorni difficili per me, i dottori mi ordinarono di riposare e di mangiare molta frutta secca, circa un centinaio di grammi di noci al giorno, ma ogni volta che potevo, le scambiavo con le nocciole che mi piacciono di più. Fortunatamente le infermiere mi assistettero ogni giorno fino a quando non fui in grado di ritornare a valermi di me stesso, anche se non tornò mai ad essere come prima.

      Ora portavo sempre, in casa e per strada, una collana salvavita con un bottone, che premevo quando ero in difficoltà, o quando non sapevo dove fossi o come tornare a casa mia. Dopo averlo premuto, se fossi stato in strada, avrei dovuto solo aspettare qualche minuto perché qualcuno venisse ad aiutarmi.

      Se fossi stato in casa, la televisione si sarebbe accesa e una ragazza gentile mi avrebbe chiesto di che cosa avessi avuto bisogno. Sebbene quelle precauzioni sembrassero eccessive, era anche vero che mi avevano tirato fuori da più di un guaio.

      Diversamente da come mi sentivo quando ero più giovane, svegliarmi ogni giorno era motivo di gioia, sapendo che avrei potuto ancora fare qualcosa per gli altri, perché, sebbene fossi in pensione da molto tempo, non avevo certo smesso di fare ciò per cui credo di essere nato: fare del bene per gli altri.

      Ho già realizzato con i miei sogni di ambizione alla ricerca di una posizione nella società, il rispetto degli altri e la possibilità godere di abbastanza denaro per avere una confortevole vecchiaia, ma ora tutto ciò mi dava l’impressione di essere un ricordo vago e banale.

      Tanto tempo sprecato in queste piccolezze, così tanta vita non vissuta passata a preoccuparmi e prepararmi per il futuro e quando tutto questo arriva, diventa insignificante. Un’esistenza vuota che riuscivo a colmare a poco a poco grazie a quello che è stato il mio grande amore iniziato durante l’adolescenza e che rimase fino a quando se ne andò.

      Se mi fossi dedicato al settore immobiliare, ora avrei molti possedimenti, se fossi stato un banchiere, molti soldi, ma nonostante mi fossi dedicato solo ad aiutare gli altri … Mi sentivo tremendamente fortunato per questo.

      Beh, proseguo la mia narrazione …, vediamo …, ero con i ragazzi della festa di primavera … no, questo l’ho già raccontato, era … il giorno successivo.

      Verso le sette scendemmo tutti a fare colazione, beh, tutti quelli che riuscirono a svegliarsi, visto che c’erano quelli che dormivano ancora sbronzi.

      Alle dieci eravamo sull’autobus per l’aeroporto, c’erano circa una quarantina di persone da tutte le facoltà che come noi avevano deciso di fare questo viaggio.

      Per farlo fummo costretti a raccogliere i soldi necessari, vendendo camicette o giornali e tutti i tipi di dolci per accompagnare il pasto e, naturalmente, abbiamo fatto la festa delle imitazioni, in cui tutti noi che avremmo fatto il viaggio imitavamo un cantante del momento diverso, individualmente o in gruppo.

      L’idea non era quella di renderlo perfettamente, solo di intrattenere e divertire un pubblico affezionato, che cantava in coro tutte le canzoni, rendendo la recitazione più facile.

      I vestiti non ebbero molto successo, perché non avevamo dedicato molto tempo a prepararli, dato che gli esami erano vicini, ma ciò non significava che per un paio d’ore tutti i partecipanti non si potessero divertire. Anche tra il pubblico c’era qualcuno che ogni tanto saliva sul palco nell’intervallo tra le esibizioni per improvvisare la sua canzone con lo stesso successo delle altre.

      Quel giorno non si parlava di nient’altro in facoltà, si congratulavano con noi nei corridoi, come se fossimo stati eroi destinati a un’epopea gloriosa che sarebbe rimasta negli annali


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