Delitto (e baklava). Блейк Пирс

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Delitto (e baklava) - Блейк Пирс


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il mattino successivo a quella strana cena con Ian. Come faceva spesso, London stava con sua sorella durante la pausa tra i viaggi oceanici. Stavolta, si stava preoccupando di dove avrebbe vissuto se non ci fosse stato un nuovo lavoro imminente. Avrebbe dovuto rinunciare agli alberghi e alla camera degli ospiti della sorella e trovarsi un posto tutto suo?

      O dovrei … ?

      Dopotutto,  l’opzione di Ian era ancora disponibile.

      Nel bel mezzo del caos domestico, Tia era riuscita a preparare un’enorme montagna di pancake non proprio di bell’aspetto. Le ragazze avevano consumato una caotica colazione ed erano poi scappate in soggiorno.

      Era la prima vera occasione, per le due sorelle, di parlare quella mattina; Tia non aveva preso bene la notizia dell’indecisione di London.

      Mentre London radunava residui di cibo, impregnati di sciroppo, nel suo piatto, Tia si alzò dalla sedia e iniziò a rimettere tutto a posto.

      “Ci penso io” si offrì London. “Dammi solo un minuto.” Come per una sorta di magia nera domestica, il lavandino e il piano della cucina sembravano essere occupati da più piatti sporchi di quanti la lavastoviglie potesse contenere.

      “Oh, sono abituata ad occuparmene” Tia cinguettò. “Finisci la colazione. Questo diventa tutto automatico dopo qualche anno.”

      Stavano entrambe provando ad evitare di notare il figlio biondo di sette anni di Tia, Bret, che era in piedi accanto al tavolo, intento a fissare silenziosamente London.

      “Che cos’altro gli hai detto?” Tia chiese mentre le passava davanti, raccogliendo dei piatti sporchi che, in qualche modo, erano finiti su una sedia della cucina.

      Che cosa gli ho detto? London si chiese. Si guardò intorno nella stanza, continuando a ignorare il bambino silenzioso.

      Era difficile ricordare le parole esatte. La memoria della sera precedente sembrava alquanto confusa. London si chiese se fosse entrata in uno stato di shock, dopo la proposta di Ian.

      “Penso … di avergli detto … che ero molto …”

      Tia sgranò gli occhi, mentre la sorella cercava il termine esatto che aveva utilizzato.

      “Oh, no, London. Non dirmi che eri ‘lusingata.’ Sarebbe sbagliato sotto vari punti di vista. ‘Lusingata’ indicherebbe che hai dubitato della sincerità di Ian. E, oltre alle sue molte altre virtù, Ian è la sincerità fatta persona.”

      London pensava che la sincerità sembrasse un termine strano per descriverlo, ma …

      Lui era sincero, a modo suo.

      Ad ogni modo, London concordava con Tia in merito alla parola “lusingata.” A prescindere da quanto sbalordita fosse stata al momento, sicuramente non avrebbe detto di essere  “lusingata.”

      “Penso … di aver detto … che ero toccata.”

      “‘Toccata’?” Tia ripeté, raccogliendo delle forchette che sembravano essere magicamente apparse sul pavimento. “Hai detto che eri ‘toccata’? Ma che cosa dovrebbe significare? ‘Toccata nella testa,’ forse?”

      London alzò le spalle.

      “Non lo so” disse. “Solo ‘toccata,’ ecco tutto.”

      “Che ne dici di emozionata? Felice? Onorata?”

      Dal modo in cui London lo ricordava, “emozionata” e “felice” non erano gli aggettivi adeguati a descrivere come si era sentita in realtà. Per quanto riguardava “onorata”, non era completamente inappropriato. Aveva davvero preso come un complimento il fatto che un uomo così solido come Ian volesse includerla nei suoi piani precisi ed elaborati. Ma “onorata” sarebbe sembrato così … come, esattamente?

      Vittoriano, forse.

