Non resta che scappare. Блейк Пирс
Читать онлайн книгу.di Melissa divenne più esitante. Ricordò l’incontro con Amanda: un incontro casuale in un supermercato. Erano andate subito d’accordo. Le campane sembravano essersi fatte più lontane adesso. D’impulso, Melissa mise la mano sulla maniglia e la provò. Girò. Un click e la porta si aprì.
Melissa rimase a guardare.
Avrebbe dovuto assicurarsi di avvisare Amanda che era pericoloso lasciare la porta così aperta in centro. Anche in una città come Parigi, la cautela veniva prima della sicurezza. Melissa esitò un poco, presa da una crisi di coscienza, ma poi, alla fine, aprì la porta del tutto spingendola delicatamente con l’indice.
“Ciao,” disse, rivolta all’appartamento buio. Forse Amanda era fuori a fare la spesa. Magari si era dimenticata del loro appuntamento. “Ciao, Amanda? Sono io, Melissa, del forum…”
Nessuna risposta.
Melissa non si considerava una tipa particolarmente impicciona. Ma quando si trattava di americani a Parigi, provava un certo senso di affinità. Quasi come se fossero parte della sua stessa famiglia. Non le sembrava tanto di fare l’intrusa, quanto di verificare che una sorella minore stesse bene. Si rassicurò mentalmente, giustificando la decisione tra sé e sé prima di entrare nell’appartamento della donna che aveva incontrato solo una volta in vita sua.
La porta scricchiolò ancora quando lei la urtò con il gomito, facendola aprire ancora di più. Esitò e le parve di sentire delle voci che provenivano dal fondo del corridoio. Sporse la testa nuovamente verso l’esterno, guardando in direzione delle scale.
Una giovane coppia stava salendo. La notarono, ma invece di salutarla o farle un cenno della testa, continuarono a chiacchierare allegramente. Melissa sospirò e tornò nell’appartamento. Poi rimase immobile. Il frigorifero era aperto. Uno strano fascio di luce gialla usciva dallo scomparto, illuminando il pavimento della cucina.
Amanda era lì. Seduta sul pavimento, rivolta verso la parete opposta. La schiena era mezza appoggiata alla credenza, una scapola premuta contro il legno, l’altra che sporgeva oltre la struttura del mobile, il braccio sinistro appoggiato sul pavimento.
“Ti è caduto qualcosa?” chiese Melissa, avanzando di più nella stanza buia.
Sotto al braccio sinistro di Amanda c’era una pozza di vino. Melissa fece un altro paio di passi e si voltò a guardare Amanda, sempre sorridendo.
Il suo sorriso si irrigidì. Gli occhi privi di vita di Amanda la guardavano. Sul collo si apriva un profondo squarcio. Il sangue rappreso le macchiava la maglietta e si era poi riversato sul pavimento, dove si era addensato sul linoleum.
Melissa non gridò. Sussultò e basta, le dita tremanti che tentavano di trovare il suo inalatore. Barcollò verso la porta, afferrando l’inalatore con una mano e tirando fuori il telefono con l’altra.
Dopo qualche spruzzata d’aria, emise un gemito gorgogliante e digitò le cifre 1-7 sul suo cellulare a conchiglia, per chiamare la polizia.
Sempre ansimando, la schiena appoggiata alla parete fuori dalla porta spalancata dell’appartamento, deglutì e aspettò che l’operatore rispondesse. Dietro di lei le parve di sentire il vago ed evanescente rumore di un liquido che gocciolava sul pavimento.
Solo allora, gridò.
CAPITOLO QUATTRO
Adele controllò il suo smartwatch, scorrendo tra diverse schermate che facevano il riepilogo di battito cardiaco, movimento, musica… Inspirò dal naso mentre stava sulla soglia del suo appartamento e guardò l’ora. Precisamente le 4 del mattino. Un sacco di tempo per farsi una corsa di due ore prima di andare al lavoro. Si sistemò la fascetta che le teneva indietro i capelli e si voltò a guardare verso il lavandino.
Aveva lasciato la sua tazza di plastica di Topolino sul ripiano metallico tra il secchiaio e il banco della cucina. Di solito puliva subito dopo aver mangiato, ma oggi, nel piccolo e silenzioso appartamento…
“Può aspettare,” disse, rivolgendosi a nessuno in particolare. Il che ovviamente era parte del problema.
