L'Angelo Dalle Ali Nere. Amy Blankenship

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L'Angelo Dalle Ali Nere - Amy Blankenship


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unghie ancora più lunghe.

      Kotaro gli fece cenno di stare in silenzio e Yohji annuì, estraendo la sua PPK dalla fondina, poi lo seguì nella stanza oltre il sipario.

      Percorsero diverse stanze tra luci stroboscopiche e grida fasulle, e iniziarono a rilassarsi pensando che il resto della casa fosse vuoto. Entrarono nella stanza successiva e si bloccarono quando videro un piccolo gruppo di visitatori che saltellavano e strillavano, alcuni ridendo.

      Oltre la corda di velluto rosso era in atto la scena della motosega di un film famoso... uno dei preferiti di Kotaro. L’unico problema era che il tipo che stava torturando il corpo sul tavolo non era umano. Mentre la persona distesa era più che reale... ed era ancora viva. La donna era legata e urlava chiedendo aiuto, ma i visitatori credevano che facesse parte dello spettacolo.

      Kotaro avvertì un senso di nausea e lanciò un’occhiataccia al mostro che indossava la maschera di pelle umana. Un altro povero essere che era caduto vittima del “gul”.

      «Perché non abbiamo sentito le urla finora?» sussurrò Yohji terrorizzato.

      Kotaro si mosse quando la motosega si avvicinò alla gamba insanguinata della donna. Proprio mentre le luci tremolanti si spegnevano per un istante, saltò oltre la corda e squarciò il soffitto, facendo scoppiare un tubo che inondò di acqua fredda i visitatori.

      «Assicurati che escano tutti dalla porta principale.» sibilò verso Yohji mentre estraeva la sua Berretta. «Qui ci penso io.»

      Yohji annuì e scortò il gruppo fuori dalla stanza fino al salotto. Chiuse la porta e sistemò il catenaccio in modo che nessuno potesse entrare. Aveva l’impressione che un sacco di gente avrebbe chiesto il rimborso del biglietto, ma meglio essere delusi che morti.

      Sospirando, si voltò e rimase immobile per la paura quando il corpo all’interno della bara si alzò all’improvviso. Si muoveva rigidamente... e un liquido non meglio identificato trasudava fuori dalla bara, fino al pavimento. Lo shock rallentò il suo tempo di reazione mentre la creatura si alzava in piedi e si lanciava contro di lui, affondandogli i denti in una spalla.

      Yohji fu sopraffatto dall’impatto e andò nel panico quando il dolore gli pervase il collo. Gli era caduta la pistola, quindi usò i pugni per colpire quell’essere prima di riuscire a liberarsi.

      Prese l’arma da terra e fece una smorfia quando vide che il filo del suo auricolare era stato tagliato, in modo che non potesse chiedere aiuto a Kotaro... cosa che non avrebbe potuto fare comunque perché il suo partner era già impegnato.

      La creatura si avvicinò di nuovo e, stavolta, Yohji fece l’unica cosa che gli venne in mente... urlò e si mise a correre.

      Il demone, sorpreso dall’interruzione, agitò la motosega verso Kotaro. Lui si abbassò per schivarlo e lasciò perdere la pistola, preferendo un’arma molto più efficace. L’unico problema era evitare la motosega. Quando il gul riprese l’equilibrio, ci andò di mezzo quella povera donna. La motosega affondò nel suo torace e si fermò, schizzando sangue dappertutto.

      Guardandosi indietro per assicurarsi che Yohji non fosse lì, Kotaro alzò una mano e scagliò una luce blu dritto verso il gul. Confuso, il demone sollevò la motosega e la girò verso se stesso. L’arnese gli si posò sulla spalla, iniziando a tagliargli il petto in diagonale. Mentre la testa e un braccio del demone cadevano a terra, Kotaro cliccò l’auricolare.

      «Yohji, ho finito.» gli disse rimanendo in attesa, poi si accigliò. «Yohji?»

      Il silenzio era assordante finché non sentì un grido di terrore che gli ricordò il cartone animato di Johnny Bravo quando gridava più forte di un gruppo di ragazze messe insieme.

      All’improvviso, Kotaro vide Yohji correre nella stanza, superarlo e uscire dall’altra porta così velocemente da provocare uno spostamento d’aria. Poi sentì i passi nauseabondi che solo un cadavere posseduto poteva fare. Muovendosi per pararglisi davanti, aspettò in silenzio il suo arrivo.

