Un’esca per Zero. Джек Марс

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Un’esca per Zero - Джек Марс


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per il trasporto di rifiuti era lunga settanta metri e proveniva da Seoul. Era priva di equipaggio, dotata esclusivamente di luci fioche per impedire che qualcuno vi si scontrasse nella notte. La chiatta era stata ancorata lì tre settimane prima, proprio in quel punto, con uno scopo ben preciso.

      Si trovava a soli diciotto chilometri. Il test di oggi non era altro che un viaggio inaugurale, per così dire, non volta a testare il range massimo di azione, ma l'efficacia, la precisione, la potenza e, come Sun aveva argutamente sottolineato, che quella diavoleria funzionasse.

      "Pronto?", chiese Kim.

      L'arma venne azionata. Eun-ho sapeva che, negli otto secondi necessari affinché l'arma si caricasse era necessario inserire le coordinate dell'obiettivo e, istantaneamente, l'arma avrebbe corretto la sua traiettoria.

      “È pronta", rispose l'uomo alla cabina di comando.

      Kim diede una rapida occhiata ai suoi colleghi. Quindi con un cenno secco della testa disse: "Fuoco".

      Successe tutto così in fretta che Eun-ho non ebbe nemmeno il tempo di realizzare completamente quello che vide. In un istante, o anche meno, una scintilla blu di plasma percorse gli elettrodi dell'arma. Altrettanto velocemente, li abbandonò. Non ci fu alcun suono assordante, nessuno scoppio, nessun suono acuto risuonò nelle sue orecchie. Si sentì semplicemente uno strano rumore, come un tonfo, e si vide un luccichio di plasma blu. Poco più che una scintilla, un bagliore.

      Un istante dopo, a diciotto chilometri di distanza, la chiatta esplose. Anche da quella distanza la potenza di quell'esplosione lo fece rabbrividire. Un momento prima la chiatta si vedeva all'orizzonte, con l'aiuto di un binocolo, e un istante successivo un'esplosione di fuoco fece volare pezzi della nave per varie centinaia di metri e illuminò le prime ore del mattino.

      Pochi secondi dopo, ciò che rimaneva dell'obiettivo affondò nelle gelide acque dell'Oceano Pacifico del Nord.

      In momenti come questo, molti grandi uomini avevano pronunciato una frase o una dichiarazione, preparata con lungimiranza nella speranza che le loro parole potessero essere riportate in futuro in un testo di storia, o citate su internet, o almeno notate dai presenti. Ma Eun-ho non aveva preparato alcuna dichiarazione e in quel momento riuscì a proferire una sola sillaba.

      “Uh!".

      La prova era andata straordinariamente bene. Quella diavoleria funzionava perfettamente. Dove poco prima c'era una chiatta, ora non c'era altro che acque schiumose. La forza distruttiva dell'arma era immensa, non si avvicinava nemmeno lontanamente a quella di un missile, ma superava di gran lunga quella di qualsiasi altra arma esplosiva. Era un'arma tattica, un'arma precisa; i suoi bersagli potevano essere piccoli, strategici e persino mobili. Poteva affondare navi, abbattere aerei o persino difendersi dai missili. La sua capacità di correggere la rotta quasi istantaneamente e la velocità del proiettile al plasma avrebbero vanificato qualsiasi tentativo di difesa. Il suo unico svantaggio erano gli otto secondi necessari per caricare prima di sparare, e anche quello era un tempo irrisorio in confronto a quello impiegato dai missili a lungo raggio, dai siluri o dai cannoni da battaglia. Le sue dimensioni relativamente ridotte rendevano semplice il trasporto e la sua tecnologia avanzata la rendeva praticamente invisibile a qualsiasi nemico, anche nelle immediate vicinanze.

      Quell'arma al plasma avrebbe potuto rivoluzionare le guerre moderne. Ma non era quella l'intenzione con cui era stata costruita, almeno questo era stato detto a Eun-ho e ai suoi colleghi. Nonostante i molti miliardi investiti nella creazione dell'arma (la Corea del Sud era al decimo posto nella lista dei paesi con il budget militare più alto del mondo), ne avrebbero prodotte altre cinque e tutte insieme quelle armi avrebbe protetto non solo il confine tra loro e la Corea del Nord, ma avrebbero anche scongiurato gli attacchi di qualsiasi potenziale nemico o invasore. Il loro intento non era quello di diventare una potenza militare più forte o di distruggere chiunque non fosse un aggressore; volevano semplicemente proteggere e salvaguardare il loro popolo, niente più.