      La stessa idea di proposta era troppo all’antica per i gusti di London. Ma, almeno, Ian non si era inginocchiato per tirare fuori il costoso anello. Dopo tutte le chiacchiere sugli affari, i suoi nervi non sarebbero stati in grado di sopportarlo.

      Tia aprì la bocca per rimproverare ancora London, poi trasalì al suono di un colpo particolarmente forte.

      Gridò: “Ragazze, fatela finita, a qualunque guerra stiate giocando.”

      Stella e Margie si lamentarono ad alta voce quasi all’unisono.

      “Awww, Ma—mmaa …”

      “Io e zia London stiamo cercando di parlare” Tia aggiunse. “E non riusciamo nemmeno a sentirci pensare.”

      Obbedienti, le ragazze smisero di giocare, ma London sapeva che avrebbe fatto meglio a non sperare che la pace e la quiete durassero. Sentì un brivido lungo la schiena, e si rese conto che il piccolo Brent la stava guardando con gli occhi spalancati. Lei non riusciva a fare a meno di pensare che sembrasse un bambino protagonista di un vecchio film di fantascienza, Il Villaggio dei Dannati.

      In realtà, tutti i figli di Tia la guardavano, come la progenie aliena del film, come se fossero in grado di far sciogliere le pareti con le loro menti, se ci avessero davvero provato. Avevano tutti ereditato gli stessi capelli biondi insipidi del padre.

      Abbandonando l’accumulo di stoviglie che restava in cucina, Tia versò del caffè appena fatto in due tazze, e sedette di fronte a London.

      “Gli adulti stanno parlando, tesoro” Tia disse a Bret.

      “OK” il bambino rispose.

      Ma non si spostò.

      “Questo significa che dovresti andare, tesoro” Tia gli disse.

      Il bambino la guardò, come se gli avesse portato via il suo giocattolo preferito.

      “Ma non riesco mai a vedere la zia London” disse. “Lei è sempre via, sempre in un posto molto lontano.”

      London sentì il senso di colpa montare in lei.

      Gli manco davvero, pensò.

      Il fatto che il sentimento non fosse esattamente reciproco peggiorò i suoi rimorsi di coscienza.

      “La zia London passa a trovarci ogni volta che può, tesoro” Tia disse, lanciando a London uno sguardo di disapprovazione. “Ci fa visita diverse volte all’anno.”

      Bret continuò a non spostarsi.

      Fissando London con grande ammirazione, lui disse: “I miei amici pensano che sia fico che mia zia sia il capitano di una nave.”

      Tia dette un colpetto sulla testa di Bret.

      “Uh, Bret, la zia London non è esattamente un capitano” disse.

      “E allora, che cos’è? Un marinaio?”

      London intuì dall’espressione di Tia che aveva momentaneamente dimenticato la sua esatta qualifica.

      “Sono quella che si chiama ‘hostess,’ tesoro” London si rivolse a Bret.

      “Come quando mamma da’ una festa?”

      London alzò le spalle e disse: “Beh, diciamo, una specie.”

      “Con i regali e tutto?”

      London non sapeva che cosa dire. Come poteva spiegare a un bambino di sette anni le complessità del lavoro da hostess di una gigantesca nave da crociera? Ogni giorno comportava sfide logistiche e un contatto umano faccia a faccia quasi non-stop. Spettava a lei organizzare e supervisionare le partite di bocce, curling e bridge, così come le feste di compleanno, le attività di ristorazione, i concerti e molto, molto altro. Il suo lavoro consisteva nell’assicurarsi che tutto filasse alla perfezione, ed era brava a svolgerlo.

      E poi, c’è l’aria fresca, pensò con una fitta di malinconia.

      La maggior parte delle mattine, quando andava sul ponte, London si godeva l’aria oceanica. Sebbene il Connecticut potesse essere piacevole in quel periodo dell’anno, non era neanche riuscita ad uscire. Si chiese brevemente il motivo per cui i bambini fossero ancora in casa durante quella che sembrava essere una bella giornata. Sua sorella non


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