Un’esca per Zero. Джек Марс

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Un’esca per Zero - Джек Марс


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essere conosciuto in tutto il mondo.

      "Temo di aver agito in modo avventato", mormorò Basheer. "Questa situazione non promette nulla di buono per noi".

      "Al contrario", lo rassicurò Salman. “Hai dimostrato che la tua volontà è forte. Ora dobbiamo dimostrare che hai una mano altrettanto forte".

      "E come? Dimmi come”, lo implorò Basheer. “Se riusciranno a firmare un trattato con l'Iran, non avremo alleati. Rimarremo soli di fronte al mondo. Non possiamo resistere all'esercito americano. Non possiamo permetterci di entrare in guerra con loro".

      "No", disse Salman, posando la sua mano esile sulla spalla del giovane re. "Non possiamo. Ma potremmo non averne bisogno. C'è un piano, altezza, già in atto. E se avrà successo, il mondo occidentale imparerà una lezione dolorosa e il mondo vedrà la nostra ascesa".

      CAPITOLO TRE

      Non preoccuparti

      Di una piccola cosa,

      Perché ogni piccola cosa…

      Perché ogni piccola cosa…

      "Accidenti", mormorò Zero. "Non lo sapevi?" Fischiettava la melodia recitando il testo a mente, le ragazze gli avevano chiesto più volte di smettere di cantare, ma quei versi l'avevano incantato come mai era successo prima. “Che succede?”

      "Stai parlando da solo?" Chiese Sara entrando nella piccola cucina del suo appartamento a Bethesda, nel Maryland. Indossava una maglietta, i capelli biondi in disordine e, a giudicare dalle occhiaie, aveva dimenticato (o trascurato) di lavarsi il mascara dal viso la sera prima.

      “Certo!”. Zero le baciò la testa mentre apriva il frigorifero. "Buongiorno, tesoro".

      "Mmm", rispose Sara prendendo la caraffa con il succo d'arancia. Era rimasta con Zero sin dal giorno del Ringraziamento, da quando era fuggita dall'istituto di riabilitazione in cui suo padre l'aveva mandata ed era scampata di poco ad un rapimento su una spiaggia. Aveva sedici anni, ormai quasi diciassette, Zero ricordò a se stesso, sebbene i suoi lineamenti fossero abbastanza maturi da farle dimostrare almeno un paio d'anni in più. Trovava piuttosto doloroso il fatto che le sue ragazze stessero crescendo, tanto più che il trauma che aveva vissuto l'aveva invecchiata prematuramente, ma soprattutto, giorno dopo giorno, assomigliava sempre di più alla madre defunta.

      "E tu che stai facendo?" chiese, allungando il collo sopra la spalla del padre per sbirciare nella padella.

      "Oh, questa? Questa, mia cara, è una frittata". Zero prese la padella, la scosse due volte e poi lanciò abilmente la frittata in aria.

      Sara torse il naso. "Sembra un'omelette".

      È simile ad un'omelette. Simil-omelette, potremmo dire. Come se fosse figlia di una omelette e di una pizza. Una frittata".

      "Per favore, smetti di dire…"

      "Frittata".

      Sara alzò gli occhi al cielo bevendo un sorso di succo d'arancia. "Sei strano".

      "Ehi, topolina" disse Maya entrando in cucina. "Dammene un po'". Indossava pantaloncini corti e una felpa con cappuccio, scarpe da ginnastica e una fascia sulla fronte. I suoi capelli scuri erano tagliati corti, quasi a caschetto, un "taglio da fatina", come lo chiamavano i bambini e se i lineamenti di sua sorella minore ricordavano la loro madre, il viso giovane di Maya era molto più somigliante a quello di Zero.

      Anche Maya stava con lui, e ciò rendeva l'appartamento con due camere da letto accogliente ma allo stesso tempo un po' angusto. Le sue ragazze, di diciassette e diciannove anni, condividevano una stanza, ma non se ne lamentavano. Zero contava i giorni mentre Sara viveva in Florida e Maya era stata arruolata a West Point. Ma la primogenita aveva saltato il resto del semestre autunnale, e ora anche il semestre primaverile, e sebbene non avesse affrontato l'argomento, sperava che alla fine sarebbe tornata e avrebbe finito gli studi.