Quella appena passata era stata una notte di riposo a intermittenza e scarso sonno. Adele era ancora sulla soglia quando il suo orologio digitale passò a segnare le 4:01. Guardò un’altra volta il lavandino e brontolò sommessamente tra sé e sé. Alla fine, andò nervosa fino a secchiaio, aprì con scatto irritato della mano il rubinetto dell’acqua e sciacquò i residui di latte sul fondo della tazza, posandola poi sullo scolapiatti. Tornò alla porta.
Prima che potesse ruotare la maniglia, però, una sommessa vibrazione colse la sua attenzione. Gli occhi di Adele scattarono verso il tavolo della cucina. Era il suo telefono.
Si accigliò. L’unica persona che la poteva chiamare così presto era suo padre dalla Germania, oppure poteva trattarsi di lavoro.
E con suo padre aveva già parlato un paio di giorni fa. Fu un po’ una sorpresa, quindi, quando guardò lo schermo verde acqua che lampeggiava e vide una singola parola in lettere bianche.
Ufficio.
Prese il telefono mentre la vibrazione cessava. Adele lesse le tre semplici parole di un messaggio di testo sullo schermo. Urgente. Vieni qui.
Si tolse la fascetta e andò velocemente in camera sua per cambiarsi. La sua corsa avrebbe dovuto aspettare.
Dal parcheggio e attraverso i controlli della sicurezza, Adele si fermò solo una volta per lasciare il solito caffè a Doug, uno dei suoi amici della squadra addetta alla sicurezza. Quando raggiunse il quarto piano – e l’ufficio dell’agente Grant – già si sentivano le voci attraverso la porta a vetri opaca.
Adele la spinse ed entrò senza tanti preamboli.
Due grossi monitor appesi alla parete mostravano volti che Adele conosceva. A sinistra, sopra alla scrivania della Grant, il direttore Foucault, supervisore del DGSI. A destra, sulla TV situata accanto alla finestra dal vetro blu che si affacciava sulla città, Adele scorse la signora Jayne, la corrispondente dell’Interpol che per prima le aveva proposto l’idea di essere a capo di una task force combinata.
L’agente Lee Grant, che portava il nome dei due generali della Guerra Civile, si trovava dietro all’alta scrivania verticale in metallo, il mento appoggiato sulle punte delle dita, il volto preoccupato. Posò lo sguardo su Adele e le fece cenno di entrare. L’ufficio dell’agente Grant era minimalista, con un materassino da yoga nell’angolo e una pila di DVD di workout nascosti sotto a un raccoglitore di plastica blu accanto alla sua scrivania.
La donna indicò uno degli sgabelli vuoti davanti alla sua scrivania e aspettò che Adele prendesse posto. Alla fine si schiarì la gola, guardando Adele e facendo un cenno della testa, poi disse: “Hanno di nuovo bisogno di te in Francia.”
Adele guardò i due monitor alla parete. Gli sguardi della signora Jayne e di Foucault erano un po’ deviati, entrambi concentrati sui diversi schermi a loro disposizione e quindi non direttamente puntati sulle loro videocamere. Lo stesso, Adele cercò di incrociare i loro occhi, cercando di comprendere le motivazioni.
“Una brutta faccenda?” chiese con tono esitante.
La signora Jayne si schiarì la gola e la sua voce chiara e cristallina rispose: “Solo due vittime per il momento. Lascio che sia Foucault a darle i dettagli.” La signora Jayne era una signora di mezza età, con occhi luminosi e intelligenti dietro a occhiali dalla montatura in osso. Aveva i capelli argentati e una corporatura un po’ più pesante rispetto alla media degli agenti. Parlava senza lasciar trapelare un particolare accento, lasciando intendere che padroneggiava la lingua inglese, anche se si capiva che non era madrelingua.
Sull’altro schermo, il direttore Foucault, con il suo caratteristico naso aquilino, socchiuse gli occhi. Scosse la testa e abbassò lo sguardo, non fissando più lo schermo. Si sentì il rumore di carte che venivano sfogliate.
“Sì, sì,” disse l’uomo, con un inglese dalla forte inflessione straniera. “Due morti. Fino ad ora. Due americane,” aggiunse, sollevando lo sguardo sullo schermo. “O almeno lo erano.”
Adele si accigliò. “Cosa intende dire?”
Lo