      E lui, Eun-ho Park, era tra i responsabili del benessere della sua gente. Aveva contribuito a rendere possibile un progetto del genere. Anche il vento pungente di febbraio sull'oceano non poteva smorzare l'immensa sensazione di orgoglio che pulsava sotto il suo parka…

      “Dottor Kim!” l'uomo dietro la console urlò all'improvviso. "Una barca!"

      Eun-ho si girò rapidamente e i suoi occhi si spalancarono quando vide che l'uomo non stava guardando il display radar della sua console, ma stava indicando oltre la prua. Una barca si stava avvicinando a loro, a non più di un chilometro e mezzo di distanza, e si faceva sempre più vicina.

      Il test dell'arma li aveva distratti e avevano abbassato la guardia. Pensavano di essere al sicuro, in mezzo all'oceano.

      "Ma che diavolo…?" Sbottò il dottor Kim. "Chi sono?"

      Eun-ho si rese conto di avere ancora il binocolo di Sun tra le mani. Lo portò al viso e mise a fuoco. Non sapeva molto di barche, ma ciò che sapeva era sufficiente per poter capire che la nave in avvicinamento non era militare e non era certo nuova come la Glimmer. Lo scafo scheggiato e sbiadito suggeriva che questa barca avesse subito un po' di usura… e si potevano vedere fori di proiettile sui lati.

      Guardò il ponte e per poco non si fece sfuggire un sussulto. Gli uomini a bordo indossavano vestiti pesanti per il freddo, ma riusciva comunque a scorgere la pelle scura: erano africani. Avevano delle pistole tra le mani.

      Eun-ho non era un esperto di navi, ma conosceva bene le armi e riconobbe un'AK-47.

      "Signore", disse timidamente a Kim. "Non so come spiegarlo, ma credo che siano… pirati".

      "Dammi qua". Kim quasi strappò il binocolo dalle mani di Eun-ho. Mentre guardava nel binocolo, il dottore quasi rimase a bocca aperta dallo stupore.

      Ovviamente tutti avevano sentito parlare dei pirati moderni, in particolare di quelli che provenivano dalla Somalia. Ma quel che si sapeva di loro è che fossero molto legati al loro territorio e che le loro prede fossero le imbarcazioni in rotta nel Golfo di Aden e nel Mar Arabico. Certamente non nel Nord del Pacifico. Erano a migliaia di chilometri di distanza dai loro territori.

      Il tedesco si alzò in piedi, fissando la prua, socchiudendo gli occhi per vedere meglio. Si slacciò la fondina di nylon in vita ed estrasse la pistola nera opaca con un movimento così fluido che sembrò che l'arma fosse magicamente apparsa dal nulla tra le sue mani.

      Poi Sun parlò.

      "Puntate l'arma su di loro".

      Il dottor Kim lo guardò con un'espressione di assoluta incredulità. "Sei pazzo? Vuoi semplicemente ucciderli?”

      "Sono armati," mormorò il tedesco. "Fucili d'assalto".

      "Hanno visto tutto", insistette Sun. “Ci hanno visto sparare con l'arma e stanno venendo verso di noi. Non è il caso di esitare. Puntala su di loro".

      Eun-ho si sentì stringere lo stomaco dal panico. Era strano pensare come, in tutti quegli anni di ricerche, non avesse mai considerato nemmeno una volta che quell'arma avrebbe potuto essere utilizzata per strappare delle vite. Lui sarebbe stato in parte responsabile di quelle uccisioni. Aveva realizzato personalmente i proiettili. Eppure eccoli lì, di fronte a una vera e propria minaccia.

      "Hai circa quindici secondi per decidere", annunciò il tedesco con il suo accento aspro, più forte di tutte le parole che Eun-ho gli aveva sentito pronunciare prima.

      "No", disse Kim con fermezza. “Possiamo seminarli facilmente. Accendi i motori!”

      "Prima dobbiamo ritirare l'arma…" balbettò l'uomo alla console.

      "Allora fallo!" Strillò Kim. "Subito, veloce!"

      "Ma hanno visto tutto!" Insistette nuovamente Sun.

      "Dieci secondi", intervenne il tedesco.

      Una raffica di spari automatici squarciò l'aria, così forte e improvvisa che Eun-ho istintivamente si mise le mani sopra la testa. Sentì il trambusto dell'ascensore idraulico che riportava il cannone al plasma all'interno dello scafo della Glimmer. Udì le grida, quelle in preda al panico, quelle polemiche dei suoi colleghi, e poi altre, gutturali, concitate e incomprensibili al suo orecchio, in una lingua che non era né coreano, né inglese e nemmeno


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