      L’essere entrò barcollando e, trovandosi faccia a faccia con il bel detective, si fermò. Gli occhi di Kotaro brillavano di gioia sadica mentre sbatteva il palmo sulla faccia del ghoul.

      «A cuccia!» ringhiò Kotaro alla creatura, che ora aveva un buco in faccia abbastanza grande da infilarci il pugno. Voltandosi, uscì dalla porta da cui il suo amico era appena fuggito.

      Yohji non aveva nemmeno rallentato quando lo aveva visto, convinto che quell’essere lo stesse inseguendo a distanza ravvicinata. L’ultima cosa che voleva fare era correre per tutta la casa infestata, così, quando aveva individuato una porta parzialmente nascosta, aveva ringraziato qualunque dio fosse in ascolto per aver trovato un’uscita. Ma il suo slancio fu troppo veloce e non riuscì a fermarsi in tempo mentre spalancava la porta.

      C’erano una serie di gradini che portavano giù... e lui passò oltre. Urlò di nuovo quando iniziò a precipitare nell’oscurità.

      Kotaro lo raggiunse proprio mentre spalancava la porta e volava giù... letteralmente.

      Usando i propri poteri, si mosse più veloce del vento e afferrò Yohji prima che colpisse il pavimento del seminterrato. Lo tenne stretto quando notò che era svenuto per lo spavento... ma non era quello il problema. Il problema era l’enorme morso che il ghoul gli aveva dato su una spalla.

      «Maledizione.» esclamò Kotaro attivando l’auricolare. «Kamui, abbiamo un problema. Yohji è a terra. Ripeto, Yohji è...»

      Non riuscì a finire la frase quando un gruppo di demoni iniziò a sciamare da un grosso buco nel muro. Kotaro usò la sua vista acuta per vedere oltre nel tunnel sotterraneo, doveva essere quello che, secondo Kamui, collegava la casa al cimitero.

      «Kotaro?» disse Kamui, poi borbottò una serie di improperi che avrebbero reso orgoglioso qualsiasi marinaio. «Suki!» gridò.

      «Ci penso io!» esclamò lei, iniziando a sfrecciare lungo le strade secondarie che portavano alla casa infestata. «Con cosa abbiamo a che fare?»

      «Ghoul.» la voce inquietante di Yuuhi echeggiò nell’interfono.

      «Fuoco! Si possono uccidere con il fuoco!» aggiunse subito Kamui.

      Suki sorrise mentre svoltava l’angolo e frenò bruscamente. Parcheggiò l’Hummer, scese e aprì il bagagliaio. Con un sorriso stampato sul volto, prese il lanciafiamme dall’arsenale e si mise il serbatoio del carburante a tracolla.

      Imbracciando l’arma pesante, corse verso la parte anteriore della casa stregata.

      Indossava una tuta militare verde infilata in un paio di anfibi. Teneva due cinture di proiettili incrociate sul petto e un’altra attorno alla vita, con una fondina per pugnale e coltello su un fianco. Al collo portava un paio di mostrine con il suo nome e un numero di identificazione.

      Il look era completato da una bandana rosso sangue annodata attorno alla fronte, con i capelli sciolti che svolazzavano dappertutto. Sembrava appena uscita da un campo di battaglia, cosa che portava più di un uomo a fissarla.

      I proiettili, il coltello e il lanciafiamme sembravano falsi per Halloween, ma nessuno sapeva che erano veri al cento per cento.

      «Accidenti, Suki.» sussurrò Kamui, «Non potresti avere un aspetto migliore.»

      Lei sorrise verso la telecamera montata sul semaforo all’angolo. «Ti piace?»

      «Ci puoi giurare!» esclamò Kamui, «Ma a Shinbe piacerebbe di più.»

      «In che senso?». La voce di Shinbe risuonò attraverso il trasmettitore ma Suki lo ignorò, si avvicinò alla porta d’ingresso e la calciò forte, facendola volare indietro con un botto.

      «Oh, niente.» disse Kamui con tono innocente, «A meno che non ti piaccia l’idea di Suki in veste da cattiva, che impugna un lanciafiamme e mostra una scollatura da far impallidire una modella.»

      Suki ignorò anche lui mentre si addentrava nella casa infestata. Gliel’avrebbe fatta pagare più tardi. Scostando la tenda, superò il demone morto disteso sul pavimento e


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