      Sara passò il succo d'arancia a Maya, che ne bevve un bel sorso. "Maya, papà non è un po' strano ultimamente?"

      “Intendi più strano del solito? Sì. Certamente".

      "Prima di tutto", disse Zero, "prendete un bicchiere. Non ho cresciuto un paio di selvagge. In secondo luogo, in che senso vi sembro strano?"

      "Canti molto ultimamente", disse Maya.

      "Ho smesso di farlo quando me l'hai chiesto".

      "Adesso fischi molto", gli disse Sara.

      "Cosa c'è che non va se fischio?"

      "Stai preparando una frittata?" Chiese Maya.

      "Sta cucinando molto", disse Sara come se non fosse nemmeno nella stanza.

      "Sì, è strano", concordò Maya. "È come se fosse… più felice".

      "Perché vi sembra strano?" protestò Zero.

      "In questa famiglia…" lo prese in giro Sara. "È strano".

      "Oh!" Zero si portò una mano al cuore mimando un infarto. "Mi dispiace tanto per aver cercato di arricchire la vita delle persone che amo".

      “Non mi fido di questa cosa”, disse Sara facendo una smorfia a sua sorella.

      "Dov'eri la scorsa settimana?"

      La domanda arrivò così all'improvviso che a Zero sembrò quasi un colpo di frusta. La sua primogenita lo fissò con un sopracciglio inarcato sulla fronte, in attesa.

      "Te l'ho detto. Ero in California…"

      "Giusto", disse Maya, "sei andato a consultare uno specialista per la tua mano".

      "Esatto".

      "Peccato che secondo il nostro assicuratore non hai presentato alcuna documentazione", disse Maya con nonchalance. "Non hai pagato alcun premio. Allora, dove sei stato la settimana scorsa?"

      Stavo seguendo un ingegnere della CIA, incluso nella lista nera, per vedere se poteva dirmi perché il mio cervello mi sta portando alla morte. Era la verità, ma non aveva alcuna intenzione di raccontarla a loro, le sue figlie non sapevano nulla dei suoi ricordi perduti, dei suoi problemi recenti e neppure dell'avvertimento di Guyer.

      Allora, sorridendo timidamente, disse: "Forse non sono affari vostri".

      Maya sapeva imitare perfettamente quel sorrisetto falso. "Forse non dovresti mentire alle tue figlie".

      "Forse sto cercando di tenerle al sicuro".

      "Forse non ne hanno bisogno".

      "Forse…

      Dei colpi alla porta lo interruppero. Il suo primo istinto fu ancora quello di cercare la Glock che aveva nascosto nel cassetto delle posate, e Zero lo notò con dispiacere. Nonostante il numero di volte in cui la sua casa era stata saccheggiata, dovette ricordare a se stesso che i terroristi non bussano mai. Fece sforzo sui propri muscoli e cercò di scrollarsi di dosso il pensiero, mentre Maya gridava: "È aperto!"

      La porta dell'appartamento si aprì ed entrò una donna. Aveva circa due anni meno di Zero, non ancora quaranta, anche se in effetti ne dimostrava almeno una decina di meno. Fuori servizio portava i suoi folti capelli biondi sciolti sulle spalle, ad incorniciarle perfettamente il viso e i suoi occhi color ardesia. Indossava jeans attillati, stivali neri e un cappotto nero lanuginoso. Zero l'aveva vista al meglio, in eleganti abiti da sera, e anche nelle situazioni peggiori, con del sangue sul viso e una pistola in mano, eppure vederla gli faceva ancora battere il cuore.

      Maria entrò in cucina, diede a Zero un bacio sulla guancia e lasciò cadere una scatola bianca sul bancone. "Buongiorno a tutti! Ho portato i croissant".

      "Perfetto". Maya ne prese uno e lo addentò. "Posso assumere carboidrati prima di correre".

      "Ma la frittata…" mormorò Zero.

      "Maria, secondo te", le domandò Sara. "Papà non è strano ultimamente?"

      Maria si accigliò. "Strano? Non saprei. Sicuramente diverso. Forse più felice?"

      "Te l'ho detto". Sara prese un croissant.

      "Rimani in zona?" Le chiese Zero mentre disponeva la sua frittata poco apprezzata in un piatto.

      "Passavo


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